giovedì 26 marzo 2020

#didatticacondivisa (20 giorni di DaD) [σχολή]


Il 6 marzo è iniziata l’avventura perigliosa della Dad (Didattica a distanza), priva di qualunque quadro normativo e lasciata alla creatività, al coraggio, all’impegno di docenti, dirigenti, studenti, familiari.
A 20 giorno da allora traccio un quadro di quanto vado facendo con lo scopo di socializzare. «Omnia sunt communia» pare siano state le ultime parole di un vinto della storia a me tra i più cari. Dovrebbe essere vero più che mai in questo tempo apocalittico-rivelativo, come ama ripetere Marco Guzzi.
La premessa è che la mia scuola ha fatto la scelta (che io ho condiviso e per cui ho spinto sin da subito) di lasciare ampia libertà nella scelta degli strumenti e dei metodi ai docenti. Altre scuole si sono dotate di una piattaforma unica. Entrambe le scelte hanno pro e contro, ovviamente. 

LIVELLO ISTITUZIONALE

Utilizzo la funzione “Aule virtuali”, attivata dalla scuola il giorno dopo l’avvio dell’emergenza. Lì carico i materiali di studio, appunto le lezioni fatte.

LEZIONI

Dopo aver usato Skype sin dai primissimi giorni, per le “dirette” ho scoperto Zoom che mi pare “tenere” meglio. Ho comprato la versione che mi consente di andare oltre i 40 minuti di quella free ed altre simpatiche funzionalità.
Come avevo iniziato a fare due anni fa, continuo a registra videolezioni, per lo più in modalità di condivisione schermo, in modo da permettere a chi ascolta di seguire il testo che sto analizzando, utilizzando Screecast-o-matic. Ho fatto abbonamento (molto contenuto) per superare il limite di video di 15 minuti della versione base. Dopo la registrazione, carico il video sul canale personale Youtube (che consente anche di rendere visibili i video ad alcuni utenti o a chi ha il link). 

COMUNICAZIONI

Continuo ad utilizzare i gruppi Whatsapp già esistenti prima dell’emergenza. Ne ho creati anche con i genitori per poter tempestivamente comunicare con loro o avere feedback di quanto stiamo facendo.
Ho creato dei gruppi Telegram dove riporto materiali e lezioni per chi avesse difficoltà di connessione con le Aule virtuali.

TEST E VERIFICHE

Ho riattivato la piattaforma Fidenia, utilizzata lo scorso anno, per svolgere test e verifiche (non valutative), utili a capire le difficoltà dei ragazzi. 

ALTRI STRUMENTI

Sicuramente preziosi Google Drive e Google documenti.

ALTRE INIZIATIVE

Sto sperimentando i piccoli gruppi. Ho iniziato con un’autocostituitasi “Setta dei poeti estinti” (poi in realtà sono tutte poetesse…). Quattro allieve che leggono insieme a me, una volta alla settimana, un libro di filosofia (ora stiamo leggendo Hillman). Ad aprire è chiudere una poesia e una canzone scelte a turno.
Altro momento “ristretto” è la discussione delle tesine di storia programmata già da diversi mesi. Due ragazzi alla volta (più chi vuole liberamente aggregarsi).
Da questa settimana si attivano piccoli gruppi più tradizionali per verificare gli apprendimenti e far parlare i ragazzi in maniera più ordinata.
Ieri ho iniziato “Invito al pensiero”, rivolto a non-alunni (anche se c’erano molti ex, e la cosa mi ha riempito di gioia). È la lettura diretta di testi filosofici. Abbiamo iniziato con un testo facile: La questione della tecnica di Heidegger.
Infine, piccole pillole di storia e filosofia (dai 10 ai 20 minuti) registrate artigianalmente (per ora da me ed Amerigo Ciervo) che TV7 spamma sui propri canali (social e televisivi). L’augurio è che molti docenti aderiscano al format “Educational” che è testimonianza della presenza della scuola nell’emergenza.

