giovedì 4 febbraio 2016

L'arte del transito IX (Aforismi 1989-2009)



Freud

Considero Freud (anche se ne condivido la visione complessiva del mondo) uno degli autori decisivi della cultura occidentale perché ci ha insegnato a fare i conti con quel lato in ombra del nostro essere che solo i poeti prima di lui avevano esplorato, preferendo la filosofia avviarsi (da Socrate in poi, per certi versi) sulla via della razionalità assoluta, della chiarezza, della autotrasparenza. Che è impossibile. Noi non potremo mai conoscerci fino in fondo. Non potremo mai rispondere compiutamente alla domanda: chi sono io? Per certi versi noi siamo vissuti, siamo eterodiretti da zone della nostra psiche di cui non siamo padroni (gli istinti!). Ma con questo bisogna fare i conti, e con la nostra primissima infanzia, dove si decise, in grossa parte, ciò che saremmo stati dopo.


A un’adolescente

Tu parli di rimpianti per ciò che non si sarà fatto, ma potrebbero esserci anche per ciò che non riusciremo a fare. Tu guardi oggi con gli occhi di domani, leopardianamente, ed è giusto, ma devi anche guardare a domani per plasmare una vita che sia veramente tua. Poiché l’uomo è una creatura e non è padrone integralmente della sua vita... Questo è l’errore più grande, ed è ciò che contesto al tuo “sogno” di diventare artista di strada: il mito della libertà integrale. Credimi non esiste! È meglio vivere sapendo che ci sono limiti, ma che all’interno di questi limiti c’è la libertà umana e vite più o meno belle. È meglio fare piccoli compromessi che grandi compromessi. È meglio fare un lavoro che ci piace abbastanza piuttosto che sognare di fare solo ciò che ci piace, e ritrovarci a quarant’anni a dover fare un lavoro che ci ripugna. Ho visto troppi amici finire così per non sentire il dovere (anche se so che ci dovete sbattere contro per impararlo!) di dirlo. Mi sforzo, credimi, di ricordarmi cosa pensava il ragazzo di quella foto: pensava di fuggire di casa, perché odiava la vita borghese, e sognava la libertà dei boschi. Ho tradito quel sogno? No, credo di no. Credo, attraverso compromessi, di averne custodito la parte migliore, quella più sana, l’unica veramente realizzabile. Ma continuo a pensarci, dialogando con te.


Sogno o sono desto?

Mettere in discussione l’idea stessa di “soggetto” come l’ha pensato la tradizione occidentale: cioè un soggetto forte, cartesiano, per intenderci, che dopo l’arte del sospetto esercitata da Nietzsche e Freud non regge più. Se l’identità - il tuo essere Nicola o Rosaria - fosse una creazione labile e passeggera, una nave malconcia che galleggia su un mare di sensazioni indistinte, pulsioni senza centro, desideri, istinti, sensazioni? Se “Nicola” non esistesse che per brevi istanti?
Quando siamo preda del desiderio sessuale chi decide? L’io è davvero padrone di sé, o, come diceva Rimbaud: io è un altro? La schizofrenia, la dissociazione e altre patologie mentali sarebbero solo la manifestazione più estrema di qualcosa che ci riguarda tutti: cioè che noi siamo una pluralità di io, che dentro di noi ci sono mondi sconosciuti che decidono ciò che “io” deve fare, dandoci l’illusione che “io” stia decidendo.


Quid est veritas?


La mia idea, nata dal serrato confronto con la filosofia di Heidegger è che “la verità” come si è strutturata in Occidente (da Platone in poi) abbia prodotto il dominio tecnico su scala planetaria (perché oramai il mondo - India e Cina docent - è “Occidente”). La verità, potremmo dire con un gioco di parole, non c’è (nel senso dell’essere come presenza stabile) ma “si dà”, si dona, si schiude, si ri-vela (toglie il velo e lo rimette). Dunque, l’essere (con una X sopra) non “è” dell’uomo. L’uomo lo può custodire, non dominare. L’uomo non è il padrone ma il custode. Ricapitolo: la contrapposizione rispetto alla verità (c’è, non c’è) porta necessariamente a scegliere tra due posizioni: una “assoluta”, l’altra “relativista”. La filosofia di Heidegger esce da queste secche, verso un altrove dove la parola stessa “verità” diviene altro. La poesia di Dylan Thomas Non essendo che uomini, a mio parere, dice qualcosa del genere con un altro linguaggio (l’unico “veritiero”).

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