lunedì 23 aprile 2018

Nel chiaro mondo IV (Iuliano)

Migranti e naufraghi, da sempre in gurgite vasto, cerchiamo ancore ed approdi che ci diano salvezza e ristoro.
È dalla notte dei tempi che, perseguitati da tenebre e buio, compagne tiranne le paure che tolgono il sonno e il respiro, cerchiamo certezze di luce. Soprattutto quelle del giorno per avere ampi orizzonti da scrutare e, intimamente, da conoscere ed assorbire come ossigeno e linfa. 
Chiarori di storie e vicende dirimono il nostro tempo ma anche chiarezza di parole perché rendano la vita un racconto comprensibile, fiduciario, entro cui incamminarsi tra soste e cadute, ferite e croste. E di cicatrici rimarginate, più o meno visibili, segni di scontri, sofferenze e vittorie.
È questo da sempre il dettato poetico di Nicola Sguera.
La ricerca di un mondo in chiaro, specola di ogni rifrazione, assomma e racchiude la sua ultima plaquette come in una obbligante liturgia di rito latino: antifona di purificazione pro nobis – Sguera ha il culto di sé in una visione cristianamente ecumenica – per affrancarsi dal vuoto orribile che ognuno si porta appresso per cattiva o mancata conoscenza, per incomprensione e spesso per umano disaccordo; elegia filiae matrique  “dive e divine”, un insieme di carne e  amore che, tra sospensioni e sconfitte, può rigenerarsi nel miracolo; cenacolo ovvero costruzione di un luogo dell’anima, calice ed ostia di comunione; bibbia per una storia da sperimentare: un’uscita e un esodo per mettere ordine alla vita o contenerla. E dai suoi possibili molteplici fogli, significativi di una vita animata e complessa, ritrovare la propria identità in una sola pagina.
Ecco spiegate le ragioni ispirative e di scrittura della silloge Nel chiaro mondo. Una raccolta breve ma intensa, capace in sei sezioni di disegnare l’esistenza, smontarla e riordinarla nei suoi pezzi come tessere di un mosaico che si completa in forme, trasparenze e colori. 
La sua genesi è un cantico “altro” delle creature, un viatico per risalire dall’abisso e dal disordine. La natura, oggetto di abbandono e vilipendio, trova con Sguera un cuore di carità e un impegno a lavorare per il mondo.
Nell’avvicendamento tra caos e cosmo, logos e fuoco, eros, la sua preghiera, – farmaco di ogni salvezza -  muta e raccolta, rompe il silenzio; raccoglie “memoria della terra”; mitiga il dolore; si incontra nel volto di chi fatica nel sudore del giorno.
L’aspirazione alla pace – passo e speranza per chiunque -  non è né certezza né conquista; vieppiù non rinfranca perché “guarisco per crisi”, e i relativi affanni e bisogni trovano le necessarie risposte nell’arco e nella lira. 
Tre soli punti, significativi ed assorbenti, valgono quanto le Tavole della legge: 

Non disertare. 
Non desertificare. 
Feconda. 

Questa “trinità”, che racchiude ammonimenti e un incitamento, si coagula in forza di parola che si spande nel vento/alito per raccordarsi ed affrontare ogni altra sfida. 
Un manuale esistenziale e persuasivo, quello di Sguera, per uno stesso cammino nella vita e nella poesia, che da anni ci fa ritrovare, per ago di bussola di cuore e mente, solerti compagni di viaggio.

Giuseppe Iuliano

* * *

Giuseppe Iuliano è poeta, critico letterario, difensore della cultura meridionale, orgogliosamente irpino. Mi onora della sua amicizia.

domenica 22 aprile 2018

Nel chiaro mondo III



Nel chiaro mondo (il titolo è tratto da un verso dantesco tra gli ultimi del canto XXXIV dell’Inferno) raccoglie ed ordina quanto scritto a partire dal 2010, anno in cui riordinai tutta la produzione precedente in Per aspera.

