lunedì 30 dicembre 2013

Yogananda [Diario mentale]


adultità


Diventare adulti

Diventare adulti non è un fatto anagrafico. Ci sono adolescenti già adulti e persone mature ancora “immature”. Essere adulti significa accettare la responsabilità delle proprie azioni. Sapere che ogni cosa che fai ha una conseguenza (positiva o negativa) di cui devi portare il peso.
Maturando cambia la percezione del tempo e si impara anche ad accettare che le lancette non si fermino mai, ma anzi scorrano sempre più velocemente.

Fughe

Nei momenti difficili della vita sogneremo sempre un altrove collocato nel pre- o nel post-. Le forme più radicali di questo altrove sono il paradiso uterino in cui vivemmo per nove mesi e quello “religioso”, dove cantiamo con i beati o giacciamo con le vergini. La regressioni è un bisogno incoercibile per la psiche umana. Ma il sogno può essere solo piacevole, solo la vita vera (incarnata!) dà la felicità. Che è sempre la fine di un percorso aspro. Per aspera ad astra, dicevano gli antichi. Per crucem ad lucem. Scoprirete la profonda e sofferta felicità della vita e dell’essere adulti responsabili.
Gli adulti, anche se conservano persone vicine, sono soli perché le decisioni sono quasi sempre prese in solitudine (quelle importanti). Archetipo di questa solitudine è l’Abramo di cui parla Kierkegaard, che decide da solo di obbedire a Dio e sacrificare il suo unico figlio Isacco.

Paradiso uterino

La regressione uterina, il paradiso amniotico è, probabilmente, la più potente immagine “utopica” che esista: annullamento dell’io, benessere, pace, silenzio... Dunque è normale sognare di tornarvi, in forma simbolica. Quando l’uomo fa l’amore non sta cercando anche di riaprire la porta del paradiso da cui fu cacciato?

Freud



Questo è uno dei motivi per cui considero Freud (anche se ne condivido la visione complessiva del mondo) uno degli autori decisivi della cultura occidentale. Perché ci ha insegnato a fare i conti con quel lato in ombra del nostro essere che solo i poeti prima di lui avevano esplorato, preferendo la filosofia avviarsi (da Socrate in poi, per certi versi) sulla via della razionalità assoluta, della chiarezza, della autotrasparenza. Che è impossibile. Noi non potremo mai conoscerci fino in fondo. Non potremo mai rispondere compiutamente alla domanda: chi sono io? Per certi versi noi siamo vissuti, siamo eterodiretti da zone della nostra psiche di cui non siamo padroni (gli istinti!). Ma con questo bisogna fare i conti, e con la nostra primissima infanzia, dove si decise, in grossa parte, ciò che saremmo stati dopo.

(Dal Quaderno del 2007)

Pascal [La carità]


Cuore infranto


Eraclito [Logos]


domenica 29 dicembre 2013

Buber [Relazione]


Follerau [Amare]


ascolto, poetica/mente





Ho sempre pensato allo sguardo, alla necessità di un altro sguardo. Stamane è arrivato a compimento un pensiero che covava nel profondo. Ragionavo su cosa accomunasse le mie ambizioni: essere – da uomo di fede -  marito, insegnante, poeta. Ebbene, le prime tre cose sono caratterizzate dalla relazione, dall’essere dimensioni necessariamente dialogiche e relazionali: il dialogo con Dio, il dialogo con Rosaria, il dialogo con i miei alunni. A cui ora si è aggiunto, con il ruolo di padre, il dialogo con mia figlia. La parola dialogo però travisa, per la sua origine greca: è “parola tra”. Ma io non parlo con Caterina (o meglio lei non parla con me) eppure siamo già una profondissima relazione. L’essere poeta è uno sguardo diverso sul reale. Ma questo sguardo è sempre soggettivo, è come lo sforzo tutto volontaristico di vedere le cose in un altro modo. Si resta all’interno della metafisica (direbbe Heidegger), della scissione, se sono io che guardo in modo diverso (restando nella centralità dello sguardo). L’ascolto mi pone invece in una posizione non più dominante. Io agisco venendo agito. Ascolto Dio che mi parla e gli rispondo, ascolto mia moglie e i suoi bisogni e le rispondo, ascolto mia figlia che piange e le rispondo con un’azione, ascolto i bisogni dei miei studenti e agisco di conseguenza. Ascolto il mondo: questa forse è la poesia. Non sguardo ma ascolto. 

