domenica 27 ottobre 2013

Heaney - Zappando




Tra il mio dito e il mio pollice
la penna tozza sta; comoda come una pistola.

Sotto la mia finestra, un suono stridente
quando la vanga affonda nel terreno ghiaioso.
È mio padre che zappa. Io lo guardo in basso

fino a che con le reni affaticate tra aiuole
si piega, si rialza venti anni dopo
curvandosi con ritmo,  tra le buche delle patate
dove stava zappando.

Lo stivale grezzo appoggiato sul manico, l’asta
faceva leva con forza contro il ginocchio interno.
Sradicò le parti esterne, interrò profondamente le estremità
per seminare le nuove patate che raccogliemmo
godendo della fresca durezza nelle nostre mani.

Per Dio, il vecchio poteva maneggiare una vanga.
proprio come il suo vecchio.

Mio nonno tagliava più erba in un giorno
che chiunque altro nella palude di Toner.
Una volta gli ho portato latte in una bottiglia
tappata trascuratamente con carta. Si raddrizzò
per berlo, poi si curvò
tagliando e affettando con cura, lanciando zolle
dietro le spalle, andando giù e giù
nella terra buona. Zappando.
L’odore freddo delle patate, i suoni dello schiacchiare
e dello sbattere sul terreno fradicio, il secco penetrare di una vanga
attraverso radici vive risvegliate nella mia mente,
ma non ho vanghe per seguire uomini come loro.

Tra il mio dito e il mio pollice
La penna tozza sta.

Zapperò con lei.

diario 2013 (3)



25 agosto (San Cumano)

Un senso “sovrano” di sereno controllo. Anche sulla fame.
Ho finito di rileggere i Fogli d’Hypnos, del maestro/guida della stagione che continua a dischiudersi di ricerca e scrittura.
Ferma decisione di ridurre il tempo in rete.

26 agosto (San Cumano)

Stanchezza, “tentazioni”, pigrizia. So che questa è la sfida da vincere ritornato in città. Cosa ne sarà dell’equilibrio sovrano trovato in alcuni giorni di questa estate? Nel profluvio di parole e immagini? La candela brucia anche stasera. Falene, Icaro. Si fondono con cera e fiamma.

28 agosto (San Cumano)

Ho contemplato la pioggia torrenziale che nutriva la terra.
Non dire più: “il mio corpo” ma “io, nella complessità psicofisica. La grande scoperta di questa estate: quando curo il mio “corpo” curo la mia “anima”. Non è uno strumento al servizio di un bene maggiore ma fine in sé. Sogno di portare alla luce il mio corpo “guerriero”. Estate illuminante. La sfida dell’inverno è ardua, ma val la pena accettarla.

29 agosto (San Cumano)

Per la prima volta la “volontà” progettuale non mi pone scadenze. Ho la “direzione”, il senso dei giorni, ma ogni cosa ha fine in sé, finanche queste lettere a mano che mi costringono a concentrarmi. E come se avessi capito finalmente che vari ambiti delle mie “vite” vanno integrati, ma non ancillarmente a presunti scopi superiori. E come se avessi capito, nelle fibre più intime di me, che ogni attimo va abitato compiutamente in sé. E quindi non c’è il pathos “della fine” delle altri estati. Al contrario, avendo ritrovato un percorso non vincolante, finalmente vari momenti della vita mi appaiono connessi. Non vorrei più “nuovi” inizi ma un consapevole abitare il fluire dei giorni fatti di attimi. 