Quali le novità fondamentali intercorse da allora? Ne sottolineo due. La prima è sicuramente un’evoluzione del mio percorso spirituale sempre irrequieto. Oggi amo definirmi, con una punta ironica, un “diversamente credente”. Non so precisamente in chi o cosa “credo”, non so neanche se la mia fede sia ascrivibile alla “credenza” o se la mia fiducia nella sensatezza complessiva del cosmo e dell’esistenza non si traduca oramai esclusivamente in un’ortoprassi (come per altro auspicavo in una saggio raccolto nel libro In quieta ricerca). E se penso al mio modo di pregare ecco che la poesia mi soccorre. La poesia è l’unica preghiera di questo tempo: in essa trovo le uniche parole ricolme di Spirito che mi nutrono.
La seconda novità, probabilmente connessa all’altra, è l’impegno politico diretto. Non che la politica non sia stata tra le passioni dominanti della mia vita da molti anni a questa parte (sebbene abbia superato presto la tentazione di scrivere, ad esempio, poesia “impegnata”). Ma nel 2016 sono entrato nel Consiglio comunale della mia città, investendo sempre più tempo nella lettura di delibere, determine, documenti amministrativi. Questa esperienza (come ha ben intuito Luca, che ne scrive) ha modificato il mio modo d’essere, educandomi all’accettazione del conflitto (già preparata dalla meditazione degli ultimi anni su Eraclito). D’altro canto proprio la necessità di non inaridirmi nello scontro quotidiano, spesso meschino, mi ha spinto pubblicare un nuovo libro, in modo che la poesia divenisse nutrimento dell’anima in un momento rischioso.
Aggiungerei un elemento psicologico nuovo: i problemi sono sempre gli stessi, ma il mio modo di affrontare la vita, a partire dalle piccole cose, mi pare totalmente diverso. Potrebbe essere la consapevolezza di aver raggiunto gli obiettivi esistenziali che mi ero prefisso? Non lo so, al netto dell’autoinganno per cui, probabilmente, tendiamo a costruire una “storia” il cui compimento inevitabile ci appare quello che abbiamo realizzato (ed è per questo che non credo scriverò mai un Ad astra...). Escludo sia “saggezza”. La mia personalità difficilmente troverà la propria incarnazione definitiva nella figura del “vecchio saggio”. Fatto sta che alcune “strutture” che hanno dominato la mia vita per più di quarant’anni sembrano indebolirsi. In fondo, mi sono sempre sentito responsabile di tutto quanto accadeva, dalle guerre in paesi lontani alle vicende familiari. “Lasciare che sia”. Ecco da cosa nasce la mia serenità, sperimentata prima solo per brevissimi periodi in vece di un’ansia «che insegue se stessa» (per citare uno dei versi scritti a me più cari) o di una rabbia senza causa o di una paura del futuro. Ecco: lo sfondo di queste poesie sono gli anni di questa metamorfosi che non so se abbia solo, banalmente, a che fare con gli anni che passano.
La foto in copertina riproduce, in una brumosa mattina che confondeva il paesaggio e la vista, l’ingresso di San Cumano, il luogo in cui sono accadute quasi tutte le esperienze decisive della mia esistenza, l’unico in cui, periodicamente, riscopro la mia essenza cosmoteandrica, nonché, più prosaicamente, centro vivente di una famiglia che unisce i trapassati e i viventi, non solo nel ricordo e nei simboli.

(Dalla “Introduzione” dell’autore)

sabato 21 aprile 2018

Nel chiaro mondo II (Rando)



Ti muovi intorno a pochi argomenti, le radici del tuo essere, quello che ti ha fondato e su cui ancora torni come ad una fonte a cui abbeverarti: 

1) la terra, San Cumano [...];
2) la famiglia (quella di origine innanzitutto, con tua madre, tua sorella; e poi quella che ti sei creata, tua figlia, tua moglie) [...];
3) lo scontro. È nello scontro, nella perenne contraddizione che vivi. La preghiera e la bestemmia, l’amore e il rifiuto, la saggistica e la poesia, il fuoco e la notte, l’arco e la lira. Contraddizioni che cerchi di sanare in te, mai pacificandoti, ma sempre teso alla consonanza degli opposti, consapevole della compresenza e forse della necessità di quei doppi: non l’uno contro l’altro ma l’uno per l’altro. 
Resta alla fine un discorso di speranza, speranza per un mondo che pur nelle tenebre del dolore, della morte, della paura, nel deserto di senso che sembra stringerci, risulta “chiaro”, luminoso. Amor omnia vincit. E feconda. Mi viene in mente la frase finale di un vecchio film (Daddy nostalgie): «Chiudere la finestra a cosa serve oramai? A far finta di vivere in attesa che ritorni la voglia». Il tuo non è un fare finta, ma vivere pienamente (in ogni contraddizione, in ogni trafittura) la vita per restituire senso alle cose.

