giovedì 31 marzo 2016

Diario politico 09 (Trasformismi)

Non sarà una novità. Ma non per questo appare meno urgente denunziare alla opinione pubblica una pratica indecorosa, concausa del fallimento della politica amministrativa nella nostra città. Non bisogna temere di essere pedanti, di essere "moralisti". Non bisogna temere di pestare qualche piede, anche amico.
Abbiamo alle spalle cinque anni in cui c’è stato un potere fragile (e inutile, come scrive sempre Giancristiano Desiderio) a gestire Palazzo Mosti. Di contro, però, l’opposizione è apparsa frantumata, incapace di svolgere un’azione di contrasto compatta ed efficace. In realtà, ciò che stava accadendo era il riposizionamento in vista delle prossime elezioni: era gioco per molti (non per tutti, sia chiaro) la propria sopravvivenza politica e il raggiungimento di ambiti posti di potere.
So che sarà sgradevole e mi attirerà le critiche di alcuni. Benevento è una piccola città in cui tutti ci si conosce. Esistono dei momenti, però, in cui tacere diventa complicità.
Vediamo da vicino alcuni casi clamorosi di “trasformismo” politico facendo nomi e cognomi. E, si badi bene, qui non si stigmatizza la possibilità di cambiare idee o ideali. Ci fossero idee ed ideali dietro i repentini cambi di casacca! Purtroppo ci troviamo di fronte al tentativo di tutelare ben altro...
Mi soffermo su alcuni casi emblematici (ce ne saranno molti altri, per cui nulla vieta che ci sia una seconda parte del diario dedicata all'argomento). 


Francesco De Pierro: figlio d’arte (la Benevento politica è piena di figli d’arte!), mastelliano doc, consigliere dal 2006. Nel 2013 lascia l’UDEUR dopo una «prolungata meditazione interiore». Il giovane e tormentato De Pierro vuole costruire il suo personale percorso politico... Cammina e cammina... e dove ti arriva? Al PD! Ma si tratta, dice il nostro, di un nostos, del ritorno al luogo d’origine, a quel centrosinistra da cui anche l’UDEUR era partito. Poi, mi dico, vi lamentate che i giovani non capiscano nulla di “geografia politica”. Fausto Pepe e Raffaele Del Vecchio si sono ritrovati, dunque, per quasi due anni un finto oppositore e futuro alleato. Porterà al PD «proposte, slogan, idee». Voti soprattutto. Perché questa è la strategia del PD decariano: mettere insieme “grandi elettori”, detentori (per motivi che sarebbe interessante indagare) di pacchetti di voti (siano singole persone, siano sindacati – purtroppo –, siano associazioni – purtroppo -).


Luigi Trusio ripete lo stesso copione. Ne scriveva «Il Vaglio» a gennaio 2015: «e certo pensare a Trusio senza l’ex ministro di Ceppaloni è come scartare una confezione di Ringo e non trovare tra i due biscotti la crema». Il povero Clemente alleva una genia di infedeli camaleonti, pronti a voltargli le spalle appena annusata la possibilità di una poltrona appetibile. Ottimo maestro, insomma!


Giovanni Quarantiello è un altro finto oppositore della giunta Pepe/Del Vecchio, pronto ad essere ricompensato per il suo riposizionamento politico.
Di Roberto Capezzone (per certi versi il caso più emblematico) si è scritto già bene e abbastanza, inutile tornarci.


Notizia fresca, anch’essa destinata a portare scompiglio nelle truppe mastellate, è la defezione di Alfredo Cataudo, potente presidente dell’ASEA, che pare pronto a candidarsi in una delle liste di Raffaele Del Vecchio. Anche in questo caso, nessun grande ideale. Semplici “giochi di potere”.


Caso diverso, non di trasformismo vero e proprio, ma anch’esso emblematico, quello di Daniela Basile, feroce critica della giunta Pepe/Del Vecchio, lesta a candidarsi con una lista di appoggio al vicesindaco, al punto da suscitare commenti “basiti” nella stampa. Insomma, il tipico caso di nasce incendiario e muore pompiere pur di occupare una qualsivoglia poltrona, rinnegando le proprie idee, o, peggio, utilizzandole strumentalmente. Un altro aspetto della piccineria politica beneventana.
Raccontare la storia di queste persone, in un tempo “smemorino”, è una battaglia che non smetterò mai di fare. Bisogna reclamare uno spazio pubblico in cui le persone portino tutta intera la loro storia, che può presentare evoluzioni (o involuzioni), trasformazioni ma travagliate, pensate, ponderate. Non ci dovrebbe essere il retropensiero che si stiano tutelando interessi (imprenditoriali o professionali) o coltivando smodate ambizioni (percependo la politica come “luogo del potere”).
Mi congedo con una scena potente del film che faccio vedere spesso ai miei alunni, Noi credevamo. In essa un bravissimo Luca Zingaretti interpreta Francesco Crispi, mazziniano e garibaldino, poi fattosi monarchico e bismarckiano. Egli parla ad un Parlamento vuoto. Con questa geniale trovata da teatro d’avanguardia Martone suggerisce come il trasformismo italico, teorizzato da Depretis (che è il camaleonte dell'immagine che apre il post) e incarnato benissimo da Crispi, produca inevitabilmente una democrazia di “anime morte” (ed è il motivo per cui ho voluto riprodurre gli uomini e le donne di cui ho parlato in un bianco e nero antichizzato). Quella che viviamo da cinque anni a questa parte a Benevento.