(Dal Quaderno del 2006)

Celan - Il meridiano


Pace II


Follerau: Amare...


sabato 28 dicembre 2013

quaderno 2005 (dicembre)



Il corpo e la mente. Il corpo è la mente. La mente è il corpo. Non dimenticare. Ogni cosa che accade nell’uno accade anche nell’altro. Sempre. Illusoria ogni scissione. Nel bene come nel male (in quel che noi crediamo bene, in quel che noi crediamo male). Saggezza orientale da recuperare in toto.

* * *

Bisogna curare ogni gesto. Quando alcune pratiche che sono state positive si rivelano mortifere, bisogna avere il coraggio di troncarle.
La quantità non è mai un valore.
Importanza del raccoglimento.
Chiedersi sempre: cosa sto facendo ora? Se non è in grado di rispondersi, bisogna fermarsi e capire. Non imputare mai al tempo, soprattutto nel mio caso, la colpa. Ogni azione è importante se vissuta con consapevolezza.
Non lasciarti dominare dagli eventi.
Ogni giorno una crescita di consapevolezza.
Non c’è nessuna azione importante in sé.

* * *

Le strade del suo cuore.
Mare agitato.
Sciogliere catene inique.
Spezzare ogni giogo.
Varcate la porta, il tempio del cuore.

Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza (Is., 50, 5-7).

(Dal Quaderno del 2005)

Amorosa solitudine


venerdì 27 dicembre 2013

Matrix radix


Iribarren - I giorni normali




LOS DÍAS NORMALES
Llegan
y se van sin hacer ruido
–como buenos
clientes–,
luego el tiempo los confunde
en la memoria,
y ya ni sabes
si aquel lunes era jueves
o al revés.

Que no te engañen,
no son tan poca cosa
como parecen:


suelen poder
con el amor.


(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

Qui una versione musicata della poesia di Vicente Llorente.

giovedì 26 dicembre 2013

20 pensieri




1.  Bisogna accettare le prove della vita, vivendole nel centro dell’uragano: scavalcarle con il sogno di una stagione serena è, nello stesso tempo, vile e vano, perché ci saranno problemi sempre nuovi ad angustiarci. Come Arjuna bisogna non rinunciare al proprio dovere, slanciarsi nella battaglia, senza badare al frutto dell’azione: in linguaggio cristiano, senza aspettare una ricompensa da Dio.

2.    Qualsiasi possesso implica l’asservimento a ciò che si possiede.

3. Il peccato più grande, quello contro lo Spirito, è abbandonarsi alla disperazione, credere che Dio ci abbia abbandonato. Bisogna guardarla in faccia la disperazione, non farsene travolgere. Soprattutto, non bisogna mai credere che ci sia qualcosa che meriti la nostra disperazione assoluta: disperare vuol dire essere senza speranza. Questo è il puro ateismo, essere privi di speranza. Ricordarsi di San Paolo (soprattutto la speranza). Non esiste nulla che meriti la nostra disperazione (non esiste il Nulla che solo la meriterebbe!).

4.   È difficile conciliare l’aspirazione alla felicità con la vita cristiana. Perché ciò avvenga è necessario distruggere l’io, la cosa più difficile: esso infatti tende a far coincidere la felicità con la propria soddisfazione (fisica e psichica). Bisogna “perdere se stessi”. Questo è il messaggio comunicabile di tutti i grandi maestri spirituali dell’umanità che Cristo ha incarnato più di tutti. Fino a quando un uomo crede che il fine della sua vita sia la felicità dell’io non farà altro che scontrarsi con la costituzione dell’essere umano (per la quale resta insuperata l’analisi leopardiana). Il vacuo edonismo del nostro tempo deriva da scarsa lucidità nel capire il nesso tra ricerca spasmodica della felicità (del piacere) e sua impossibile realizzazione esclusivamente “umana”.