(Dalla "Introduzione" di Luca Rando)

venerdì 20 aprile 2018

Nel chiaro mondo I (Guzzi)

Nicola Sguera non ama edulcorare, non vuole mentire, ci mostra la vita come essa è: un crogiolo di contraddizioni, un magma infuocato e splendido, dove la bellezza e la morte, la violenza e la tenerezza, la speranza e l’angoscia convivono strettamente, in abbracci convulsi, e a volte strazianti. Nicola non vuole tirarsene fuori da questi conflitti che sembrano insanabili, vuole al contrario starci dentro, ben radicato, vuole combattere il suo duello all’ultimo sangue, non vuole cedere di un solo millimetro sulla trincea della vita.
Nessuna esenzione, dunque, nessuna diserzione, nessun abbellimento moralistico o spiritualistico, ma anche nessun indulgere alla retorica della disperazione, o al compiacimento minimalistico degli ultimi degli uomini, o all’estetismo dei corrotti senza pentimento. No, qui si sta in piedi e si combatte. La poesia di Nicola è in tal senso profondamente mistica, e proprio per questo essenzialmente rivoluzionaria. Ci vuole infatti un radicamento spirituale quasi abissale, per ridestare oggi, in pieno XXI secolo, uno spirito ancora capace di sfidare le potenze totalitarie di questo mondo. Ci vuole, direi, lo spirito del Re David, ci vuole al contempo il fuoco del canto, la Lira, e il fuoco della rivolta, l’Arco, per fronteggiare l’ondata di non senso che fuoriesce da tutti i video, i computer, e gli Iphone del mondo.

(Dalla “Prefazione” di Marco Guzzi a Nel chiaro mondo, Delta 3 Editore, 2018. Il disegno è di Ferdinando Silvestri).



