martedì 3 novembre 2009

la sinistra trans e post




La vicenda Marrazzo/trans/cocaina, speculare a quella Berlusconi/escort, dimostra, ancora una volta se ce ne fosse stato bisogno, che sinistra e destra speculari possono esserlo nelle leadership ma non nello zoccolo duro delle loro basi elettorali.
Qualche giorno fa, durante un corso di aggiornamento, ho fatto una battuta sull’affaire relativo all’ex governatore del Lazio. Si rideva, ma con tristezza… Questo, dal punto di vista berlusconiano, potrebbe dimostrare che la scuola italiana, insieme alla magistratura, è in mano alla sinistra. A me a dimostrato solo che dirigenti insipienti, incarnazioni del nulla che vivono il loro quarto d’ora di celebrità, hanno inferto ferite profonde nel corpo di chi vorrebbe una “sinistra” capace di incidere sulla realtà per trasformarla. Non c’è niente da fare: o la sinistra è portatrice di ideali oppure non è. Tertium non datur. L’illusione “riformista”, se così posso dire, l’illusione di una sinistra “normale” è sbagliata alla radice. Mentre la destra, le destre plurali presenti nel nostro paese possono permettersi all’interno del proprio arcipelago la convivenza di posizioni inconciliabili apparentemente (cattolici e atei devoti, liberisti e statalisti, realisti e idealisti), la sinistra o recupera motivazioni “alte” dell’agire politico o si dissolve. L’esperienza del PD, per fare un esempio, che potrebbe essere interessante per il nostro paese, vista con gli occhi della mia provincia appare una storia di piccoli interessi di bottega, di famiglie che si contendono il potere e il denaro. Io vedo chi sono i dirigenti beneventani del PD e penso che è giusto che l’Italia sia governata da Berlusconi e Bossi, in cui non c’è contraddizione tra il dire e il fare. Mi si potrebbe obiettare che non è con un gesto volontaristico che si recuperano queste benedette istanze “ideali” (che volutamente ho lasciato nel vago). Allora teniamoci i Marrazzo e i Bassolino, teniamoci questi osceni dirigenti locali famelici e ignoranti, rassegniamoci ad essere governati per i prossimi secoli da una delle destre presenti nel nostro paese.  Ho una sola certezza: bisogna rompere con le doppie morali e con il machiavellismo, in qualunque sua declinazione, uno dei peggiori veleni inoculati da Gramsci nel corpo della sinistra italiana. Noi possiamo anche essere realisti, ma se prima non sogniamo di trasformare il mondo questo realismo diventerà gestione dell’esistente prima, connivenza e corruzione poi.

lunedì 2 novembre 2009

i morti


Giorno dei morti.

Per una volta non penso ai volti cari, basso continuo che non necessita di un giorno speciale.
Una terrorista che si è impiccata in cella. Ha fatto bene, ho pensato istintivamente, e continuo a pensarlo: follia imperdonabile per una della mia generazione credere ancora alla sacra verità del piombo.
Un giovane perdutosi nelle droghe ucciso chi sa se con l’incuria o con la violenza degli aguzzini. «Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...». Questo a Teramo
Bambini e adulti, intanto muoiono per un’influenza dai contorni misteriosi. Ripenso ad un film bellissimo, L’esercito delle 12 scimmie, e non so se preoccuparmi perché l’apocalisse mi ha sempre attratto. Mi spiacerebbe solo per mia figlia. Vorrei che cogliesse qualche altra gioia della vita.
Infine, una grande poetessa muore. Scriveva tanto, forse troppo. Ma alcune cose sono meravigliose. Resteranno. Ha rinverdito il mito della vicinanza dell’arte con la follia. Le siamo grati.

domenica 7 giugno 2009

il satiro silvano...


"Il satiro è una figura mitica maschile, compagna di Pan e Dioniso, che abita boschi e montagne. È personificazione della fertilità e della forza vitale della natura, connessa con il culto dionisiaco. I satiri sono generalmente raffigurati come esseri umani barbuti con caratteristiche animali [...] Vengono rappresentati come esseri lascivi, spesso dediti al vino, a danzare con le ninfe ed a suonare il flauto.  Talvolta hanno un vistoso fallo in erezione" (Wikipedia) Davvero il suo nome era un presagio. Non è mai cambiato. È sempre rimasto uomo delle selve, essere irrimediabilmente silvano, malgrado lo sforzo sovrumano, malgrado i gessati, gli abiti attillati... Il suo fallo ha continuato a reclamare vergini per soddisfare appetiti vigorosi.

