martedì 2 febbraio 2016

L'arte del transito VI (Aforismi 1989-2009)



Spezzare il pane


Gesù spezzava il pane. Da questo lo riconoscono i discepoli. Parlare di lui lo rende presente. Ma oggi cosa significa “spezzare il pane”? Al di là di ciò che ci dice la teologia sulla transustanziazione (che è un’idea profonda in sé ma forse non era nelle intenzioni di Gesù), “spezzare il pane” significa vivere un momento profondo di condivisione. Gesù lo fa con i suoi amici, i quali, come testimoniano gli Atti, andavano al tempio (cioè praticavano il culto ebraico ortodosso) e, a casa, spezzavano il pane. Cosa rimane di quest’atto così umano nel freddo rituale con il quale noi riceviamo un cerchietto di pane azzimo, fatto industrialmente, in luoghi “freddi” emotivamente? Mi sento più in comunione quando sono con la mia famiglia o con alcuni amici… Della Messa odierna per me è molto più importante la lettura della Parola che l’Eucaristia, che invece dovrebbe essere un momento di reale “comunione” con i fratelli, e dunque con Dio, che nel pane (pane vero!) condiviso si farebbe presente. Ma allora era pane vero e fame vera! Quando Gesù moltiplica i pani, nell’ultima cena, ad Emmaus: i presenti hanno fame, fame vera, sono stanchi per un viaggio, devono festeggiare qualcosa. Ma era un banchetto non simbolico. Quale sarebbe il corrispettivo di quello “spezzare il pane insieme”? Quale sarebbe la “forma” odierna adeguata a quel gesto? Non credo che Gesù volesse istituire un rito di quel tipo ma solo dare un’indicazione di cosa significhi vivere in comunione. Quello è un gesto possibile, uno dei tanti. Sia chiaro: il cristianesimo è la religione per la quale – più di ogni altra – non ha senso ricercare la purezza delle intenzioni originarie. Di chi? Di Gesù, degli apostoli (quali? Pietro o Giacomo o Giovanni), di Paolo… Il cristianesimo proprio perché ha al suo centro il mistero dell’incarnazione di Dio accetta di entrare nella storia, che non segue disegni prefissati ma è plasmata dalla libera azione (prima di tutto: l’interpretazione) dell’uomo. Dunque non mi interessa immaginare cosa realmente Gesù volesse fare (domanda priva di senso). Mi interesserebbe però immaginare delle alternative vivificanti, che non finiscano con l’avere un mero valore simbolico. Immaginare una ritualità adatta a questo tempo che dia una forma nuova a quello stesso contenuto, in cui ci sia la stessa vita vera dell’ultima cena, una cena tra amici. Le prime comunità a Gerusalemme vivevano da buoni ebrei e, in più, spezzavano il pane insieme. Quindi cenavano insieme, visto che tutto era in comune. Non era un rito! Era un modo di vivere in comunione di beni e di esperienze. Come riproporre questa radicalità oggi? 

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