martedì 17 aprile 2018

X



Questo blog compie oggi 10 anni. Ha avuto 150 mila visitatori. Ospita circa 600 post distribuiti in maniera ineguale nel corso degli anni.
Lo intitolai “Di soglia in soglia”, evocando una delle grandi raccolte poetiche di un poeta a me carissimo, Paul Celan, cui avrei dedicato diversi post, e che, accanto a Char, costituisce il riferimento poetico più importante degli ultimi anni. Lo scorso anno ritenni giunto il momento di accollarmi anche la responsabilità del nome, il mio nome, nella speranza di diventare quell’άνθρωπος τέλειος di cui parla spesso Dietrich Bonhoeffer (evocando l’Iliade), capace di tenere insieme tutti gli ambiti (o i mandati) della propria esistenza. Anche per questo sono confluiti qui tutti i blog aperti nel corso degli anni.
Soprattutto in virtù dell’impegno diretto, a partire dall’elezione a consigliere del 2016, il blog ha accentuato il suo carattere politico, che però era in nuce già nel primo post, nato dalla cocente sconfitta che la sinistra italiana subì nel 2008: «Ora assisto attonito alla scomparsa della sinistra dal Parlamento italiano». E aggiungevo: «Possiamo passare i prossimi anni ad elaborare il lutto o vivere questa catastrofe come un nuovo inizio. Vorrei impegnarmi in questo, a partire dal mio luogo, dallo spazio che abito, la mia città. Ciò che verrà (che non si dovrà chiamare sinistra, probabilmente) dovrà essere un’esperienza fortemente territoriale e comunitaria».
Il post successivo era dedicato a Mastella, travolto dallo scandalo UDEUR (poi chiusosi con piena assoluzione). E poco dopo un post dedicato a Grillo, a quanto la sinistra italiana avrebbe potuto giovarsi di tale esperienza, allora ai suoi primi passi.
Guardandomi alle spalle credo di aver mantenuto fede all’impegno preso. Per farlo, però, ho dovuto disertare quel campo d’azione che ho sentito mio a partire dai vent’anni, rassegnandomi all’idea che ciò che ancora chiamiamo “sinistra”, almeno in Italia, possa tornare alla sua missione storica. Il blog è stato uno degli strumenti attraverso cui elaborare tale transito, difficile, doloroso ma necessario. E continua ad esserlo. Mi appare doveroso “vivere in pubblico”, in assoluta trasparenza, le metamorfosi della mia passione politica, lasciando tracce di permanenze e trasformazioni.
I momenti apicali di questa storia sono stati tre: la mia elezione nel Consiglio comunale (giugno 2016), dopo una campagna elettorale senza neanche una telefonata o una richiesta di voto, tutta “dentro e con” il M5S di Benevento e sui social, la vittoria (per me inattesa) nel referendum costituzionale contro la riforma Boschi-Renzi, il trionfo delle elezioni recenti del 4 marzo, che hanno portato ben quattro rappresentanti sanniti in Parlamento.
Per altro, scrivere mi aiuta ad integrare l’attività di consigliere comunale, tutta presa da questioni su scala locale, con una visione d’insieme del problema italiano (all’interno dei cambiamenti mondiali), evitando il rischio di una chiusura campanilistica di breve respiro. Certo, Benevento è il mondo ma non lo esaurisce.