C’è bisogno di una rivoluzione. Citando un filosofo a me caro, Enrique Dussel, potrei dire: 

martedì 29 marzo 2016

Il figlio più prodigo



Diario politico 08 (La rivoluzione gentile)


Clemente Mastella in una recente intervista ha dichiarato che, se sarà eletto Sindaco di Benevento, allestirà un «comitato scientifico» che lo supporti nell’azione di governo. Sarebbe facile ribadire quanto scritto altrove, e che cioè l’ex Guardasigilli del governo Prodi ha sempre navigato in altre e più alte acque della politica italica, e che sconterà, a mio avviso, una scarsa conoscenza delle problematiche squisitamente locali, ma, ribaditolo, è anche necessario riconoscere che l’idea è assolutamente valida perché ribalta quanto fatto nell’ultimo decennio, in cui la giunta Pepe/Del Vecchio, al di là di qualche trovata propagandistica (la Consulta per gli operatori culturali turistici) e alcuni assessorati “tecnici” utilizzati come foglia di fico per coprire la vergogna degli ultimi anni di amministrazione (in cui però il “tecnico” si è divenuto, de facto, politico), ha agito in direzione esattamente contraria.
Personalmente (ma qui davvero si tratta di una riflessione tutta mia, da osservatore più che da attore della campagna elettorale), ritengo che il MoVimento 5 Stelle sia l’unico soggetto politico in grado di valorizzare la società civile beneventana e di creare una rapporto nuovo fra sfera politica e “competenze”. 

Si tratta di una sfida che potrebbe riprendere il filo del discorso che poteva essere avviato dalla prima sindacatura di Pasquale Viespoli, dove, per una congiuntura mai più verificatasi, si ebbe la possibilità che pezzi di società civile divenissero attori politici. Quella esperienza si chiuse anche perché in pochi mesi lo scenario nazionale si modificò e Viespoli scelse (non sta a me dire se fece bene o male) di ridiventare uomo “di parte” e coltivare le ambizioni che poi lo portarono ad essere Sottosegretario.


Anche in quella circostanza (credo di ricordare bene, ma sono disposto a correggermi), Mastella, il cui candidato era il giudice Del Mese, fece uscire i nomi di una eventuale giunta, di tutto rispetto, per altro (esattamente come ora con i nomi del Comitato Scientifico, alcuni di caratura internazionale). Ancora una volta egli gioca la carta del politico “nazionale”, con una vasta rete di conoscenze di mettere al servizio della città. Questo schema, però, si fonda troppo sulla persona come nodo di relazioni. Insomma, è lo stesso schema sotteso al “Quattro notti di luna piena”: il rapporto personale come base di un progetto artistico-culturale. Che è uno dei punti di forza della campagna elettorale di Mastella, appunto.
Lo schema va ribaltato. Il M5S ha uno straordinario vantaggio su tutti gli altri soggetti politici: non ha “debiti”. Può valorizzare il talento, la competenza, la professionalità di chiunque ne sia portatore, a prescindere dalla sua appartenenza politica. 
È scritto addirittura nei principi che aprono la Bozza di Programma: «I Cittadini a 5 Stelle di Benevento intendono valorizzare merito, capacità, competenza, mettendo da parte la scellerata prassi di favorire individui per la semplice appartenenza “partitica” o vicinanza personale». Se questo sarà vero, dunque, è necessario sin da ora trovare i modi (questa la vera sfida!) perché ciò si concretizzi. Benevento ha straordinarie risorse che, in questi anni di desertificazione, hanno costituito oasi di attivismo civico e proposta culturale. Potrei sbilanciarmi e fare addirittura dei nomi: penso al decisivo ruolo del FAI locale per la valorizzazione del nostro patrimonio artistico; penso ad un’iniziativa originale e geniale come il gruppo “Sei di Benevento” promossa da Alfredo Vittoria; penso alla nascita di “Campus”, purtroppo silente in questi mesi in cui una voce terza sarebbe preziosa per spingere gli attori politici sulla proposta programmatica; penso alla battaglia sulla mensa, che ha consentito di scoperchiare un vero e proprio verminaio, di AltraBenevento. Ognuno potrebbe farne altri. 
Potrebbe, in caso di vittoria, mettere uomini competenti scelti a prescindere dalla loro appartenenza politica, solo in virtù della loro professionalità e della loro onestà, nei luoghi in cui si deciderà della salvezza o della decadenza definitiva della nostra città. Pensiamo a quanto sarebbe rivoluzionario per Benevento avere persone realmente competenti e non scelte con criterio politico alla guida dell'ASIA o della futura (se ci sarà!) Azienda del trasporto pubblico (la fu AMTS... portata al fallimento da persone scelte con criteri di mera "ricompensa" politica, una oramai intollerabile forma di do ut des). La politica non può essere autoreferenziale! Se non viene nutrita dalle linfe migliori della comunità di cui è parte avvizzisce, muore e fa morire. 
La sfida della “rivoluzione (gentile”) si gioca soprattutto qui, dunque: nel rapporto fra politica e società civile. Solo rompendo la separatezza, accettando di essere il tramite affinché quanto di meglio Benevento ha prodotto in questi anni possa essere utilizzato per il bene della comunità con strumenti più potenti e adeguati.
È un’idea molto diversa da quella di Clemente Mastella. È un’idea “a 5 stelle”. Ancora una volta: la vecchia politica, che vuole “guidare” i processi e utilizzare al proprio servizio le energie positive prodotte dalla società, e la nuova politica, che accetta un rapporto alla pari, perché fatta da uomini che non hanno scelto una professione a vita ma sono prestati “a tempo”, e sanno che potranno e dovranno continuare anche “dopo” a dare il loro contributo in termini di vigilanza critica e di proposta.