O è il padre/padrone dell'orda primordiale, che reclama per sé tutte le donne del gruppo? E, se così fosse, sarebbe giusto, ucciderlo per poi tabuizzarne l'uccisione e risarcirlo simbolicamente con l'erezione di un totem? E quale totem potrebbe mai simboleggiarlo? La farfalla che, dicitur, hanno avuto tutte le fanciulle "marchiate" dal suo membro insaziabile?
Sarà, mi chiedo, per invidia che parlo? Sono io quel figlio che desidera ucciderlo per poter, finalmente, avere accesso a tutte le donne?
In ogni caso, dall'interesse con cui seguo le vicende di queste settimane, mi rendo conto che ci sono costanti mitiche che strutturano gli accadimenti.
In chiave sociologica potrei dire che chi di soap opera ferisce di soap opera perisce. E poiché l'uomo delle selve è autobiografia della nazione è giusto che questa nazione, che ha espresso nella sua storia solo minoranze virtuose (di cui, con poca modestia, mi sento erede e parte), si dissolva in una tragicommedia piena di "relazioni pericolose" e "piccanti", dell'ira di moglie cornute, di draghi, servi sciocchi...
La realtà è molto più appassionante del sogno. Quale grande artista avrebbe potuto immaginare una distopia così assurda? Quando l'incubo sarà finito molti si chiederanno attoniti: ma come fu possibile? È  accaduto altre volte... Nel 1943, ad esempio. Allora, come ora, pochi pagheranno la loro connivenza. Quasi tutti scopriranno di aver sempre condannato la selvatichezza e la corruzione dell'anima. Qualche corpo finirà per essere esposto come capro espiatorio...
Il capro, il satiro, il silvanus...
Infine, è giusto che il satiro sia annichilito dalla satira.

venerdì 20 marzo 2009

testamento iconico

Ieri sono andato al cimitero a salutare mio padre, Giuseppe. Ho un antica confidenza con quel luogo. Me la inculcò mia madre, che recitava spesso – malgrado la sua fede – i Sepolcri a memoria. Il pensiero più ricorrente è che fra pochi anni il pezzo di vita che avrò vissuto senza mia madre sarà superiore a quello che con lei ebbi in sorte di vivere. Ma ieri, guardando mio padre e, accanto a lui, altri volti noti, amici, mi chiedevo: quale sarà la foto con cui io guarderò i sopravvissuti? Perché, se si discute legittimamente del testamento biologico, non si dà la possibilità ai mortali di scegliere la loro finestra sul tempo? Mio padre mi guardava… A quale padre apparteneva quel volto? Non all’ultimo, indifeso come un neonato con l’Alzheimer che lo aveva devastato in pochi anni… Era ancora l’uomo orgoglioso, superbo, che voleva conquistare il mondo. Quella foto la scelsi io, ed è una scelta importante: mi arrogai il privilegio di decidere il volto che avrebbe continuato a scrutare il divenire del mondo. E mi guardavo intorno. Volti di vecchi, vite spezzate ancora giovani, foto in bianco e nero, paesaggi di sfondo. Quale foto sceglierei per me? Chi sarò stato io alla fine del mio viaggio terrestre? Il bambino felice nelle braccia della madre, il diciassettenne sturmeriano che scopriva con stupore il mondo, il marito, il professore, il padre… Quella foto mi inchioderà ad una sola delle vite che sono stato, sarà la mia “persona” offerta allo sguardo di chi vorrà ricordarmi o di chi passerà per caso e si fermerà un attimo pietoso o curioso.

domenica 15 febbraio 2009

amore, tragedia...


Passata l’ebbrezza, anch’essa, come per il Natale, legata soprattutto ad esigenze di consumo, del giorno degli innamorati (anche se commuove sempre vedere un adolescente che porta i fiori davanti alla scuola alla sua bella), ho riflettuto sulla tragedia costituita dall’amore.