Se dovessi scegliere alcune parole-chiave del percorso fatto (quelle che marcano una distanza con la mia storia precedente), direi: populismo e stato nazionale. Per il resto, l’anelito alla giustizia sociale e alla onestà nell’uso delle risorse pubbliche mi pare continui ad essere il nocciolo del mio impegno.
Accanto alla politica nel blog spiccano sei ambiti maggiori:
1)     una scrittura che oscilla tra l’autobiografia e l’esortazione Τ ες αυτόν;
2)     il racconto della mia storia familiare (con la crescita di mia figlia Caterina, le persone care e il loro svanire, San Cumano come luogo dell’anima);
3)     la poesia (scritta, e confluita in Per aspera, e letta spesso a mo’ di preghiera);
4)     il pensiero e la filosofia (concretizzatisi nel libro In quieta ricerca);
5)     la spiritualità, approdata ora ad una “fede” (o meglio una speranza...) libera, fondata sull’ortoprassi e immune da qualunque dogmatismo;
6)     la scuola come “missione”, a contatto con giovani che mettono continuamente in discussione le mie certezze.
Qui e lì temi “minori”, passioni che mi accompagnano dall’infanzia: dal calcio vissuto come tifoso di un’Inter magistra vitae, educazione all’eroismo sublime e alla sconfitta più umiliante, al fumetto, palestra di etica ed estetica.
In questi anni ci sono stati cambiamenti radicali nel mio rapporto con la scrittura. Iniziai a tenere un Diario, che pigramente esiste ancora, nel 1984, l’anno in cui divenni ateo, vegetariano, mi legai a quella che sarebbe divenuta dieci anni dopo mia moglie. Insomma, un anno cruciale. E iniziai a tentare rudimentali esperimenti poetici. Dal 1991 iniziai a scrivere per i giornali locali.
Nel 2008 mi iscrissi a Facebook (nel novembre, credo). Anche in questo caso un decennio, una vita. Sicuramente la dimensione social ha profondamente modificato le mie abitudini di scrittura. Quella che era una pratica solitaria, che al limite poteva immaginare il proprio sbocco in un libro, diventava una pratica “pubblica” e quotidiana, fortemente dialogica.
Malgrado le criticità di cui sono consapevole, ritengo questa esperienza, nel suo insieme, estremamente positiva. Mi ha spinto ad una disciplina quotidiana della scrittura: «Nulla dies sine linea». Un po’ come la scuola, insomma, nella sua fatica, nel suo costringerti al cimento anche quando vorresti tirarti indietro.
Non so cosa accadrà in futuro. Viviamo un tempo di tumultuosi cambiamenti tecnologici. Io cerco di farmi trovare pronto senza arroccarmi nella nostalgia delle penne, dei calamai, dei libri ingialliti e pieni dei nostri segni. Cose che adoro, che mi commuovono, ben sapendo però che ciò che conta sono le idee, i pensieri, le parole, non i mezzi attraverso cui li leggiamo o li scriviamo.

martedì 10 aprile 2018

La rivoluzione gentile 36 (Il silenzio degli intellettuali nel ventennio berlusconiano)


