La cultura della modernità tende a strutturarsi come luogo separato. La “castalia” (Hesse, Il
gioco delle perle di vetro) ne è fedele immagine, ma è solo un’impressione. In realtà la scuola stessa si sta adeguando rapidamente alle
richieste di una società che ha ben chiare le sue parole d’ordine. L’unità dei
saperi rischia di ridursi a al possesso di una grande capacità di adattamento,
quell’imparare ad imparare che
risulta fondamentale in un mondo che conosce repentine trasformazioni
produttive, e i cui presupposti di competenze e conoscenze i produttori non
vogliono accollarsi. Esistono esempi di sistemi formativi fondati sull’unità
dei saperi: penso all’Accademia platonica ma anche alle prime università. In
entrambi i casi si serviva la verità (nessuno risponda: quid est veritas? perché senza la tensione verso di essa crolla
l’idea stessa di sapere, di cultura). L’unica verità del nostro mondo, lo
ripeto fino alla nausea, è la produzione,
fondamento caduco il cui portato è sotto gli occhi di tutti. So che è vicino il tempo del tramonto della
“terra del tramonto”, l’Occidente mondializzato. Nel tramonto anche le
ombre dei nani sembrano quelle di giganti. Ma noi non vogliamo essere nani,
neanche sulle spalle dei giganti (immagine ricorrente nel Nome della rosa). Perché non essere giganti sulle spalle dei
giganti? Dare risposte forti ad un mondo che si accontenta di “pensiero
debole”, pensiero sfinito…
Il
mio compito non può che essere quello di additare i segni del tramonto necessario dell’Occidente e di ciò che
nasce di nuovo: «Porre fine a quell’eterno conflitto fra il nostro sé e il
mondo, ristabilire la pace delle paci che è più alta di ogni ragione,
congiungerci con la natura, con l’unità di un unico, infinito Tutto» (Hölderlin). Il Nascente solo può
costituire l’unità dei saperi, poiché la vita, nella sua potenza generatrice, è
olistica, organica. Contro il «fango delle cifre», il rapporto meccanico tra
“materie” morte al servizio della produzione della morte (psichica e fisica).
Perché il mondo non sia più la “terra desolata” di questo secolo:
Ciò che
chiamiamo il principio è spesso la fine
E finire è cominciare.
La fine è là donde
partiamo. E ogni frase
Ogni proposizione che
sia giusta (quando ogni parola è al suo
posto,
E fa la sua parte per
sostenere le altre,
La parola né diffidente né sgargiante,
Partecipe del vecchio
e del nuovo senza sforzo,
La parola comune
esatta senza esser volgare,
La parola formale
precisa ma non pedante,
In armonia perfetta, come compagni di
danza)
Ogni frase o
proposizione è una fine e un principio,
Ogni poema un
epitaffio. Ed ogni azione
È un passo verso il
patibolo, il fuoco, la gola del mare
O verso una pietra
illeggibile: e di lì incominciamo.
Noi moriamo con quelli
che muoiono:
Ecco, essi partono, e
noi andiamo con loro.
Noi nasciamo con i morti:
Ecco,
essi tornano, e ci portano con loro.
(T. S. Eliot Quattro quartetti)
[2000]
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