domenica 12 maggio 2019

Populismo ma di "sinistra"

Ne è valsa la pena? Questo ripeto spesso ai miei ex compagni di percorso, a quasi un anno dalla “rivoluzione” del marzo 2018 e dall’avvio del governo giallo-verde. Ne è valsa la pena allearsi con il partito più antico del Parlamento italiano, i cui vertici storici sono stati condannati in maniera ignominiosa per appropriazione di risorse pubbliche e nel cui DNA ci sono (ancora!) antimeridionalismo, xenofobia, pulsioni centrifughe? Mi obiettano: non c’erano alternative. C’erano: si rimaneva all’opposizione con una forza poderosa in grado di dettare l’agenda, aspettando il tempo in cui nel rimanente quadro politico, uscito destabilizzato da quel voto, si facesse chiarezza. Sin dall’inizio della mia esperienza (comunque intensa e di cui non rinnego niente) nel M5S, mi era chiaro – e ne scrissi – come lo spazio da occupare fosse quello disertato dalla “sinistra” nell’ultimo trentennio. Voglio essere chiaro: malgrado oscillazioni nel corso degli anni (l’argomento è complesso), ritengo che destra e sinistra siano categorie oramai insufficienti a definire il campo attuale della politica. Esse devono necessariamente essere articolate con altre categorie. Se mi chiedessero come mi definisco risponderei: un populista disinistra. Dove l’aggettivo è più importante della specificazione ma da ciò non consegue che “i più vicini” siano tutti gli altri populisti! Se vogliamo, questo è il rovello del tempo (e che mi spinge ad essere molto comprensivo con chi si è illuso che “da dentro” si potesse modificare il quadro).

Al netto delle cose buone fortemente volute dal M5S, in primis il reddito di cittadinanza (come inizio di un percorso e al di là delle sue contraddizioni, misura eccezionale per rispondere a un diffuso disagio sociale), non si è in qualche modo venduta l’anima del Movimento ad un alleato scaltro, reso forte dalla pratica possibile dei “due forni”, le cui scelte sembrano sempre essere “win-win”? Ripeto spesso che quello di Salvini sarà un fuoco alto ma di breve durata. Identico al renzismo. Quindi non sono tanto preoccupato per derive “autoritarie”. La democrazia italiana mi pare solida (anche grazie al M5S). E quindi cosa accadrà nel futuro? Zingaretti al guida del PD potrà sicuramente rimettere in moto, “a sinistra”, un po’ di politica e avviare un’interlocuzione con il Movimento che mi pare quanto mai necessaria. Nel contempo, ed è ciò che mi interessa in prospettiva, l’auspicio è che il fallimento del paradigma neoliberista, messo alle corde dalla crisi, crei anche in Italia un movimento popolare e populista, sovranista ma scevro da ogni tentazione nazionalista, critico nei confronti dell’euro, moneta “carolingia”, ma idealmente europeista, capace di identificare un nuovo soggetto “di classe” e farsene portavoce, radicale nel reclamare politiche di giustizia sociale fondate sul controllo della libera circolazione dei capitali: per contrastare quella che Luciano Gallino, prezioso faro, purtroppo scomparso, in questi “tempi interessanti, definiva «la lotta di classe dopo la lotta di classe».


sabato 11 maggio 2019

La piolatria come strumento di governo



L’uso della religione come instrumentum regni è antico come l’uomo. Con la nascita della modernità e la separazione della politica dalla religione e dall’etica esso assume nuove forme. Uno dei padri della politica moderna, Niccolò Machiavelli, scrive ne “Il Principe”: «Debbe adunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione». Tre Presidenti del Consiglio italiani hanno commentato il testo del Segretario fiorentino: Mussolini, Craxi, Berlusconi (finiti maluccio tutti e tre). Attendiamo il commento del Ministro dell’Interno, un «messo infernale» in sedicesimo, ma anch’egli «tra un alalà di scherani», ospite a Pietrelcina oggi.
Cosa ha significato questa visita nello storytelling del nuovo leader della destra sciovinista e lepenista italiana, non essendo mai i suoi gesti “pubblici” (finanche mangiare cannoli) gratuiti? La geniale strategia salviniana, incuneatasi nella duplice crisi (della “destra” berlusconiana e della “sinistra” a tradizione piddina) e nella sconcertante miopia del Movimento Cinque Stelle, che riteneva di avere possibilità di raccogliere voti a destra, è quella di saldare, all’interno di una Lega rinnovata, che ha perso il pelo dell’antmeridionalismo e del secessionismo (ma nessuno dei vizi connessi), varie pezzi della destra italiana: i più evidenti sono quelli neo-fascisti e quelli cattolico-conservatori. Ecco, dunque, il senso della sua visita pietrelcinese, dove il Ministro ha fatto sfoggio di pietà e umanità, di integrità e religione. Ma quale religione? Quella che Francesco Forgione incarna perfettamente. Scrive Sergio Luzzatto (in “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”, Einaudi, 2007): «È una via dove il vecchio e il nuovo, il premoderno e il postmoderno, il ragionevole e l’improbabile, l’istituzionale e l’irregolare, il religioso e il politico, tendono a confondersi molto più che a contrapporsi. Probabilmente, questa è addirittura la strada maestra del paese Italia». Padre Pio incarna la Chiesa che non voleva e non ha mai accettato il Concilio Vaticano II e che oggi vede in Papa Francesco un pericoloso cedimento all’eresia. E, dunque, se bisogna, come ovvio in un paese in cui gli over 60 sono ancora in larga parte condizionati dal cattolicesimo, portare quel voto nel grande contenitore della Lega, è necessario accreditarsi come cattolici “reazionari”, fedeli ad un cristianesimo antico e contadino, miracolistico e assolutamente compatibile con i leader forti, comunque si chiamino. Soprattutto se, contemporaneamente, il Vescovo di Roma – negli stessi giorni in cui il Ministro va a visitare compiaciuto i muri eretti da Orbán- pronunzia parole inequivocabili e coraggiose, affermando che «il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità». E a queste parole nitide guardano con simpatia e speranza non solo tanti cristiani ma anche credenti di altre fedi o diversamente credenti (come chi scrive).