Un giornalista di un’importante testata nazionale, noto anche per aver dato credito alla più clamorosa delle invenzioni mediatiche degli ultimi anni (Beatrice Di Maio: un parere di Giancristiano in merito), non viene fatto entrare ad un’iniziativa (Sum 2018) organizzata (attenzione!) dall’Associazione Casaleggio (non dal M5S, non dall’Associazione Rousseau). La motivazione “tecnica” è la mancata registrazione e la presentazione di un badge “falso”. Successivamente è emerso (anche) che il giornalista risultava sgradito per aver infierito sulla Gianroberto Casaleggio, pur sapendolo malato, diffondendo notizie considerate infamanti o false.
La vicenda ha suscitato un coro di sdegno, funzionale a mostrare che il M5S è una struttura non democratica (anzi, nazifascista), che non tollera la libera informazione.
Personalmente sono stato sollecitato ad intervenire da Giancristiano Desiderio, cui ho dedicato il mio ultimo post sul blog.
Premetto che io l’avrei fatto entrare “a prescindere” (se non altro per evitare polemiche strumentali), premesso che la presenza nelle liste e in Parlamento di molti giornalisti dimostra un rapporto tutt’altro che critico con la stampa, premesso che sto leggendo il libro di Iacoboni, malgrado il suo taglio “complottistico”, mi sento di dire due cose a Giancristiano.
La prima. Mi pare che la vicenda venga amplificata in maniera spropositata, come altre (molte fake news ad esempio), funzionali ad essere conferma di un giudizio (negativo) sul M5S.
La seconda. Dov’era Giancristiano quando, per circa 15 anni, l’informazione italiana era messa seriamente a rischio dalla concentrazione di potere (mediatico, economico e politico) di Silvio Berlusconi? Un uomo che possedeva metà delle televisioni italiane, ha controllato l’altra metà quando ha guidato il governo, ha deciso chi poteva e chi non poteva lavorare in RAI, minacciando seriamente i fondamenti di uno stato non dico democratico ma liberale? Vorrei un giudizio (oramai “storico”) su quegli anni. Vorrei assunzioni di responsabilità. Mi pare che Giancristiano dal 2000 ha scritto per «Libero», diretto da Vittorio Feltri. Ha mai denunziato le derive illiberali del berlusconismo, il suo disprezzo per i liberi pensatori, i rischi di un «nuovo fascismo» cui, ad esempio, «Micromega» dava voce? Amo ricordare le parole nobili e indignate pronunziate per anni da un grande intellettuale come Maurizio Viroli in proposito.

Mi si obietterà che un errore non può servire a giustificare un altro errore. Benissimo! Rispondo che non c’è alcuna simmetria tra di essi. La stampa libera (e anche critica) era presente al Sum, sopra e sotto il palco. E Davide Casaleggio non ha un potere neanche lontanamente paragonabile a quello del tycoon più ricco d’Italia, Presidente del Consiglio o comunque capace di controllare truppe parlamentari poderose. 
L’accusa centrale di Giancristiano è altra, ed è essa sì grave: «Il problema più concreto è il silenzio degli intellettuali e dei politici del M5S che non dicono nulla su ogni cosa se prima non c’è l’autorizzazione di Rousseau». Per fortuna questo blog (e svariate dichiarazioni sulla stampa di esponenti ben più autorevoli di me) stanno a dimostrare che così non è. Il “caso Iacoboni” è stato addirittura discusso in diretta (e dopo), a dimostrazione che lo si vuol far diventare un caso per dimostrare una tesi. E tale tesi non coglie proprio la pluralità e la ricchezza del M5S, a partire dalla sua base, che viene invece raccontata come una massa informe ed eterodiretta. Quanto di più miope ed offensivo si possa immaginare. Frutto, per altro, della scarsa curiosità intellettuale (già rimproverata a Giancristiano).
Il “silenzio” (o “tradimento”) degli intellettuali c’è stato è accaduto diversi anni fa. L’ho scritto spesso (e questo blog ne è testimonianza): il berlusconismo ha rischiato di fare dell’Italia una “post-democrazia” (e dunque bene fa Luigi Di Maio a tener ferma la conventio ad excludendum, il “fattore B.). Io, dal 1993, quel rischio l’ho sempre osteggiato (con le armi della parola, con l’impegno politico diretto), senza mai scendere a compromessi. Ora che Berlusconi è solo un anziano e ricchissimo imprenditore/uomo politico con un grande futuro dietro le spalle, ho deposto le armi. Non vedo rischi imminenti da parte di nessuno. Essi ci sono solo quando troppo potere e troppo denaro si concentrano in poche mani o in una sola.
Detto questo, mi permetto di utilizzare l’accusa (infondata) di Giancristiano per esplicitare un mio vecchio pensiero (lo elaborai a proposito di Becchi, per un periodo presunto – o sedicente - “ideologo” del M5S). Il Movimento costringe a ripensare seriamente il rapporto tra intellettuali e politica. Non c’è più spazio per chi elabora nel chiuso di una stanza e scrivendo i libri. Insomma, il M5S costringe ad attualizzare il motto mazziniano («Pensiero e azione»). Non di intellettuali abbiamo bisogno ma di attivisti. E chi si sente “intellettuale” non si illuda di poter tenere mani pulite e braccia riposate: se le sporchi sui problemi reali della sua comunità...
Dunque, concludendo, nessun silenzio (di “innocenti” o “intellettuali”). Molte, moltissime parole. Ma soprattutto azioni concrete. Rese possibili, per altro, dall’attenzione di una stampa che non è sempre benevola, che talvolta è schierata (quasi sempre contro di noi), ma che resta strumento indispensabile della vita democratica. A patto che essa stessa accetti di mettersi in discussione, senza ritenere di essere sempre “innocente” o super partes. Dunque, accettando anch’essa la polemica e il conflitto, propulsori della vita democratica.

