giovedì 18 febbraio 2016

riflessioni sul cattolicesimo beneventano



Da molto tempo sono convinto che la nostra sia una città la cui struttura profonda è, mi si consenta la semplificazione, cattolica e contadina. Questi elementi sono, evidentemente, complessi, ed ogni lettura riduzionistica rischia non solo di rivelarsi incompleta ma anche foriera di scelte sbagliate, dal punto di vista concreto, etico e politico. Se quel che scrivo è vero, necessariamente una trasformazione strutturale di Benevento passa attraverso la ridefinizione di questi due ambiti, in particolare attraverso una “riforma religiosa”.
Metto insieme alcuni elementi, necessariamente incompleti, ma la mia riflessione potrebbe portare altri ad intervenire e a complicare i punti di vista.
Qualche settimana fa, al Collegio La Salle si è svolta una Settimana di educazione alla cittadinanza (cui io stesso ho partecipato) chiusa da padre Alex Zanotelli, emblema di un cristianesimo testimoniale, “de” e “per” gli ultimi, impegnato da anni nelle battaglie per i beni comuni. Qualche giorno fa, i Focolarini hanno invitato a dialogare Piero Coda e Vincenzo Vitiello. Il teologo ha sostenuto tesi estremamente provocatorie, rimarcando come la dimensione “dialogica” interna alla Trinità preluda ad una civiltà del dialogo e dell’accoglienza; il filosofo ha aperto a tesi (quella dell’assoluta alterità di Dio) di chiara matrice barthiana e, in genere, luterana. Fra qualche giorno si svolgerà un seminario, organizzato da Millennivm (il cui scopo è «la rinascita dei due elementi fondanti le comunità umane: il Popolo e la Tradizione»), dedicato a Plinio Corrêa de Oliveira, teologo reazionario, il cui pensiero a Benevento è stato divulgato da padre Antonio Di Monda (che ho conosciuto e frequentato, grazie a Mario Pasquariello), la cui eredità teologica viene perpetuata dai molti discepoli che insegnano nelle scuole e svolgono attività intellettuali. Sullo sfondo resta, per ora, la traduzione “politica” del cattolicesimo beneventano. Cosa ben misera appare, se osserviamo il desolante panorama emerso dalle ultime elezioni amministrative. Ma negli ultimi anni la Chiesa ha rilanciato in grande stile gli apparati di formazione di un nuovo ceto politico cattolico (in particolare attraverso le Università Cattoliche), e di questo si parlerà in un incontro previsto per il 23 marzo.
È possibile interpretare questi dati? A me pare, e lo dico non da semplice osservatore, ma sentendomi certo non cattolico, forse neanche cristiano ma sicuramente “gesuano”, e, dunque, in qualche modo, titolato a parlare “dall’interno” di un processo di revisione critica dell’identità comunitaria originaria, a me pare, dicevo che sia in atto uno scontro importante tra due visioni entrambe “estreme” del cattolicesimo, tra le quali si colloca la consueta “palude” delle anime pie, dei piolatri, degli acquiescenti, dei farisei. C’è una Benevento cattolica, più realista del re, che legge ancora De Maistre e se ne entusiasma, una Benevento senz’altro “docta”, ma anche “assolutista”, priva di dubbi, in una parola: integralista. Una di queste persone (ma è ovvio che non sto generalizzando), a me che gli facevo notare che Gesù era ebreo, lasciandomi letteralmente senza parole, una volta mi disse che per lui il cattolicesimo era la religione ariana… Fabrizio De Andrè di loro scrisse ne Il testamento di Tito: «Lo sanno a memoria il diritto divino, e scordano sempre il perdono». C’è un’altra Benevento, che negli anni passati io ho ammirato soprattutto in persone come Domenica Zanin. Grazie a sacerdoti coraggiosi come don Salvatore Soreca questo cattolicesimo può finalmente mettere radici, sostituendo alle parole della “verità” quelle della “carità”, alle certezze dogmatiche le contaminazioni e le aperture. Ovviamente, questo è il mio auspicio. Se ciò accadrà, se la “religione”, ritrovando il suo nucleo spirituale, tornerà a “rilegare” una comunità non chiusa ma accogliente, dischiusa all’alterità, tutta la nostra città ne sarà ravvivata, trasfigurata.

Jehosua Ben Joseph, lo straordinario predicatore contadino che annunciava l’imminenza del regno di Dio, nel linguaggio della sua formazione lo paragonava al granello di senapa. Il cristianesimo, se vissuto integralmente (non integralisticamente!) può essere il motore di una trasformazione radicale delle persone e delle comunità. Soprattutto in una realtà come la nostra.

(Apparso su «Il Vaglio» nel marzo 2012)

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