LA COMUNITÀ SCOLASTICA

Ieri abbiamo partecipato al primo Collegio docenti “a distanza”. È durato tre ore e mezzo. Pochissimi i problemi tecnici. Abbiamo utilizzato Cisco Webex. È stato bello sapere che un’intera comunità docente era di nuovo “connessa” e si sforzava di creare un quadro di condivisione senza eccessiva preoccupazione per la forma e la burocrazia ma badando al sodo (cioè alla garanzia di un diritto per gli studenti). 
Come amo ripetere, questo è il momento del “noi” (del moi commun direbbe Rousseau). Non ci dovrebbe essere spazio per le fughe in avanti e le iniziative egocentrate. 

domenica 22 marzo 2020

Adversus amicos [φιλοσοφία]


Vorrei provare a discutere la posizione espressa sull’emergenza Covid-19 da due amici di lunga data, entrambi “filosofi”, lontani (almeno apparentemente…) politicamente.
Il primo è Giancristiano Desiderio. Filosofo, storico, giornalista, professore. Ci conosciamo dalla seconda metà degli anni Novanta. Abbiamo sempre polemizzato nel rispetto reciproco: io comunista, lui liberale (di destra), io Heidegger, lui Croce e così via dicendo.
In un post del suo blog, dopo aver stigmatizzato le misure (poi ulteriormente inasprite) del Governo per arginare la pandemia, rivendicando la libertà degli individui scrive: «La vita umana ha una sua natura tragica non superabile. L’epidemia ci mette davanti a scelte drammatiche e nessuno – nessuno – ha in mano la scelta giusta buona per tutti. Ma se questo è vero, allora, è evidente che non si può rinunciare alla libertà da cui dipendono proprio le scelte». Nel paragrafo precedente aveva elogiato, di contro alle scelte italiane, quella (“darwiniana” e cruda ma poi subito temperata) di Boris Johnson. Quindi, in nome dell’intrinseca tragicità dell’esistenza, viene giustificata la scelta (dello Stato?) di lasciare che il virus faccia il suo libero corso, affidando alla “virtù” (biologica) degli individui la vittoria della battaglia (anche nel lungo periodo e mettendo in conto un numero imprecisato di morti). In questo modo, lascia intendere Giancristiano, la società nell’insieme ne uscirà più temprata
Nunzio Castaldi, filosofo e latinista prestato vita natural durante all'informatica, lo avevo conosciuto come poeta e poi, molto meglio, quando sostenne “Città Aperta” e diede un bel contributo creativo girando lo spot elettorale (era il 2001). Con Nunzio, dunque, c’è stata una vicinanza “ideologica” molto più forte per un lungo periodo. Diciamo che, fino a qualche anno fa, abbiamo fatto parte della stessa famiglia politica, pur con dei distinguo. Negli ultimi anni, invece, la divaricazione è divenuta totale, con punte polemiche molto aspre. Penso in particolare ai mesi della campagna elettorale sul referendum Boschi-Renzi. 
Sostanzialmente Nunzio, sulle neonate pagine di «Sonar», ripete l’argomentazione di Giancristiano, per altro condividendone implicitamente l’assunto che politica ed etica sono rigidamente separate: la scelta di “immunizzare il gregge”, anche con costi umani elevati, è lungimirante. «La politica deve guardare al lunghissimo periodo, e non lasciarsi ‘distrarre’ dalle urgenze e dall’etica».
Inutile dire che dissento radicalmente dai due amici. 
A Giancristiano dico che il virus sta semplicemente gridando rumorosamente che il re, in cui lui ha creduto e crede, è nudo. Per quanto egli si ostini in ciò che scrive (e che leggo con tanto maggiore interesse quanto maggiore è il dissenso), è il modello individualistico che ha trionfato nel trentennio alle spalle. «La società non esiste». Ed è quel modello che, almeno dal 2008, sta mostrando i suoi fallimenti e la sua intrinseca follia anti-umana e anti-ecologica. In nome di questo principio (che non è altro che la libertà del mercato), probabilmente, le strutture sanitarie, smantellate e ridotte all’essenziale, stanno entrando in crisi di fronte all’emergenza pandemica. Giancristiano ora ribadisce il suo mantra, vi si aggrappa: meno Stato! Più libertà… Non è importante che muoiano in tanti. Il retropensiero è che l’individuo deve poter fare ciò che vuole. Ma ciò che vuole, mi chiedo, è… consumare? Dietro la parola “politica” leggiamo in filigrana la parola “economia”? È questo che non si può mettere in discussione? E Nunzio non gli fa eco quando scrive: «La politica ha il dovere di dire le cose come stanno, di ragionare sui fatti, sui numeri. E ha il dovere di trovare soluzioni, guardando non ai singoli, ma alla comunità; e non solo alla comunità presente, ma anche e soprattutto a quella futura»? Di grazia, ma perché, filosoficamente, l’umanità futura dovrebbe avere più valore di quella presente? Siamo alla perenne giustificazione accampata da tutti gli incensatori delle «magnifiche sorti e progressive». Eppure in un libro dal titolo Il principio responsabilità (un libro in cui politica ed etica appaiono saldamente interconnesse) ho letto esattamente il contrario: Hans Jonas, che pure articola tutta la sua riflessione sulla responsabilità che abbiamo nei confronti dell’umanità futura (affinché ci sia!), afferma risolutamente (contro le forme, per me, distorte di utopia) che ogni esistenza ha valore e nessun futuro “luminoso”, nessuna «fiumana del progresso» giustificherà l’orrore del presente che vede «deboli che restano per via, vinti che levano le braccia disperate», anziani che muoiono soli nelle proprie case perché non ci sono posti letti a sufficienza e così via dicendo.
E quindi, contro i miei amici che ammirano il modello anglosassone, auspicandone evidentemente l’emulazione, novelli calvinisti e puritani certi che sarà un Dio misterioso, sia esso il Dio della Libertà, sia esso il Dio dell’Economia planetaria, a separare sommersi e salvati, reprobi e giusti, ringrazio il mio Dio ancora sconosciuto (ma con tratti evidentemente affini a quelli del tale che invitava a soccorrere i bisognosi e a non preoccuparsi per quello che ci darà il domani) di essere nato in un paese in cui l’aspetto migliore del cristianesimo riesce a divenire davvero “etica della responsabilità” nei confronti della vita di ciascuno, senza fole relative alla selezione naturale che ci tempra né ad un futuro che giustificherebbe il sacrifico del presente. Certo, anch’io dico ogni sera: «Venga il tuo Regno». Ma non sono io a deciderlo. 
Nunzio alla presentazione del mio libriccino di saggi e articoli disse: «Nicola è troppo cattolico», accompagnando l'esclamazione con la sua bella e sincera risata. Proprio così! Una di quelle frasi che ti restano dentro. Effettivamente, pur non essendo più cattolico da diversi anni, devo riconoscere che il mio amico ha perfettamente ragione. E, dunque, malgrado stia per essere modificato, posso dire (anzi cantare!) a voce spiegata: «Libera nos a malo».