Come post scriptum metto una vignetta di Mario Natangelo, che è il controcanto beffardo di questi anni. 



giovedì 5 aprile 2018

La rivoluzione gentile 35 (Risposta a Desiderio)


La riflessione di Giancristiano Desiderio sul M5S muove da una serie di assunti aprioristici e da una visione della politica che non è in grado di capire che cosa sia il Movimento (e questo nulla ha a che fare con la profonda intelligenza del filosofo, storico e giornalista saticulano). 
Il primo assunto aprioristico (una fake news la si potrebbe definire) è che il M5S ha dato cattiva prova di sé nelle amministrazioni locali. Pare che i fatti ci restituiscano una realtà diversa, sicuramente articolata: esempi di buona, normale, mediocre amministrazione. Difficile però dedurne che il voto al Movimento prescinda dai fatti. Al contrario, oserei dire che, essendo lo zoccolo duro del Movimento, costituito da attivisti, si è particolarmente esigenti e critici con i portavoce a qualunque livello (posso testimoniarlo per esperienza diretta: insomma, altro che delega in bianco!). 
L’analisi di Desiderio insiste molto sul fatto che l’elettore pentastellato, una sorta di “invasato”, di neofita di una nuova religione, non sia capace di guardo critico sui “fatti”. 
L’altro assunto aprioristico, frutto di un’analisi che mi permetto di definire “pigra” (e tutta interna agli schemi politologi dell’autore forse da ammodernare, nel senso che la riduzione al noto non aiuta a capire le novità innegabili di questo esperimento per ora unico su scala planetaria) è che il M5S sia una forma di “individualismo statalista” con la missione di «conquistare lo Stato per usare forme e contenuti del potere a beneficio di un sistema politico, sociale e istituzionale in cui tra servi e padroni la stessa opposizione potrà essere cooptata e diventare socio di minoranza». In questo senso, dunque, ci troveremmo di fronte all’ennesima variante della tradizione italiana. In questa analisi Desiderio introduce la categoria che dà il titolo al suo pezzo, la teologia politica. Spiega che il M5S parte da un assunto teologico (e morale): i “buoni” che conquistano il potere lo rendono “buono”. Per Giancristiano, invece, «il potere è corrotto alla sua fonte proprio perché è rappresentato come onesto mentre il potere non è mai onesto perché è umano». Il M5S si sentirebbe immune da tale peccato originale. Due considerazioni. 
La prima: il M5S non è “individualista”. Al contrario, mi pare che segni l’ingresso (finalmente!) di istanze neo-comunitarie all’interno del dibattito politico. Il mantra secondo cui «nessuno deve rimanere indietro» significa esattamente questo. E capisco quanto questo possa irritare un “individualista” liberale come Desiderio. Se volessimo individuare la matrice neanche tanto occulta di tale atteggiamento potremmo rinvenirla nell’azione (e nelle opere) di Adriano Olivetti, riferimento di Gianroberto Casaleggio, rievocato spesso anche dal figlio di questi Davide. Sarebbe il caso di riprenderne in mano i libri per capire un po’ meglio il Movimento. 
La seconda. Se volessimo ampliare l’uso della categoria utilizzata da Giancristiano (che larga fortuna ha avuto nel Novecento) potremmo provocatoriamente affermare che, se il M5S è il primo movimento (italiano) del XXI secolo e dell’era liquida, esso non è moderno (e in quanto tale fondato su una “teologia politica”) ma post-moderno (e fondato su una “spiritualità politica”). Voglio dire che, soprattutto ascoltando quanto Davide Casaleggio, sulla scorta del padre, sta divulgando attraverso incontri in varie parti d’Italia (e che culmineranno in un evento a breve), dietro l’azione politica del M5S si intravede una visione spirituale della realtà. Non a caso un San Francesco “ecologista” è un punto di riferimento idealeRivendico la scelta fatta ormai quasi dieci anni fa di far nascere il MoVimento 5 Stelle sotto il segno di San Francesco»). Facili le accuse di versione politica di istanze “new-age”. E invece a me pare che l’interesse per il Movimento di cristiani “adulti” come Marco Guzzi testimoni un fecondo incontro tra politica e spiritualità post-religiosa, in cui la «fedeltà alla terra», riscoperta nella sua sacralità è elemento fondante (e il nuovo blog di Grillo è assolutamente emblematico di questa nucleo fondante).
L’ultima critica di Desiderio riguarda i soldi. Chi paga, si chiede, le costose politiche “stataliste”? Intanto prendiamo atto che a pagare gli errori (ma davvero sono stati tali?) e gli orrori di un capitalismo globalizzato e fuori controllo è stato il 99% dei cittadini. Davvero è credibile che il problema, nel XXI, sia la pervasività e l’ingerenza dello Stato nell’economia e non, al contrario, un’economia libera da qualunque controllo, monopolizzata da poche centinaia di miliardaria totalmente sradicati? Lo Stato nazionale, al contrario (e qui riconosco una radicale revisione delle mie posizioni rispetto anche solo a dieci anni fa) mi pare unico argine all’orrore economico. Le risorse si trovano con gestioni virtuose e taglio di spese inutili. E anche (ma capisco che Giancristiano salterà dalla sedia) con politiche di “deficit spending” da imporre ad un’Europa matrigna, mai madre.
Contiamo di tornarci con un convegno in cui mettere intorno ad un tavolo economisti come Pasquale Tridico ed Emiliano Brancaccio tra qualche mese.

