Cara Teresa,
non entro nel merito della
questione “mediatica”. Non ci ho riflettuto abbastanza. Ma mi permetto di
ragionare filosoficamente sulle tue riflessioni. Lo faro per punti. Pochi ma
essenziali. Con la doverosa premessa che sono vegetariano (non vegano, anche se
la strada è quella) dal 1984, quando ascoltai, per quanto mi fossi rifugiato in
un bosco, le grida strazianti di un maiale che sgozzavano nel cortile di casa
mia.
Premetti che le
prove sulla natura onnivora dell’uomo sono “pseudoscientifiche”. Condivido: non
è questo il punto, ma qualcosa che tu stessa scrivi poco prima. «L’uomo è un
animale culturalizzato». Dunque, capace di modificare i propri comportamenti
istintuali. «Dal dì che nozze, tribunali ed are» diedero alla belva umana la
pietà nei confronti dei propri simili perché non pensare che, evolutivamente,
questa pietà, questa “capacità empatica” (come la definisce Rifkin in L’era dell’empatia) non possa estendersi
gradualmente anche agli “animali” non umani e all’intero creato?
Il vegetariano e
il vegano sono incoerenti perché mangiano vegetali, scrivi. Ma è evidente che,
in mancanza di certezze, ciò che vale è la capacità di soffrire degli esseri
viventi, che cresce con la complessità delle strutture fisiche. La persuasione
di un animalista è che fra una zanzara, necessaria all’ecosistema, e un cane o
una mucca ci sia una differente capacità di patire, così come fra una rosa e un
gatto.
Come già
insegnava Schopenhauer alla metà dell’800, l’atteggiamento della cultura
occidentale (dentro il quale, ovviamente non si pongono alternative alla
sperimentazione sugli animali, quindi è inutile discuterne) è totalitario nei
confronti delle altre specie. Frutto, in particolare della matrice ebraica, del
libro della Genesi, del dualismo radicale fra Dio e mondo ivi postovi, assente
in altre culture, per esempio quelle orientali o quelle dei nativi americani. E,
dunque, il problema può essere affrontato seriamente solo con un radicale
mutamento di paradigma in relazione al rapporto uomo/altri esseri viventi. La
cultura occidentale, di cui la medicina che testa sugli animali è solo una
manifestazione, dovrebbe avviare una radicale ridefinizione dei propri
fondamenti. Altrimenti si resta all’interno di polemiche rinfocolate
probabilmente da case farmaceutiche prodighe di doni e finanziamenti a
giornalisti, oltre che ai medici.
Ti invito a
(ri)vedere in questi giorni il Lincoln
di Spielberg, ricordandoti che uomini straordinari, da Socrate ad Aristotele,
hanno ritenuto che la schiavitù fosse tale “per natura”, fino a quando
“fondamentalisti” esagitati e violenti come John Brown con azioni anche
violente (per le quali furono impiccati) scossero l’America e il mondo,
trovando in un decisore “machiavellico” come Lincoln il provvidenziali
legislatore che abolì la schiavitù.
Sono certo
che fra qualche secolo gli umani guarderanno con lo stesso orrore con cui noi
guardiamo la schiavitù il tempo in cui ci si cibava di carni morte...
«Per di più,
crediamo che i suoni e le strida che gli animali emettono siano voci
inarticolate, e non piuttosto preghiere, suppliche e richieste di giustizia».
Così scriveva Plutarco di Cheronea nel I secolo dopo Cristo.
(Articolo apparso su «Il Vaglio» il 3 gennaio 2014, in risposta ad un articolo di Teresa Simeone)
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