giovedì 12 marzo 2020

La scuola "a distanza" [σχολή]



L’emergenza sta costringendo tutta la comunità scolastica a inventarsi, letteralmente, strumenti e pratiche nuove. Per garantire un diritto e ottemperare un dovere.
Ho scritto un appello nei giorni scorsi che invitava, come richiamato da una nota ministeriale per una volta non meramente burocratica, a tenere vive, con ogni strumento le classi e non limitarsi a trasmettere lezioni e assegni.
I ragazzi hanno bisogno di sentire la nostra presenza. Può sembrare surreale. Ma cosa non lo è in questi tempi?


Sto invitando i miei alunni anche a colloqui individuali e a creare piccoli gruppi in cui non solo avere chiarimenti o spiegazioni strettamente scolastici ma anche leggere insieme. Il primo nato (e la cosa confesso mi ha commosso) si chiama: La setta dei poeti estinti.


* * *


TV7 ha messo a disposizione i propria media al corpo docente sannita per brevi lezioni che integrino quanto andiamo facendo per continuare a svolgere il nostro dovere e garantire ai nostri allievi un diritto fondamentale.
Mi sembrava doveroso iniziare con pagine scritte nel cuore di una guerra vera (la seconda) che invitano a ritessere il legame comunitario quanto tutto intorno pare dissolverlo. Per questo ho iniziato con La prima radice di Simone Weil, pensatrice oramai entrata nel "canone" della filosofia novecentesca.



INVITO CALDAMENTE I COLLEGHI A FARE USO DELLO STRUMENTO CONTATTANDO ME O LA REDAZIONE PER CONCORDARE I CONTENUTI DEGLI INTERVENTI.



venerdì 6 marzo 2020

Agamben, Nancy, l'emergenza virale [φιλοσοφία]


La filosofia sta dando un contributo alla comprensione della “emergenza” in atto (prima di tutto perché, in alcune sue frange, problematizza il concetto stesso di “emergenza”).
Ha fatto molto discutere un intervento di Giorgio Agamben, considerato unanimemente uno dei massimi pensatori italiani viventi. Presupponendo la conoscenza della sua opera, complessa, a volte ardua, e il contributo in particolare di Michel Foucault, Agamben sostanzialmente afferma che un’epidemia abbastanza usuale viene utilizzata per inasprire ulteriormente il controllo e il disciplinamento sociale.