lunedì 28 marzo 2016

Diario politico 07 (Cittadinanza attiva e nuova politica)


Quando fui candidato di una piccola lista rosso-verde nel 2001 (si chiamava Città aperta), in una competizione elettorale che poi vide vincere Sandro D’Alessandro, anche per la “vendetta” che Umberto Del Basso De Caro mise in atto al secondo turno, non facendo votare il candidato ufficiale (mastelliano) del centro-sinistra, Pasquale Grimaldi, durante una faccia a faccia con tutti i candidati (gli altri erano Orlando Vella, Gennaro Santamaria e Peppino De Lorenzo), dissi che esistevano due campagne elettorali: una manifesta, palese, fatta di comizi (già all’epoca praticamente scomparsi, però), confronti pubblici, dichiarazioni alla stampa, programmi; l’altra, ben più importante, fatta nel nascondimento, casa per casa (espressione utilizzata non a caso da Mastella recentemente), una sorta di battaglia di Stalingrado, da cui dipendevano le sorti della “guerra” in atto. Purtroppo nulla è cambiato da allora. Il panorama politico si è ulteriormente degradato a livello nazionale e locale. Nella liquefazione delle identità novecentesche, che ancora nel 2001 consentivano, sebbene a fatica, di identificare opzioni ideologiche e programmatiche diverse, non è ancora ben riconoscibile una nuova configurazione del quadro politico. Inoltre nelle elezioni amministrative incidono sempre in maniera massiccia, soprattutto in un “grande paese” come Benevento, l’appartenenza familiare e un grumo di interessi i più vari. Si sente spesso l’espressione «Chi mi vattea m’è compare» (chi mi battezza – nel senso di aiutare - mi è compare), che mi fa sempre sgranare gli occhi. Viene utilizzata, a prescindere dalla lingua, italiana o dialettale, e dalla classe sociale di appartenenza, per giustificare da una parte una sorta di agnostico politico, dall’altra la piena disponibilità a chiunque prometta aiuto, favori et cetera.


Per questo motivo mi sono convinto che solo una ripoliticizzazione della società potrà porre freno a questa deriva dove cresce (e funghisce) una proposta politica vuota di contenuti reali, che nel migliore dei casi si propone di gestire l’esistente (in maniera “tecnica”, direi in termini filosofici, cioè evocando competenze e capacità). E come si può ripoliticizzare la società? Evidentemente rifiutando l’idea secondo cui esistano “tecnici”, “esperti” cui delegarne l’amministrazione. Si tratterebbe di una profonda trasformazione del nostro rapporto non solo con la politica. Essa richiede impegno, sacrificio di tempo, capacità di metabolizzare delusioni, che inevitabilmente derivano dal confronto con persone portatrici di visioni, idee e proposte non sempre collimanti con le nostre.

Negli ultimi anni ho vagheggiato un Palazzo della Politica dove soprattutto i più giovani possano coltivare una passione necessaria. I partiti tradizionali non bastano più oramai da anni. Selezionano classe dirigente in base al numero di voti che essa porta (meglio dunque se provenga dal mondo forense o della sanità). Ascoltando dichiarazioni di giovani candidati nelle prossime amministrative trovo una sorta di vuoto pneumatico, che si cerca di riempire con slogan, frasi fatti, appelli al “futuro” (mi pare il segno più clamoroso del disastro dell’attuale classe dirigente l’enfasi che tutti mettono sul futuro pur di non guardare al gramo presente, come già scritto).
Il MoVimento 5 Stelle mi pare l’unico soggetto politico che si ponga il problema di una cittadinanza attiva. Mai come in questo caso, però, non parlo da uomo “di parte”, non difendo a spada tratta un’esperienza (di cui per altro vedo alcune criticità). 