martedì 3 aprile 2018

La rivoluzione gentile 34 (Risposta a Roberto Costanzo)

Va riconosciuto a Roberto Costanzo di non aver mai sottovalutato il fenomeno M5S. Nel 2012 (su «Messaggio d’oggi», diretto dalla neo-senatrice Danila De Lucia...) si svolse un’articolata discussione: intervennero Gennaro Papa, io e Costanzo, che scriveva: «Come è possibile rinnovare la politica attraverso il rinnovamento dei partiti se questi sono affidati a leader che sono già stati sul proscenio nella prima e nella seconda Repubblica ed ora si apprestano a fare altrettanto nella nascente terza Repubblica? Grillo sta squarciando il sipario, ma per costruire il nuovo scenario ci vuole altro: altri copioni, altri autori, altri attori». Si badi che in quel momento non avevo ancora consumato l’illusione (sarebbe accaduto l’anno successivo, con scelte radicali che mi hanno poi portato a diventare portavoce del M5S) che fosse possibile rinnovare la sinistra italiana, mutuando dal Movimento pratiche innovative.

Costanzo torna, dopo il trionfo politico del 4 marzo, che ha dato avvio ad una fase radicalmente nuova della politica italiana, sui medesimi temi, dimostrando la consueta finezza (assente nei più, a dire il vero soprattutto nei rancorosi esponenti di una sinistra esangue in tutte le sue declinazioni).
Giusto considerare il voto al Movimento né un fuoco di paglia né un voto esclusivamente “contro”. Sbaglia, invece, a mio avviso nel considerare arrogante la scelta di uno sguardo “lungo”, che cerca di immaginare gli scenari del lavoro (e della sua mancanza!) nei prossimi lustri. Al contrario, credo che ci si trovi di fronte all’unico soggetto politico che si sia dotato di strumenti di indagine del presente. Penso a “Lavoro 2025”, coordinato da Domenico De Masi, ma anche al nuovo blog di Grillo, attentissimo a tematiche eco e tecnologiche.
Dispiace la semplificazione sulla “democrazia diretta”. Il M5S è un esperimento unico al mondo, e “in fieri”. Perfettibile sicuramente. Andrebbe apprezzato lo sforzo di innestare nella democrazia rappresentativa, sempre più permeabile alle pressioni di lobby e minacciata da poteri opachi non soggetti a controllo, elementi di democrazia diretta. Il passo indietro di Grillo ha portato ad un ulteriore evoluzione del Movimento, che appare una “poliarchia” con una forte controllo da parte della base (e sarebbe interessante, ad esempio, analizzare la reazione degli attivisti e dei simpatizzanti all’annunzio dei “ministri-ombra”, e a quali azioni correttive tale mobilitazione ha portato).
Sicuramente è vero che con il M5S saltano i soggetti intermedi. E questa è sicuramente la differenza macroscopica con la DC. Unico elemento di raffronto l’interclassismo (ma in un paese profondamente mutato). «Il movimento grillino è e vuole essere altro». Giustissimo!
Costanzo chiude descrivendo l'elettorato grillino meridionale. È vero: esso ha espresso rigetto per una classe politica rivelatasi incapace di sanare, anche solo parzialmente, la secolare “questione meridionale”. Lo dimostrano il tasso di disoccupazione giovanile e la nuova emigrazione. Nello stesso tempo però è stato un voto di apprezzamento per un modo nuovo di intendere la politica, tornata ad essere “servizio civile”. In tutto il meridione i portavoce e gli attivisti del M5S (a partire dalla Regione) stanno svolgendo un lavoro capillare di controllo, denunzia e proposta, fedeli al principio che la politica non può e non deve essere una “professione” ma un servigio reso alla propria comunità per un tempo limitato della propria vita. Per questo ritengo che la “rivoluzione”, che amo definire “gentile” (anche nell’accezione medievale del termine) sia solo all’inizio, e presto coinvolgerà massicciamente anche le Amministrazioni locali, a partire dalla nostra, dove il mastellismo ha mostrato il fiato corto, riproponendo il vecchio armamentario di una politica senza visione, tutta tesa al controllo dei centri di potere e alla distribuzione degli incarichi a prescindere da meriti e competenze.

(Articolo apparso su «Gazzetta di Benevento»)

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Poco dopo il mio intervento è uscito un pezzo di PieroMancini, che critica alcune affermazione fatte da me. In particolare ritiene sbagliato considerare frutto del “rancore” riflessioni fatte da amici “di sinistra”. Ribadisco quanto scritto, per quanto marginale nella mia riflessione. Mi ha stupito che tali amici (con l’eccezione di Amerigo Ciervo) anziché dedicarsi ad una seria autocritica su quanto fatto o non fatto (che spiega il rovinoso tonfo elettorale) si siano esercitato a sparare sul M5S (neanche, come apparirebbe più naturale in un paese “normale”) sulla destra nelle sue varie declinazioni. Lo sterile esercizio della maggior parte di costoro (l’ho definita “sinistra gne-gne”) è stato ripetere a mo’ di mantra: «Avete vinto e ora governate (sottotesto: così tutti vedranno che siete incapaci)». A loro dico: quand’anche (ed è possibile) il M5S fallisse questo non vi assolverebbe dalle vostre responsabilità. Alcuni di voi hanno avallato la morte di un riformismo serio, affidandosi mani e piedi ad un imbonitore, prosecutore del berlusconismo con altri mezzi; altri hanno rinviato fino alla scadenza elettorale la costruzione di una sinistra “popolare”, reiterando gli errori fatti nel 2008 (con la Sinistra Arcobaleno) e nel 2013 (con Rivoluzione civile). In ogni caso, ci troviamo di fronte ad uno scenario nuovo. Buona parte delle battaglie che avrebbero dovuto essere di una sinistra seria sono di fatto divenute cavalli di battaglia del Movimento. Aver demonizzato il “populismo”, senza neanche cercare di capirlo, ha portato una Sinistra esangue a divenire “senza popolo”, espressione per lo più di ceti “privilegiati” (o comunque meno esposti ai rischi delle crisi sistemiche che caratterizzano il nuovo millennio), attenti quasi esclusivamente al tema dei diritti individuali.