giovedì 24 ottobre 2013

Domenica Zanin: un modello



Ho conosciuto Domenica Zanin da bambino. L’appuntamento al Supercinema (a Piazza Bissolati, per i più giovani) per il cineforum era uno dei momenti più attesi della settimana. Lì abbiamo incontrato un cinema lieve ma anche fortemente pedagogico. Ho ereditato l’ambizione di mettere questa arte potente al servizio dell’educazione morale ed estetica. Lo faccio quotidianamente a scuola, memore di quell’insegnamento.
Ho avuto il piacere di approfondire quella conoscenza nel corso degli anni. Ho scoperto una donna atipica per la nostra città, anche in virtù della sua origine “nordica”. Stimata universalmente come Direttrice didattica, portatrice di un’innovazione che non era mai fine a se stessa, “levatrice” di schiere di ottime “maestre” (lo dico sottolineando la bellezza di questa parola), fino alla fine, mi piace ricordare, oltre a questo aspetto che già ha prodotto frutti importanti, quanto, della sua eredità rischia di andare disperso perché poco compreso. E il fatto che si tratti di una donna, in un luogo dove ancora molto c’è da fare per una parità (nella realtà e nell’immaginario) non può che amplificare i suoi meriti.
Domenica Zanin è stata una cristiana “radicale”. Capace costantemente di attingere la radice stessa della fede, andando oltre gli aspetti superficiali che, invece, nella nostra città appaiono predominanti. Nel 2009 scrivevo a proposito di chi «spesso in solitudine ha testimoniato nella nostra città la possibilità di un altro cristianesimo, non bigotto, non superstizioso, non “pio” (nella oramai duplice accezione della carità tipica dei beneventani, che ha bisogno di ostentarsi, e del culto idolatrico di Pio da Pietrelcina)». Ecco, la Zanin ha testimoniato, anche qui fino alla fine, se l’anno scorso mi chiamò per donarmi il prezioso libro di un mistico interamente dedito al dono di sé, un modo rarissimo a Benevento d’essere cristiani, capace di coniugare “ascesi” e “impegno”, senza che l’una diventi fuga dal mondo e l’altro compromesso con il “princeps huis mundi”, come nella peggior incarnazione del cattolicesimo politico. Ed era donna capace di permanente dialogo con chi, come me, viveva il cristianesimo in maniera complessa, mai aderendovi acriticamente. Come usò dire una volta Romano Prodi, insomma, «un cristianesimo adulto». Che poi sarebbe l’unico viatico disponibile alla nostra città per una maturazione complessiva, non solo morale ma anche politica. Guardare all’esempio della Zanin significherebbe, dunque, immaginare un cristianesimo impegnato ma autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, curioso intellettualmente, aperto al dialogo con le culture diverse. Soprattutto significherebbe credere nell’impegno politico, e qui giungo all’ultima sua grande eredità che rischia di andar perduta, ma senza compromessi di sorta. Troppo spesso la “fede” è stata, per i professionisti della politica nostrani, scorciatoia per brillanti carriere. La Zanin, quando decise di spendere la sua competenza e la sua credibilità nell’agone politico, lo fece con spirito di reale servizio. Non fu un’esperienza fortunata. Ma, anche in questo caso, sono convinto che solo da persone che guarderanno al suo esempio potrà nascere una svolta profonda nella sempre più deprimente scena della politica beneventana.
Un’autrice che la Zanin amava molto, Simone Weil, scrisse che avremmo bisogno di una santità all’altezza del nostro tempo. Ebbene, io credo che lei abbia sempre tenuto fede a questo appello, cercando di essere una donna di fede e un’educatrice integrale all’altezza dei bisogni del proprio tempo. È per questo che molti di noi la ricorderanno con gratitudine e guarderanno a lei come un modello da imitare.

(Articolo apparsa su «Il Vaglio» nel 2013)

domenica 20 ottobre 2013

diario 2013 (2)




16 agosto (San Cumano)

Integrare il monaco e il guerriero.

17 agosto (San Cumano)

La vita, le sue asperità, le sue “resistenze” ai nostri (generosi) slanci progettuali. Ciò nonostante, continuare a fare progetti, generosamente. [...]

