mercoledì 10 febbraio 2016

mangiare carne, morte e schiavitù




Cara Teresa,
non entro nel merito della questione “mediatica”. Non ci ho riflettuto abbastanza. Ma mi permetto di ragionare filosoficamente sulle tue riflessioni. Lo faro per punti. Pochi ma essenziali. Con la doverosa premessa che sono vegetariano (non vegano, anche se la strada è quella) dal 1984, quando ascoltai, per quanto mi fossi rifugiato in un bosco, le grida strazianti di un maiale che sgozzavano nel cortile di casa mia.
Premetti che le prove sulla natura onnivora dell’uomo sono “pseudoscientifiche”. Condivido: non è questo il punto, ma qualcosa che tu stessa scrivi poco prima. «L’uomo è un animale culturalizzato». Dunque, capace di modificare i propri comportamenti istintuali. «Dal dì che nozze, tribunali ed are» diedero alla belva umana la pietà nei confronti dei propri simili perché non pensare che, evolutivamente, questa pietà, questa “capacità empatica” (come la definisce Rifkin in L’era dell’empatia) non possa estendersi gradualmente anche agli “animali” non umani e all’intero creato?
Il vegetariano e il vegano sono incoerenti perché mangiano vegetali, scrivi. Ma è evidente che, in mancanza di certezze, ciò che vale è la capacità di soffrire degli esseri viventi, che cresce con la complessità delle strutture fisiche. La persuasione di un animalista è che fra una zanzara, necessaria all’ecosistema, e un cane o una mucca ci sia una differente capacità di patire, così come fra una rosa e un gatto.
Come già insegnava Schopenhauer alla metà dell’800, l’atteggiamento della cultura occidentale (dentro il quale, ovviamente non si pongono alternative alla sperimentazione sugli animali, quindi è inutile discuterne) è totalitario nei confronti delle altre specie. Frutto, in particolare della matrice ebraica, del libro della Genesi, del dualismo radicale fra Dio e mondo ivi postovi, assente in altre culture, per esempio quelle orientali o quelle dei nativi americani. E, dunque, il problema può essere affrontato seriamente solo con un radicale mutamento di paradigma in relazione al rapporto uomo/altri esseri viventi. La cultura occidentale, di cui la medicina che testa sugli animali è solo una manifestazione, dovrebbe avviare una radicale ridefinizione dei propri fondamenti. Altrimenti si resta all’interno di polemiche rinfocolate probabilmente da case farmaceutiche prodighe di doni e finanziamenti a giornalisti, oltre che ai medici.
Ti invito a (ri)vedere in questi giorni il Lincoln di Spielberg, ricordandoti che uomini straordinari, da Socrate ad Aristotele, hanno ritenuto che la schiavitù fosse tale “per natura”, fino a quando “fondamentalisti” esagitati e violenti come John Brown con azioni anche violente (per le quali furono impiccati) scossero l’America e il mondo, trovando in un decisore “machiavellico” come Lincoln il provvidenziali legislatore che abolì la schiavitù.
Sono certo che fra qualche secolo gli umani guarderanno con lo stesso orrore con cui noi guardiamo la schiavitù il tempo in cui ci si cibava di carni morte...
«Per di più, crediamo che i suoni e le strida che gli animali emettono siano voci inarticolate, e non piuttosto preghiere, suppliche e richieste di giustizia». Così scriveva Plutarco di Cheronea nel I secolo dopo Cristo.

(Articolo apparso su «Il Vaglio» il 3 gennaio 2014, in risposta ad un articolo di Teresa Simeone)

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