 A stretto giro, ad Agamben ha risposto un altro pezzo da novanta del mondo filosofico occidentale, Jean Luc Nancy, che in maniera amicale, finanche ironica, e ribadendo stima per il collega con cui ha lavorato spesso, ne mette in discussione l’assunto.
La polemica è arrivata anche nel mondo social, dove ancor oggi ci sono due schieramenti, l’un contro l’altro armati, secondo prassi italica: da una parte chi ritiene quanto sta accadendo poco più di un’influenza ingigantita o per interessi ancora occulti o per insipienza dei decisori politici, dall’altra chi, invece, ritiene che ci si trovi di fronte ad un evento nuovo, dai confini ancora incerti e con un impatto molto forte sulla società e l’economia. 
Io, che pure all’inizio ero decisamente sulla prima posizione, nel procedere dei giorni, mi sono convinto, leggendo e ascoltando, che l’epidemia in atto non vada sottovalutata e che, dunque, le misure precauzionali siano giuste (forse addirittura tardive). 
Di qui è nato l’appello ad un armistizio politico su scala locale tra le forze politiche per gestire un’emergenza che mi pare non solo (qui da noi ancora per fortuna potenzialmente) sanitaria ma innanzitutto “comunitaria”. 



La crisi di molti settori dell’economia e la chiusura delle scuole richiedono il contributo di ciascuno di noi. Ho ritenuto doveroso segnalare, da cittadino, questo “dovere” soprattutto da parte di chi riveste incarichi istituzionali.
L'appello ha suscitato consensi e critiche, come naturale che fosse.
Pierino Mancini, amico di vecchia data, con cui abbiamo condiviso tanto in passato (a partire da Rifondazione Comunista), è intervenuto, evocando Foucault e invitando ad una sua rilettura, per criticare questo “invito” con parole dure e forti. 



Le capisco e le giustifico. Ciò nonostante rivendico e ribadisco quanto detto. 
Voglio dirlo esplicitamente: credo che Agamben, autore per me determinante (di cui ho letto pochi mesi fa Altissima povertà, come sempre con beneficio) abbia preso una gigantesca cantonata. È vero che, come dice Nietzsche, «per gli errori dei grandi uomini occorre avere rispetto perché sono più fecondi delle verità dei piccoli», ma è anche vero che gli errori dei grandi uomini sono anch’essi… grandi! 
Foucault prese un abbaglio colossale rispetto alla rivoluzione iraniana per la quale provò infatuazione. Questo non inficia l’importanza dei suoi contributi per la comprensione della società moderna e contemporanea.
Nancy chiude il suo breve intervento così: 

«Ho ricordato che Giorgio è un vecchio amico. Mi spiace tirare in ballo un ricordo personale, ma non mi allontano, in fondo, da un registro di riflessione generale. Quasi trent’anni fa, i medici hanno giudicato che dovessi sottopormi a un trapianto di cuore. Giorgio fu una delle poche persone che mi consigliò di non ascoltarli. Se avessi seguito il suo consiglio probabilmente sarei morto ben presto. Ci si può sbagliare. Giorgio resta uno spirito di una finezza e una gentilezza che si possono definire – senza alcuna ironia – eccezionali».

Da uomo delle istituzioni, di una scuola che sta cercando con fatica di continuare a svolgere il suo ruolo senza la possibilità della “vera presenza”, ripeto con Nancy che forse, se seguissimo la tesi di Agamben, tra breve avremmo migliaia di morti, ospedali al collasso, il tessuto economico e sociale distrutto. E lo dico anche al mio amico Pierino. Non credo, per citarlo, di aver «perso i lumi della ragione» né chiedo «di rinunciare alla critica e all’iniziativa politica per acconsentire agli interessati tentativi di disciplinare la nostra comunità». Al contrario, sto cercando di utilizzare la ragione per capire quanto accade, evitando di sovrapporre una lettura tutta ideologica agli accadimenti (per questo la mia posizione è mutata nel corso dei giorni). E credo che l’esercizio autonomo della ragione sia anche il miglior antidoto al disciplinamento.
Non so quando sarà finita chi avrà avuto ragione. Se avrò avuto torto, per quanto conti, riconoscerò il mio errore.