L’uso della religione come instrumentum regni è antico come l’uomo. Con la nascita della modernità e la separazione della politica dalla religione e dall’etica esso assume nuove forme. Uno dei padri della politica moderna, Niccolò Machiavelli, scrive ne “Il Principe”: «Debbe adunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione». Tre Presidenti del Consiglio italiani hanno commentato il testo del Segretario fiorentino: Mussolini, Craxi, Berlusconi (finiti maluccio tutti e tre). Attendiamo il commento del Ministro dell’Interno, un «messo infernale» in sedicesimo, ma anch’egli «tra un alalà di scherani», ospite a Pietrelcina oggi.

Cosa ha significato questa visita nello storytelling del nuovo leader della destra sciovinista e lepenista italiana, non essendo mai i suoi gesti “pubblici” (finanche mangiare cannoli) gratuiti? La geniale strategia salviniana, incuneatasi nella duplice crisi (della “destra” berlusconiana e della “sinistra” a tradizione piddina) e nella sconcertante miopia del Movimento Cinque Stelle, che riteneva di avere possibilità di raccogliere voti a destra, è quella di saldare, all’interno di una Lega rinnovata, che ha perso il pelo dell’antmeridionalismo e del secessionismo (ma nessuno dei vizi connessi), varie pezzi della destra italiana: i più evidenti sono quelli neo-fascisti e quelli cattolico-conservatori. Ecco, dunque, il senso della sua visita pietrelcinese, dove il Ministro ha fatto sfoggio di pietà e umanità, di integrità e religione. Ma quale religione? Quella che Francesco Forgione incarna perfettamente. Scrive Sergio Luzzatto (in “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”, Einaudi, 2007): «È una via dove il vecchio e il nuovo, il premoderno e il postmoderno, il ragionevole e l’improbabile, l’istituzionale e l’irregolare, il religioso e il politico, tendono a confondersi molto più che a contrapporsi. Probabilmente, questa è addirittura la strada maestra del paese Italia». Padre Pio incarna la Chiesa che non voleva e non ha mai accettato il Concilio Vaticano II e che oggi vede in Papa Francesco un pericoloso cedimento all’eresia. E, dunque, se bisogna, come ovvio in un paese in cui gli over 60 sono ancora in larga parte condizionati dal cattolicesimo, portare quel voto nel grande contenitore della Lega, è necessario accreditarsi come cattolici “reazionari”, fedeli ad un cristianesimo antico e contadino, miracolistico e assolutamente compatibile con i leader forti, comunque si chiamino. Soprattutto se, contemporaneamente, il Vescovo di Roma – negli stessi giorni in cui il Ministro va a visitare compiaciuto i muri eretti da Orbán- pronunzia parole inequivocabili e coraggiose, affermando che «il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità». E a queste parole nitide guardano con simpatia e speranza non solo tanti cristiani ma anche credenti di altre fedi o diversamente credenti (come chi scrive).
La “piolatria” (come l’ha definita un sacerdote “illuminato” di queste terre) è una delle tante patologie dello spirito, purtroppo diffusa nel nostro Sannio, dove è, non a caso, in atto una transumanza verso la destra salviniana di pezzi di vecchio elettorato e classi dirigenti.
Sostenere la visione della Chiesa di Francesco, che riprende e invera il Vaticano II, contro tutte le tendenze reazionarie, non alimentando, dunque, la “piolatria” e il suo uso politico, è una battaglia culturale degna di esser fatta per arginare l’imbarbarimento del paese e la costruzione di muri, di pietra e non.

(apparso su «Il Vaglio»).