Qui, inevitabilmente, non posso non far riferimento alla mia esperienza di docente, che constata quotidianamente l’indifferenza degli adolescenti rispetto alla questione, che li rende permeabili alla propaganda, incapaci di formulare giudizi autonomi, anche in assenza di conoscenza storica degli ultimi anni.
Laudator temporis acti, dunque, anch’io? Rimpiango gli anni Sessanta e Settanta? Assolutamente no. Sogno, invece, una città, un paese, in cui i cittadini vengano educati sin da giovani a prendersi cura della cosa pubblica, attraverso azioni concrete di tutela o di denunzia, di proposta o di sollecitazione. Sogno una comunità che crei i luoghi fisici in cui sia possibile discutere liberamente e in cui persone affini possano incontrarsi, senza necessariamente passare attraverso partiti asfittici e costruiti come “macchine” per gestire o conquistare il potere. Sogno una Benevento insomma in cui nessuno più mi dica che gli è compare chi lo “battezza” ma tutti abbiano consapevolezza, avendoci dedicato tempo di studio, avendone discusso con altri, dei problemi della comunità, dal trasporto pubblico alla gestione dei rifiuti, dalla mensa dei bambini alla manutenzione delle strade.
Benevento vivrà la sua “rivoluzione gentile” solo attraverso un mutamento antropologico e culturale del suo “popolo”, che ancora in buona parte deve entrare in quella che Kant definiva «età adulta». 
Il beneventano medio e l’italiano medio sono ancora in quella «età minore», che è l’incapacità di agire senza la guida di un altro. Chiudo, dunque, parafrasando il Kant del Che cos’è l’Illuminismo?

Preghiera


venerdì 25 marzo 2016

Diario politico 06 (Giorni di un futuro passato)





Parrebbero slogan prodotti dallo stesso staff. Invece il primo è il coniglio (morto!) cacciato dal cilindro da Clemente Mastella, il secondo la chiusa del primo intervento pubblico solitario di Raffaele Del Vecchio. È interessante che entrambi, per motivi diversi, siano interessati a spostare l’interesse della città sul futuro, quando parrebbe più logico e completo articolare una proposta sulla base di ciò che è e di ciò che è stato, sia nelle storie personali che collettive. 




A Del Vecchio fa eco Marcello Palladino (che considero una speranza tradita della politica locale, viste le buone intenzioni da cui era partito, poi smarritesi nel «mare di simulazione» del locale Partito Democratico). Rivolgendosi a Gianfranco Ucci, che non fa mancare la (doverosa) dose di critica all’Amministrazione in carica, scrive: «Ci spieghi la sua idea di città e i suoi progetti per il futuro».

Non bisogna guardare com’è oggi il Teatro Comunale ma come sarà fra qualche mese o anno, dopo l’intervento di ristrutturazione dovuto ai finanziamenti regionali (ottenuti perché il PD governa anche la Regione e non, si badi, nella retorica delvecchiana, perché “dovuti”). Solo futuro, dunque, perché il presente è gramo, è sporco... Ma chi ha colpa di questo presente? Qui c’è quanto il candidato del PD non può dire esplicitamente ma ha sempre fatto trapelare. In questi anni ci sono state due Giunte parallele: una del fare e una del tirare a campare. La prima, finalmente, libera dai lacci e lacciuoli della seconda, può dispiegare la sua capacità di governo. Per questo è necessario progettare, pianificare, guardare oltre il degrado del Comunale o del centro storico, ascrivibile in toto a Fausto Pepe e ai suoi uomini indolenti. 


Una nuova generazione di amministratori più giovani potrà dedicarsi a questo compito. In carrozza, si parte... Funzionerà questo messaggio? Agli elettori l’ardua sentenza. Raffaele Del Vecchio non ha avuto un ruolo marginale, è stato vicensindaco e Assessore alla Cultura per dieci anni. Avrebbe potuto fare molto di più, in un settore che, per altro, da parte di osservatori i più vari (penso a Carlo Panella e Giancristiano Desiderio) appare il più critico, quello in cui la desertificazione è proceduta più speditamente. 
Diverso è il caso di Mastella. È evidente che questo slancio verso il futuro serve ad annacquare la constatazione che ci si trova di fronte ad un uomo “pensionabile” che non si rassegna alla marginalità e, emulo del suo vecchio maestro Ciriaco De Mita, vede nella sindacatura l’elisir di lunga vita che non lo costringa forzosamente alla vita privata. La politica, come ripetono spesso i politici stessi, crea dipendenza. L’assessorato al futuro evocato da Mastella appare, dunque, una sorta di parola magica per esorcizzare l’inesorabilità del tempo. A Mastella, a mio avviso, andrebbe ricordato, come lui fece con De Mita, che arriva per tutti il momento del meritato riposo, che tutti sono importanti ma nessuno indispensabile. Che si goda, dunque, quanto laboriosamente prodotto in quaranta anni di onesta professione politica. Potrebbe dedicarsi alla stesura di Memoires che possano aiutare a capire meglio la storia della Prima repubblica e il passaggio alla seconda. Non mi pare ci sia spazio per lui in questa stagione di trapasso dalla seconda alla terza, che vede la contrapposizione non più tra opzioni ideologiche ma tra modi diversi di concepire la politica stessa.