I media celebrano l’anniversario di un libro, L’erotismo, di un intellettuale molto discutibile, soprattutto oggi, Francesco Alberoni: imbarazzanti i suoi brevi articoli sulla prima del «Corriere della Sera», imbarazzante la sua carriera. Ma le pagine iniziali di quel libro dicono una verità profonda: la differenza radicale tra maschio e femmina, declinata non nel senso della complementarità ma dell’incomprensione. Sia chiaro: non è un destino. Ma se uomo e donna non sono complementari, la relazione amorosa è – come ripete spesso Galimberti – un’opera d’arte che va costruita ogni giorno. Dobbiamo, dunque, liberarci del potente mito platonico secondo cui siamo metà alla ricerca di un completamento, mito che continua ad operare nel profondo, se utilizziamo ancora espressioni come «la mia metà». E, dunque, appare quanto mai necessaria una vera e propria educazione erotica che, partendo dalle radicali differenze corporee (e quindi dei meccanismi della gratificazione e del piacere) si allarghi fino ad una educazione psicologica e spirituale. L’uomo e la donna sono estranei, sconosciuti l’uno all’altro: ciascuno proietta le proprie attese, i propri desideri, spesso rifiutandosi di vedere l’altro, ciascuno “mente” (in buona fede e a fin di bene) ostentando di sé la parte che ritiene più “nobile” allo sguardo dell’altro. E così inizia una lunga storia di menzogna che svuota di senso buona parte delle relazioni.
Per questo appare quanto mai necessaria una vera e propria riforma educativa che metta l’educazione sentimentale ai primi posti. Se la storia dell’umanità è piena di sofferenza è anche perché uno degli eventi fondamentali della vita, una compiuta relazione con l’altro, si realizza male o non si realizza affatto.

P.S.

Scrivendo mi rendevo conto di una clamorosa assenza nel mio discorso: l’amore omosessuale. A rigore, anzi, esso, se è vero quello che scrivo, sarebbe l’unico amore che potrebbe aspirare alla perfezione (questo dice, ad esempio, il Fedro platonico nel Simposio, parlando di Ettore e Achille). Ma non sono in grado di affrontare la questione con cognizione, anche solo teorica, libresca. E si aprirebbero poi altri fronti: se quello omosessuale fosse l’amore perfetto ma manchevole dei figli, la natura potrebbe e fino a che punto essere corretta dalla tecnica, rendendo possibile divenire padri e madri? E quindi, con un gran mal di testa, rinunzio a questa seconda parte della riflessione, aspettando illuminazioni.

sabato 10 gennaio 2009

sempre con Davide


1) [Davide e Golia] La sproporzione di mezzi tra un pezzo di palestinesi (esecrabile ma comprensibile nella sua rabbia che dura da cinquant'anni senza sbocchi) e gli israeliani non rende possibile equipare le violenze degli uni e degli altri. Bisogna sempre prender parte. In questo caso quella del più debole, del più clamorosamente debole... Ripenso a Munich"di Spilberg (ebreo), ripenso ad alcune frasi di George Steiner (ebreo), e so che è giusto, ora come non mai, difendere i palestinesi (malgrado le loro classi dirigenti) e chiedere con forza un intervento internazionale e la creazione di una milizia che si interponga tra loro e un'Israele sempre più accecata dal suo suo sogno impossibile di cancellare l'avversario.

2) [Né filoterrorismo né antisemitismo] Difendere i palestinesi da quello che inizia ad assomigliare sempre di più ad un genocidio non significa appoggiare i terroristi; essere contro le politiche dello Stato di Israele non significa essere antisemiti. Mi spiace doverlo ripetere ogni volta. Ma oramai ci sono abituato. Paradossale per uno che considera il pensiero e la cultura ebraica fondamentale nella propria formazione.
3) [Dalla parte del torto] Davvero sulla questione palestinese i media sono manipolati, altrimenti sarebbe lampante che si tratta di una strage indiscriminata. E' come la guerra in Irak. I servi dei regnanti, all'epoca, trovavano ogni giustificazione, Hussein (spietato tiranno, senza dubbio, anche con l'aiuto USA nella guerra contro l'Iran) paragonato ad Hitler. E noi a dire che c'erano altri mezzi, che non c'erano armi di distruzione di massa. Bella consolazione sapere, un milione circa di morti dopo, che, è vero, la Cia «ci aveva dato informazione imprecise». Non bisogna mai temere di essere, come diceva Brecht, dalla parte del torto.