5.   La nostra è un’epoca terribile perché moltiplica all’infinito il desiderio e additando come modelli esistenziali esempi di “felicità compiuta”. Simbolo del tempo sono i cataloghi, moltiplicatori di attese e speranze, fonte di dissipazione dell’energia fondamentale dell’uomo che dovrebbe aspirare alla compiutezza assoluta (cioè slegata da tutto). L’uomo allora disperde in mille rivoli il suo cuore. Da qui l’esigenza della “povertà” di cui parla Cristo (come ogni maestro dello spirito). Nella povertà l’uomo può raccogliere le sue energie per raggiungere il suo tesoro, il Sé, conoscendo se stesso, secondo il motto ripreso da Socrate e collocandosi così al centro dell'universo cosmico.

6. Come ottenere tale risultato restando nel mondo? I solitari (monaci) per l’organizzazione stessa della loro vita, sono facilitati in questo tentativo. Davvero, come dice Eckhart, ci vuole una maggiore santità per seguire Cristo continuando a vivere nel mondo.

7.   Calmarsi, sorridere, momento presente, momento meraviglioso.

8.  «L’azione è superiore all’inazione» (Bhagavadgita, III, 8). «Meglio il nostro proprio dovere benché imperfetto che il dovere altrui ben compiuto» (III, 35).

9.   «Mangiando, bevendo, masticando, gustando, evacuando, camminando, restando seduto, dormendo, vegliando, parlando o tacendo, egli comprende perfettamente quello che fa» (Dîghanihâkya).

10. I demoni esistono. Nel cuore dell’uomo. Il loro signore è Satana, il diavolo, “colui che separa” (l’uomo da Dio). Ogni uomo combatte con un demone sconosciuto agli altri, con quale convive fin dall’infanzia. Quando riesce a sconfiggerlo, torna nel seno di Dio, che lo accoglie come il figliol prodigo.

11. «Porre rimedio al divorzio che esiste da venti secoli tra la civiltà profana e la spiritualità nei paesi cristiani» (Weil, Lettera a un religioso).

12. Limitare i consumi oggi è una forma di santità nei confronti degli altri e del mondo, dunque di Dio.

13. «Ancora benedicimi perché un uomo mantenga ciò che un ragazzo promise» (Hölderlin, Alla mia venerata nonna).

14. Un uomo che guarda con fervida ammirazione ad individui eccezionali, viene corso da brividi quando pensa al martirio, e poi attua una vita “borghese” (nel borgo, con le pantofole ai piedi), mirando esclusivamente alla tranquillità.

15. «Il fuoco che io accendo è quel che appare del fuoco interiore che mi consuma» (Gandhi).

16. «La civiltà non consiste nel moltiplicare i bisogni, ma piuttosto nel ridurli, coscientemente e volontariamente» (Gandhi).

17. È difficile combattere con se stessi, malgrado le buone intenzioni. Non basta persuadersi che la propria vita non conta nulla nel mare dell’essere e che tutto ciò che crediamo appartenerci (dalle qualità interiori agli oggetti) è destinato a trapassare rapidamente. Arrivati a questa consapevolezza, bisogna saper accettare la voragine che si schiude sotto (e sopra) di noi. «Che farò ora?». Non è nichilismo: il nichilismo apre un vuoto che accetta di essere riempito da tutto, violenza e droghe, pornografia e politica. No, si tratta di un vuoto assoluto, che richiede una capacità assoluta di risposta.

18. Ogni uomo deve essere “pontefice”, costruire i ponti per (far) accedere a Dio.

19. La materia come serbatoio di forze sacre.

20. Sarò adulto quando non avrò timore, permanendo nella giustizia, dello scontro, fino alle estreme conseguenze, guardando le persone negli occhi. 



(Dal Quaderno del 1998)

Morante - Il mondo salvato dai ragazzini


Ave


domenica 22 dicembre 2013

Al Dio sconosciuto


Iribarren - La cosa peggiore, la più triste



LO PEOR , LO MÁS TRISTE

No sé si soy
feliz,
si verdaderamente
lo he sido
alguna vez;
aunque creo que no.
Y a ti te ocurre
otro tanto,
me consta.
Pero no es esto
lo peor.
Lo peor del caso,
lo más triste,
es que ya
ni siquiera

nos importa.


Karmelo C. Iribarren
 è un poeta spagnolo (San Sebastiàn, 1959), che ha autorizzato formalmente la pubblicazione dei suoi testi tradotti.

* * *

Con questo post "Svolta del respiro" accoglie l'appassionato lavoro di traduzione di Anna Rita Margio, con l'auspicio che chiunque ami la poesia voglia contribuirvi.