Abbiamo bisogno di futuro. Ignorare la storia recente della città e i problemi del presente inevitabilmente, però, rischia di riprodurli, con un mero cambiamento di attori sulla scena. Il futuro rimarrebbe una «palla di cannone accesa» che noi stiamo quasi raggiungendo.


giovedì 24 marzo 2016

Rigoni [La conoscenza e la vertigine]


Diario politico 05 (Mastella che sverna a Benevento)


La candidatura di Clemente Mastella, abilmente preparata con una serie di operazioni di marketing elettorale (il concerto con Gigi D’Alessio, la donazione alla Moscati da parte dell’amico Della Valle) appare la mossa di un politico scafato rimasto fuori dalle stanze del potere, che vede nella sindacatura di una città (“piccola” ma strategica nel suo quarantennale sistema di potere) la possibilità di un rilancio in grande stile. Mi pare questa la prima considerazione di rilievo. In tutti gli interventi pubblici (ultima l’intervista cui farò riferimento di Pierluigi Melillo) grande spazio è riservato al panorama politico nazionale che vede, nella dissoluzione del centro-destra l’emergere di una destra “lepenista” (egemonizzata da Salvini, attaccato con veemenza non a caso), e, di contro, la possibilità di ricreare, con Forza Italia e UDC, una forza moderata, “centrista”. 
La suggestione, suggerita da Mastella, è dunque Benevento come laboratorio politico di un nuovo polo moderato. Sottolineo da subito che proprio questa proiezione del locale sul nazionale mi pare punto di estrema fragilità della strategia mastelliana, che per altro fa il paio con la scarsissima conoscenza dei problemi della città e degli attori che la popolano. Insomma, Benevento per lui appare solo come un trampolino di (ri)lancio (e questo giustifica, come vedremo, la pressoché totale ignoranza di persone e situazioni, in virtù del quale egli preferirà evitare il confronto diretto con i competitor). 
Il secondo elemento di rilievo è il ribaltamento dell’accusa mossagli di essere cariatide della politica. Basta guardare all’America, dice, per vedere come tutti i politici “di razza” abbiano la sua età. Purtroppo, fu lui stesso svariati anni fa, ad invitare il suo ex mentore, Ciriaco De Mita, a pensionarsi per raggiunti limiti di età.

La questione anagrafica ritorna nel tentativo di legittimarsi come una figura rassicurante (il “nonno”) che, con fare pedagogico (memore dei suoi, per altro brevissimi, trascorsi di insegnante), educa le giovani generazioni a vedere la politica non solo come corruzione e marciume (altrimenti le si consegna al M5S, all’antipolitica) ma come nobile attività.
En passant, al giornalista che chiedeva del rapporto con Nunzia De Girolamo, asperrimo negli anni passati, Mastella ha risfoderato la parola d’ordine di queste elezioni: l’amore. Per amore della “sua” città ha deciso di candidarsi, per amore della città mette da parte l’antico conflitto con la (nuovamente) plenipotenziaria berlusconiana sul suolo sannita.



In realtà, ad ascoltare bene, le motivazioni della discesa in campo sono ben altre: destinata Benevento a finire in mano ai Cinque Stelle, a causa della pessima gestione del centrosinistra (e apparendo complicato il tentativo di Del Vecchio di essere discontinuo da se stesso), si sono aperti degli spazi di agibilità politica da sfruttare.
Benevento non è città felice, anche a causa di una crisi economica globale. Urge tornare alla normalità, anche dopo l’emergenza alluvione (rispetto a cui solo lui ha “agito”). Proprio in questo passaggio, in cui infila la boutade di un assessorato “al futuro” (che mi appare come la più drammatica spia di un rimanere letteralmente nel vecchio secolo), Mastella mostra tutta la pochezza della sua proposta, che ignora la comunità che vorrebbe amministrare. Nell’elencare, infatti, le aziende danneggiate dall’alluvione cita ovviamente Rummo e la Metalplex e... «quello dei semi». 


L’impressione avuta è quella di un atleta abituato a grandi palcoscenici il quale, ridottosi a fine carriera a piazze minori, pensa di sopravvivere senza impegnarsi, adagiandosi su “allori” passati. A completare il quadro di una candidatura “casareccia” la temibile minaccia di una campagna elettorale “casa-casa”, anche con inviti a pranzo (che potrebbero dare il destro alla più abusata satira sul politico, soprattutto democristiano, “forchettone”).



