mercoledì 17 febbraio 2016

dopo il diluvio


Edifichiamo in vano se il SIGNORE non edifica con noi.
Potete reggere forse la Città se il SIGNORE non resta con voi?
Mille vigili che dirigono il traffico
Non sanno dirvi né perché venite né dove andate.
Una colonia intera di cavie o un’orda d’attive marmotte
Edificano meglio di coloro che edificano senza il SIGNORE.
Ci leveremo in piedi fra rovine perenni?
Ho amato la bellezza della Tua Casa, la pace del Tuo Santuario,
Ho spazzato i pavimenti e adornato gli altari.
Là dove non c’è tempio non vi saranno dimore,
Sebbene abbiate rifugi e istituzioni,
Alloggi precari dove si paga l’affitto,
Scantinati che cedono dove il topo si nutre
O latrine con porte numerate
O una casa un po’ meglio di quella del vicino…

T. S. Eliot

 «Forse viviamo un tempo unico per la sua importanza, in quanto diretto a liberare le espressioni della preghiera da ogni unilatera­lismo sentimentale o razionale, a fecondare la ragione col cuore, a far nascere la ragione nel cuore e il cuore nella ragione. Quando questo sarà compiuto scopriremo che il silenzio è la forma metafisica del cosmo; che le creature non ci sono date per uno sfruttamento utilitarista o edonico, ma perché insieme a noi compiano il cammino verso l'infinita vita; che il singolo uomo non è un'unità lavorativa, ma un universo misterioso; che le teologie ci descrivono un volto di Dio umanamente interpretato, ma che il suo vero Essere è avvolto nel silenzio; che la preghiera è esercizio di silenzio davanti alla Divinità non più invocata, ma presente».

Giovanni Vannucci

Quando s’infranse la diga dell’uomo, risucchiata dalla gigantesca falla nell'abbandono del divino parole in lon­tananza, parole che non volevano andar perdute, tentarono di resistere alla esorbitante spinta.
Là si decise la dinastia del loro significato.
Ho corso sino alla fine di questa notte diluviale. Ben saldo nel floscio apparir del giorno, la cintura colma di stagioni, v’aspetto, amici miei venturi.
Già v’intravedo oltre il nero orizzonte. Il mio focolare non è mai stato arido di voti per le vostre case. E il mio bastone di cipresso ride di tutto cuore per voi.

René Char

(Apparso nella rubrica Detti di luce su «la rosa necessaria» n. 21, settembre 1998)

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