Giovanni Barra ha dedicato una riflessione al tempo “post-ideologico”
che staremmo vivendo che merita di essere discussa, piena di spunti felicemente
polemici.
Lo faccio, però, partendo da un’assunzione di campo, che è parte
integrante del mio modo di concepire la politica. Gramsci mi ha insegnato che
bisogna essere “partigiani”. Detesto anch’io «il piagnisteo degli eterni
innocenti». Dunque, mi assumo l’onere dell’errore, inevitabile quando si fanno
scelte in tempo reale, nel qui ed ora della storia, «che non passa la mano». Il
mio discorso, allora, di filosofia politica proverrà dal campo in cui ho scelto
di militare nell’ultimo anno, quello del Movimento 5 Stelle, che è uno degli
oggetti polemici della riflessione di Barra. E sarà, dunque, la mia una risposta
“polemica”, conflittuale, agonistica.
Partiamo dalla domanda iniziale. «Le ideologie hanno davvero esalato
l'ultimo respiro?» Nel senso novecentesco, direi, sicuramente sì. Ma questo non
è necessariamente un male, come invece, mi pare, emerga dal discorso di
Giovanni, in cui il il post-ideologico appare come «un meccanismo di difesa
della politica – sempre più volutamente miope nell'interpretare le turbolenze
sociali – rispetto al proprio ruolo». Davvero
oggi la politica è miope rispetto alle turbolenze sociali? Io vedo, al
contrario, un’accelerazione in molti luoghi del mondo e in Italia di processi
impensabili con le categorie novecentesche (in particolare l’asse, di
derivazione rivoluzionaria, destra/sinistra). Insomma, io credo che Barra,
leggendo con strumenti analitici ereditati dal grande Novecento (politico e
filosofico) risulti lui miope rispetto a quanto sta accadendo che va non solo
interpretato ma, soprattutto, vissuto, fatto proprio, anche a costo di
sofferenze personali (come, non nascondo, nel mio caso).
Un’altra categoria utilizzata da Barra è quella,
resa celebre da Bauman, di “liquidità”: sia il PD renziano che il M5S farebbero
della «liquidità dottrinaria» «una
risorsa da sfruttare nella ricerca machiavellica del voto». Qui inizia ad
emergere l’impossibilità di applicare uno strumento unico nell’analisi di
fenomeni completamente diversi. Per chiunque frequenti il M5S o lo analizzi
attentamente risulta evidente che non solo l’obiettivo non è la ricerca del
consenso ma che talvolta si pongono in atto strategie che sembrano andare in
direzione opposta. Questo accade perché il M5S non ricerca elettori in prima
battuta ma attivisti, cerca di costruire nei territori nuclei di cittadinanza
attiva. Ma, qui Bauman ci aiuta, sicuramente il M5S è un “movimento” liquido.
Prima di tutto perché tale è la caratteristica dei movimenti, lontanissimi dal
modello di partito l’archetipo del quale è l’SPD tedesca nata nella seconda
metà dell’Ottocento, e poi perché non richiede l’adesione ad una “ideologia”
capace di coprire tutti gli ambiti della politica, come accadeva, ad esempio,
con il comunismo.
Inutile dire che l’analisi sul PD di Barra la condivido. Non è più un
partito di “sinistra”. Ma attenzione a sottovalutare l’innovazione di Renzi
nella politica italiana: per la prima volta il decisionismo e il merito
diventano le parole d’ordine di un partito che si definisce di sinistra. Questo
ci dice, dunque, che l’asse novecentesco non funziona più per l’interpretazione
della politica italiana. Ma questo accade anche in Francia, dove sta avendo
grande successo un libro di Jack Dion (Le mépris du Peuple, Il disprezzo del
popolo) dove leggiamo: «centrodestra e centrosinistra difendono gli
stessi precetti, quelli del neoliberismo». E Dion introduce, sulla scia di
Laclau (e, aggiungo io, McCormick) una categoria, quella di “populismo”, che
potrebbe diventare lo strumento euristico per la comprensione della metamorfosi
della politica in atto in molti paesi. Tratti populistici sono presenti
nell’esperienza di Syriza e di Podemos, tratti populistici sono presenti (si
ricordi la rivendicazione accorata fattane da Dario Fo sul palco a Roma) nel
M5S, che è stato, in Europa, il primo movimento con tratti così innovativi.
Barra elenca una serie di critiche al M5S. Per carità, alcune sono
legittime e addirittura condivisibili. A me, però, interessa il processo in atto.
Mentre in Italia si è plasticamente strutturata un’alleanza di oligarchie (i
governi Monti, Letta, Renzi, il patto del Nazareno et cetera) il cui collante è
il neoliberismo che (ripetendo il mantra di competitività, flessibilità,
liberalizzazioni e costo del lavoro) tuteli gli “oligoi” e circoscriva il potere del
“demos”, guidata dalle aristocrazie del capitale globalizzato, sta nascendo, a
fatica e tra mille, inevitabili contraddizioni, un polo “populistico” che cerca
di dar voce a quello che “Occupy” definì il 99%. La battaglia sul reddito di
cittadinanza ne è testimonianza.
Forti dosi di democrazia diretta, un ecologismo
radicale, la giustizia sociale (perseguibile solo all’interno, come insegna
Latouche, di “limiti”), la decrescita conviviale (che significa anche, qui ed
ora, far diventare Benevento città OGM free...): questo costituisce una
«ideologia debole», per citare Barra (e Vattimo), che non rinunzia però al
conflitto.
(Articolo apparso su «Il Vaglio» nel marzo 2015)
Nessun commento:
Posta un commento