Che individuo sto “costruendo”? Sicuramente c’è una “storia”, che mi sforzo sempre di raccontarmi. Inevitabilmente essa è un’interpretazione, la “mia” interpretazione. Parte di questa storia è la consapevolezza che ci sono strutture psichiche profonde, che affondano probabilmente nella prima infanzia. L’idea di fedeltà, i riti di espiazione, il rapporto con il cibo, per dire di questioni che hanno condizionato perennemente le mie scelte. Ma anche la compassione, la mitezza d’animo, il disinteresse per il denaro, la repulsione per la violenza.

Evoluzione positiva: fine dell’illusione che possa esserci una “rivelazione finale” o un “compimento”. Ovviamente questo presuppone che il “lavoro” continui per tutta la vita, e che ogni tappa sia provvisoria, stazione di una “via/crucis/lucis”.

Logos, che lega, ma in sé mutevole [...].

Questo luogo meraviglioso addolcisce anche i momenti amari che periodicamente tornano. Questa è e sarà sempre la mia dimora. In città sarò sempre in esilio.

24 agosto (San Cumano)

Quando leggo poesia cosa accade prima di tutto, cioè prima del significato che, poi, può divenire ethos? Abito e mi lascio trascorrere da parole che non comunicano informazioni (prima di tutto) e non servono a relazionarsi (prima di tutto). È il linguaggio stesso il centro del processo in atto. Gesto insorgente, nel tempo della chiacchiera universale [...].

Consapevolezza di una nuova “soglia” spirituale, di una nuova configurazione del divino, cui adeguare pratiche quotidiane e letture. Non più il Dio Padre gesuano ma il Logos che tutto tiene insieme, senza ordine geometrico, Fuoco eracliteo [...].


Ho fame e sono felice, alla luce della candela. Dovrebbe essersi chiuso il “ciclo basso”. Tornare a volare alto, potando e “rinunziando”.

giovedì 17 ottobre 2013

Char - La macina emisferica





Troppo sicuri dei nostri mezzi non dovremmo denigrare ma intuire il mondo, non brutalizzarlo né certificarlo, ma dimostrargli che siamo attenti, e non sollecitarlo insidiosamente. Custodiremmo all’interno una stella nana a margine del suo nido, come un bambino della foresta nella circonferenza del suo rifugio mentre i suoi genitori abbattono con l’ascia soltanto il legno necessario ai loro bisogni.
Uomini dai vecchi sguardi, vi preghiamo: al va e vieni del duro pendolo, lasciate fermentare. Senza troppa acredine né scosse, senza troppo odio ne troppo ideale.
Mondo dagli azzurri sguardi, eccoti lavato, mentre sogni l’avvenire. E che scintillanti orecchie!


(da Lontano dalle nostre ceneri, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2003, traduzione di Elisa Bricco)

domenica 13 ottobre 2013

diario 2013 (1)



2 febbraio

Devo accettare l’inverno del mio corpo e del mio spirito... Le stagioni sono un evento del cosmo e dei corpi.

3 febbraio

Torna l’antica domanda. Chi sono io? Che cosa voglio essere... ancora? Sono nel mezzo del decennio delle nuove domande di senso [...].
Non c’è prospettiva, studio, costruzione, progetto. C’è una pigra quotidianità che spesso procede per sussulti, con fughe oniriche, desiderio di dormire, chiudendo la stanza da letto a chiave per intere settimane. È improbabile pensare ad un’uscita volontaristica da questa condizione di sofferenza fisica e psichica. Le due cose, d’altronde, sono assolutamente correlate [...].
Non riesco ad accettare il fatto che, in trent’anni la mia struttura sia rimasta immutata, il nucleo del mio essere. Eppure i cambiamenti sono stati tantissimi nella “esteriorità” della mia vita [...].
Dovrei avere il coraggio di ridefinire le priorità. Dirmi con chiarezza cosa voglio essere nella seconda parte della mia vita. In fondo, è questa mancanza di chiarezza che crea danni. Cosa voglio essere? Cosa voglio essere? O dovrò aspettare, come altre volte, che sia la vita a decidere per me? Eppure, quel che volevo essere nella prima parte della mia vita, a fatica l’ho realizzato, male in alcuni casi, ma l’ho realizzato [...].
Non oso scrivere di un periodo “lustrale”, come mi capitava in passato. Avendo sperimentato quasi tutte le vie spirituali cui potevo ambire, mi accontento della piccola fedeltà mattutina ad un Dio che ringrazio, comunque, per i doni che mi ha fatto. In fondo, come ho scritto anche in passato, se dovessi morire ora, non potrei non dire di aver avuto una bella vita. È che sembra mancargli il fuoco, il sale, lo “spirito” che vivifica.