L’intervista si chiude con il cavallo di battaglia “gentista”: la rinunzia allo stipendio da Sindaco. Che sarebbe una cosa bellissima se non sapessimo che Mastella, per il suoi trascorsi politici, ogni mese riceve un corposissimo indennizzo che sarebbe interessante quantificare (eventualmente sommandolo a quello della moglie Sandra Lonardo).
Ultima questione. Secondo Mastella il M5S non è in grado di amministrare perché la politica ha le sue regole. Insomma, viene ripetuta la contrapposizione fra il “dilettante” mosso da buona volontà che quando arriva nella stanza del potere fa danni e il professionista della politica. A mio avviso, come già scritto, qui si sta giocando buona parte della transizione fra il paradigma politico novecentesco (di destra, centro e sinistra) e quello post-novecentesco. Il “volontario” (per citare Marco Revelli) o l’“attivista” non sono dilettanti ma cittadini attivi che, pro tempore, si dedicano al bene comune per poi tornare al loro lavoro o al loro studio. L’esatto opposto di un uomo che, dopo un brevissimo periodo di insegnamento e giornalismo in RAI (ottenuto per via politica) ha fatto della politica il proprio lavoro. Sarebbe interessante discutere con Mastella la questione dal punto di vista filosofico. Non è detto che non accada un giorno. Per quanto mi riguarda, votare M5S non significa votare “contro” ma votare per un’altra politica e votare programmi di governo pensati da cittadini in ascolto di altri cittadini, capaci di mobilitare risorse e professionalità mortificate dalla politica “come professione”.

P.S,


Sarebbe bello che i giornalisti facessero, a tutti i candidati, anche domande che li mettano un po’ in difficoltà. 

mercoledì 23 marzo 2016

Diario politico 04 (Del Vecchio da decostruire)


 Raffaele Del Vecchio, finalmente solo, come notato da alcuni cronisti, senza la tutela dell’eminenza non troppo grigia del PD locale (Del Basso De Caro), ha inaugurato la campagna elettorale. Ha azzeccato tutte le scelte: l’ha fatto al “Piccolo Teatro Libertà”, da lui inaugurato nel quartiere più popoloso (e critico) della città, simbolo “positivo” del suo decennio come Assessore alla Cultura, lo ha fatto simbolicamente all’avvio della primavera, a suggerire una “primavera beneventana” (di contro al “rinascimento” promesso da Mastella), con una bella rosa in mano (che rimanda alla tradizione “floreale” della sua famiglia: ma negli anni Ottanta erano i garofani che Craxi amava ostentare nei suoi congressi), infine ha presentato l’impalcatura del suo programma, che dovrà essere discusso ed elaborato con incontri tematici.
Cercherò ora di decostruire il suo discorso, simboli e slogan scelti per la sua campagna elettorale (Benevento Centrale, si parte).
Partiamo proprio da qui. Al di là delle polemiche sull’esistenza di un gruppo musicale con il medesimo nome (e di un progetto passato anche per l’Assessorato alla Cultura), mi pare che “Benevento Centrale” abbia due limiti sostanziali:
a)     evoca nei più (almeno quarantenni) la “Napoli Centrale” di James Senese, con l’effetto di subordinare simbolicamente ancora una volta la nostra città al vorace capoluogo di Regione;

b)    l’espressione è ambivalente: fa riferimento da una parte alla “centralità” di Benevento (probabilmente nel progetto di un’area “vasta”), e questo “funziona”, ma soprattutto evoca la Stazione. Nell’immaginario del beneventano la marginalità della propria città è incarnata proprio dal progressivo depauperamento dei collegamenti ferroviari. Per di più gli interventi voluti dalla Giunta Pepe/Del Vecchio nella zona della Stazione non hanno riscontrato (ad esser generosi) il plauso dei cittadini.




Chiosa: nei manifesti di lancio si legge un «si parte». Qui emerge la fragilità più evidente di tutta la propaganda di Del Vecchio: il voler suggerire un inizio o un nuovo inizio, come se egli non venisse da dieci anni di governo della città. Non basta promettere (bisogna aspettare le liste per vedere se è solo promessa) un rinnovamento di classe dirigente (i “quarantenni” al potere”) che potrebbe, al limite, giustificare questa sorta di “palingenesi”.
Le premesse del suo discorso sono in parte condivisibili (la crisi è globale, Benevento è stato particolarmente danneggiata dal dimagrimento dello Stato), ma è errato poi il ragionamento che la vede affine ad altre città per criticità.
L’impalcatura del Programma è molto interessante. Mi pare di poter dire, però, senza tema di essere smentito che Raffaele, con scaltrezza, mette in cima all’agenda temi cari al MoVimento 5 Stelle. Questo sicuramente fa piacere. Significa che il ruolo del MoVimento è positivo, al di là del suo successo o insuccesso politico, perché contribuisce a porre all’attenzione del ceto politico professionale questioni evidentemente care ai cittadini. L’etica e la legalità sono al primo posto, dunque. Però, ancora una volta, Del Vecchio dimostra di ragionare con vecchi schemi: la legalità e l’etica non sono valori in sé ma strumentali ad attirare dentro il Palazzo la miglior classe dirigente della città, che è impaurita... da cosa? Dalla corruzione che vi impera? Dobbiamo essere noi a trarre le conclusioni? Non è un autovalutazione (direi in termini scolastici) terribile e di totale insufficienza rispetto al proprio decennale mandato?
Anche la solidarietà e il senso della comunità sono tempi “rubati” al M5S, e non c’è nulla di male. Osta il milieu, la provenienza della “miglior classe dirigente” che Del Vecchio auspica avere con sé, dominata da un «egoismo proprietario» che pare particolarmente immune a tali tematiche. È la stessa classe dirigente che manda i propri figli a studiare lontano da Benevento, spesso in scuole di altre città o altri paesi. È una “classe dirigente” sradicata, che non conosce il proprio territorio se non come bacino di clientele, purtroppo. Mi pare uno dei temi destinati a rimanere, purtroppo, solo sulla carta. Ma è sintomatico che sia stato evocato.
Glissando su altri temi, volevo invece soffermarmi su un’altra criticità sottolineata da Del Vecchio: «la macchina del Comune di Benevento non funziona bene. È una macchina che dobbiamo rigenerare». Come la si “rigenera”? Non è un mero slancio propagandistico annunziare rose, primavere, rigenerazioni? Perché tutto questo non poteva essere fatto già in questi anni? Cosa lo impediva? Perché la macchina comunale è «inefficiente»? La scommessa di Del Vecchio è tutta sul ricambio della classe dirigente, dunque, che si farà carico di queste innovazioni strutturali. E se i nomi, poi, saranno sempre gli stessi cosa dovremmo pensare? Che questa primavera non s’ha da fare?
C’è, infine, il cenno alla “città della bellezza”. Giocoforza bisogna tornare alla querelle nata dall’articolo di Saviano, su cui si è creato un cortocircuito. Del Vecchio ha pensato che l’unica accusa fosse quella relativa al degrado della città. Ebbene esso è visibile in tante zone centrali e non di Benevento. Purtroppo passare davanti al Comunale è un’esperienza non solo di “grande bruttezza” ma di angoscia per chi considera quello un simbolo della città. E non basta sapere che tra qualche mese sarà ristrutturato con i fondi della famosa “filiera istituzionale”. Un decisore politico interviene tempestivamente perché i simboli sono importanti per il popolo che abita un luogo e per i pochi turisti che decidono di visitarli. 



L’accusa maggiore, che si evinceva dall’articolo di Saviano, ripresa da un gruppo di candidati consiglieri del M5S, tra cui lo scrivente, era l’incapacità di fare di Benevento il centro di progetto turistico-culturale di ampio respiro. Anche in questo caso... cosa l’ha impedito in dieci anni all’Assessore alla Cultura? Possibile che non si renda conto delle sue responsabilità negative? Lo voglio dire con le parole del mio amico Giancristiano Desiderio: «Con Pietrantonio fu concepita e concretizzata la svolta dell’idea della città spettacolo e della cultura, con Viespoli si rafforzò un progetto che aveva l’ambizione di radicarsi nel lavoro teatrale, con il decennio Pepe-Del Vecchio prima è iniziato il declino, poi è subentrato il deserto. Città Spettacolo è stata da subito ridimensionata e sacrificata sull’altare degli interessi di partito ed è stata sottoposta alla subalternità al Pd napoletano prima che a Napoli e oggi è ridotta a uno spettacolino dei pupi. La città del teatro è diventata la città dei teatri chiusi. Le compagnie teatrali e musicali – apprezzate e valorizzante dal cameragno Orlando – si sono ritirate a vita privata e menano vita grama mentre il Pd di Del Vecchio ce le ha menate per mesi e anni con la menata del riconoscimento Unesco». Desiderio, dunque, sottolinea come il fallimento generale della città (plasticamente simboleggiato da quello dell’AMTS), sia particolarmente grave nel campo amministrato da Del Vecchio: «totale fallimento. Tuttavia, a questa bancarotta va aggiunto il fiasco più clamoroso per la maestra sinistra al potere: la cultura, appunto». Come potrebbe il responsabile del disastro esserne il risanatore?
Non è casuale, dunque, che la parola d’ordine della campagna elettorale di Del Vecchia sia «solo futuro». Chi, infatti, dovesse mettersi a studiare il suo lavoro nel decennio alle spalle ne trarrebbe, pur non impegnato direttamente nell’agone politico come chi scrive, un giudizio irrimediabilmente negativo.

lunedì 21 marzo 2016

I dieci film della vita: 10. Film blu (Kieślowski)




Film blu è parte di una trilogia, ma per me è un film a se stante. L’ho sempre trovato uno dei pochi a provare l’attraversamento del dolore che non si risolvesse in una mera testimonianza “patetica”, che provasse ad immaginare una via d’uscita. Alla fine pare che le parole per sillabare le “stelle” raggiunte attraverso le “asperità” della perdita (e del tradimento) siano quelle della tradizione cristiana: la carità, l’amore. Ma proprio nelle scene sublimi in cui le vite di tutti i personaggi vengono passate in rassegna nel momento dell’epifania, della rivelazione della verità di ciascuna di esse, capiamo che l’amore dell’epistola paolina è un amore tutto terreno, tutto incarnato: nel senso letterale è la vita che si sta formando nel grembo dell’amante di Patrice de Courcy. La protagonista è costretta ad ammettere l’impossibilità di mettere in pratica il suo progetto di sopravvivenza: «Ho capito che, se è successo questo, adesso farò soltanto quello che voglio. Niente. Non voglio ricordi, cose, amici, amore, né amicizia... Sono tutte trappole...». La vita continua.