15 luglio

Ho bisogno di un mese e mezzo di lavoro su di me, di letture, di meditazione, al limite di scrittura. Questo deve accadere contestualmente al lavoro sul corpo [...].
È fondamentale ricominciare a focalizzare obiettivi che diano “senso” alla mia esistenza. Navigare a vista non ripaga, ovviamente [...].
È possibile lasciare che il lavorio interiore continui da sé, senza alcuna disciplina? L’estate sarà decisiva anche per questo. Trovare le mie preghiere, i miei riti [...].
Oggi in campagna senso di profondo benessere. Solo San Cumano ristora il mio cuore ferito o stanco.

16 luglio

In me confliggono, spesso la dimensione “apostolica”, predicatoria, e quella riflessiva. Per questo è necessaria una fase di “depurazione” e di pubblico silenzio [...].
Quali ambizioni si agitano in me? A livello immediato, epidermico, direi: stare bene col corpo. Riuscire, finalmente, ad avere un corpo asciutto, come mai ho percepito in vita mia [...].

Nello stesso tempo, dovrei sempre ricordare che è inutile fare attività fisica se non metto sotto controllo l’alimentazione. Anche qui oscillazioni abbastanza emblematiche della mia incapacità di “radicalismo”. Ma è sempre la “testa” che comanda... È il mio rapporto col cibo, per quanto molto addomesticato, resta complesso, come con il sesso. Io avverto, nel corso delle giornate la mia testa, il mio stomaco e il mio ventre. I loro dolori e i loro richiami. Avere più cura del resto, ma anche imparare ad ascoltare sul serio, non solo “rispondere” sì ad ogni chiamata. Sarebbe bello, ad esempio, ripristinare un digiuno settimanale: per lo spirito e per la carne. Un momento “lustrale”. Questo è lo schema conficcato in me dall’infanzia. Di questo non potrò mai liberarmi. Posso solo imparare a farne buon uso. Purificarsi...

mercoledì 9 ottobre 2013

Reverdy - Viaggi troppo grandi


Viaggi troppo grandi

Forse era la prima volta che vedeva qualcosa di chiaro. Si sentiva agganciato all’ultimo vagone del treno di lusso per qualche meravigliosa destinazione e, distrattamente, guardava il paesaggio che scivolava a ritroso molto più svelto di lui. Con la somma di tutti i particolari perduti si sarebbe potuto costruire un nuovo mondo; ma lui non aveva bisogno di nulla. Del suo ruolo, che egli giuocava con la più grande serietà, gli sfuggiva il significato.
Nelle più grandi stazioni, non c’erano abbastanza frastuoni da commuoverlo; meglio comprendeva la solitudine delle bianche casette sul dorso delle colline. Quando si costeggiava il mare vedeva solo le vele delle barche che ne precisavano i confini.
Tutto è inerte e troppo grande per i suoi occhi, per il suo cuore. La sua testa deve rimanere vuota e nulla potrebbe riempirla.
Mentre finalmente – il compito eseguito, terminate la giornata – ritornava là da dove era partito, non pensava che a quel piccolo angolo di terra che conteneva la sua vita, dove avrebbe trovato il posto giusto per morire.


(da La maggior parte del tempo, Guanda, 1966, traduzione di Franco Cavallo)