Diario politico 03 (Professione vs. servizio civile)


A giugno si  celebrerà un ideale “triello” che vedrà come antagonisti Raffaele Del Vecchio, Marianna Farese e Clemente Mastella. Ci saranno sicuramente altri tre candidati (Principe, Tibaldi, Ucci), forse altri due (uno dell’area di destra che fa capo a Viespoli, l’altro se l’area del sindaco Pepe ed altri malpancisti del PD dovessero rompere col partito). I primi tre nomi, stando ai sondaggi, sono quelli che possono giocarsi la chanche del ballottaggio.
Guardiamoli da vicino e collochiamoli in un possibile schema di lettura della politica contemporanea.
Clemente Mastella è in politica attiva da giusto quaranta anni. Delfino di Ciriaco De Mita, si ritaglia poi uno spazio autonomo che l’ha portato ad attraversare la seconda repubblica con modi spregiudicati che ottimizzassero un bacino di voti concentrato nel Sannio e fondato sostanzialmente sull’intermediazione delle risorse. L’inchiesta che ha coinvolto l’UDEUR nel 2008 ha drasticamente ridimensionato il suo potere, che aveva trovato ulteriore puntello nella carriera politica della moglie, Sandra Lonardo. Si candida a Benevento perché non ci sono altri luoghi del “potere” attualmente a disposizione, e il 2018 è troppo lontano per un uomo che fa dell’occupazione di luoghi strategici delle decisioni e del controllo delle risorse il fondamento del suo potere. Un politico “professionista” a tutto tondo, insomma. Il “moderatismo” è l’unica parola d’ordine rimasta, dopo la dissoluzione del complesso mondo di ideali che costituivano la Democrazia Cristiana. Le prime parole che ha pronunziato nella sua discesa in campo sono assolutamente generica, per altro scontando Mastella una scarsissima conoscenza approfondita dei problemi della città. Porterà con sé un ceto di professionisti della politica e giovani che ambiscono a divenire tali.
Raffaele Del Vecchio è il figlio del vicesindaco della giunta Pietrantonio, Nino Del Vecchio, socialista poi passato ai Democratici di Sinistra, poi al PD. Il padre ha lasciato al figlio eredità di voti importante (ma è storia diffusa a Benevento, come mostra anche la vicenda di Luigi Scarinzi). Raffaele Del Vecchio è nato nel 1970. La sua carriera politica, col passaggio di testimone ideale da parte del padre, inizia nel 2001. Entra in Consiglio, all’opposizione. Nel 2006 è tra i più votati. Diventa vicesindaco e Assessore alla Cultura. Tale assessorato, che avrebbe dovuto e potuto essere strategico per il rilancio economico della città, è divenuto sempre più, invece, un modo per strutturare piccole rendite di posizione elettorale, con scelte calate dall’alto e poco condivise (non inganni il tentativo degli ultimi anni di creare uno strumento consultivo e partecipativo). Siamo di fronte, dunque, ad un altro politico “professionista”, con enormi ambizioni personali (già voleva sostituire Pepe alla guida del Comune nel 2011) che dovrebbero in prospettiva proiettarlo sul proscenio nazionale, sfuggito al padre, rimasto sempre in un orizzonte locale. L’ideologia di Del Vecchio è uno stinto “riformismo” la cui ambizione è la gestione tecnocratica del presente, senza orizzonti, senza grandi ideali di riferimento.
Contro la politica come “professione a vita” abbiamo Marianna Farese, la candidata del MoVimento 5 Stelle. La sua storia parla di impegno civile, di professionalità che matura in ambiti diversi fino a sboccare nell’insegnamento. Insomma, l’esatto opposto dei due modelli precedenti. Il voto di giugno, a Benevento e in altre città italiane, sarà soprattutto questo: la politica come professione (a vita) contro la politica come “servizio civile” (a tempo). L’obiezione di molti è la seguente: preferisco un bravo professionista ad un dilettante allo sbaraglio. Alla quale rispondo dicendo che andrebbe mostrato che un politico non professionista sia un dilettante allo sbaraglio. La società italiana è piena di straordinarie competenze che aspettano solo di essere testate ed utilizzate. In subordine, direi che se l’Italia è un paese inefficiente ciò lo si deve soprattutto alla pervasività della politica. La “questione morale” denunziata da Berlinguer non è solo la corruzione di molto ceto politico o l’uso privato di risorse pubbliche quanto la pratica per cui il politico decide in ambiti che dovrebbero essere lasciati alla loro autonomia. Ma ciò accade perché il politico professionista ha bisogno di creare “clientele” in vista della sua carriera. È un circolo vizioso che solo un’idea diversa di politica, “a termine”, può far saltare in aria.
Amo parlare, a proposito di giugno, di “rivoluzione gentile”. La aspetto con trepidazione.