Non sarà una novità. Ma non per questo appare
meno urgente denunziare alla opinione pubblica una pratica indecorosa, concausa
del fallimento della politica amministrativa nella nostra città. Non bisogna temere di essere pedanti, di essere "moralisti". Non bisogna temere di pestare qualche piede, anche amico.
Abbiamo alle spalle cinque anni in cui c’è
stato un potere fragile (e inutile, come scrive sempre Giancristiano Desiderio) a gestire Palazzo Mosti. Di contro, però,
l’opposizione è apparsa frantumata, incapace di svolgere un’azione di contrasto
compatta ed efficace. In realtà, ciò che stava accadendo era il
riposizionamento in vista delle prossime elezioni: era gioco per molti (non per tutti, sia chiaro) la propria
sopravvivenza politica e il raggiungimento di ambiti posti di potere.
So che sarà sgradevole e mi attirerà le
critiche di alcuni. Benevento è una piccola città in cui tutti ci si conosce.
Esistono dei momenti, però, in cui tacere diventa complicità.
Vediamo da vicino alcuni casi clamorosi di
“trasformismo” politico facendo nomi e cognomi. E, si badi bene, qui non si
stigmatizza la possibilità di cambiare idee o ideali. Ci fossero idee ed ideali
dietro i repentini cambi di casacca! Purtroppo ci troviamo di fronte al
tentativo di tutelare ben altro...
Mi soffermo su alcuni casi emblematici (ce ne saranno molti
altri, per cui nulla vieta che ci sia una seconda parte del diario dedicata all'argomento).
Francesco
De Pierro:
figlio d’arte (la Benevento politica è piena di figli d’arte!), mastelliano doc, consigliere dal 2006. Nel 2013 lascia l’UDEUR dopo una «prolungata meditazione interiore». Il giovane e tormentato De Pierro
vuole costruire il suo personale percorso politico... Cammina e cammina... e
dove ti arriva? Al PD! Ma si tratta, dice il nostro, di un nostos, del ritorno al luogo d’origine, a quel centrosinistra da
cui anche l’UDEUR era partito. Poi, mi dico, vi lamentate che i giovani non
capiscano nulla di “geografia politica”. Fausto Pepe e Raffaele Del Vecchio si sono
ritrovati, dunque, per quasi due anni un finto oppositore e futuro alleato.
Porterà al PD «proposte, slogan, idee». Voti soprattutto. Perché questa è la
strategia del PD decariano: mettere insieme “grandi elettori”, detentori (per
motivi che sarebbe interessante indagare) di pacchetti di voti (siano singole
persone, siano sindacati – purtroppo –, siano associazioni – purtroppo -).
Luigi Trusio ripete lo stesso copione. Ne scriveva
«Il Vaglio» a gennaio 2015: «e certo pensare a Trusio
senza l’ex ministro di Ceppaloni è come scartare una confezione di Ringo e non
trovare tra i due biscotti la crema». Il povero Clemente alleva una genia di
infedeli camaleonti, pronti a voltargli le spalle appena annusata la
possibilità di una poltrona appetibile. Ottimo maestro, insomma!
Giovanni Quarantiello è un altro finto oppositore della giunta Pepe/Del Vecchio, pronto ad
essere ricompensato per il suo riposizionamento politico.
Di Roberto Capezzone (per certi versi il caso più emblematico) si è scritto già bene e abbastanza, inutile tornarci.
Notizia fresca,
anch’essa destinata a portare scompiglio nelle truppe mastellate, è la
defezione di Alfredo Cataudo,
potente presidente dell’ASEA, che pare pronto a candidarsi in una delle liste di
Raffaele Del Vecchio. Anche in questo caso, nessun grande ideale. Semplici
“giochi di potere”.
Caso diverso, non
di trasformismo vero e proprio, ma anch’esso emblematico, quello di Daniela Basile, feroce critica della
giunta Pepe/Del Vecchio, lesta a candidarsi con una lista di appoggio al
vicesindaco, al punto da suscitare commenti “basiti” nella stampa. Insomma, il
tipico caso di nasce incendiario e muore pompiere pur di occupare una
qualsivoglia poltrona, rinnegando le proprie idee, o, peggio, utilizzandole
strumentalmente. Un altro aspetto della piccineria politica beneventana.
Raccontare la storia di queste persone, in un tempo “smemorino”, è
una battaglia che non smetterò mai di fare. Bisogna reclamare uno spazio
pubblico in cui le persone portino tutta intera la loro storia, che può
presentare evoluzioni (o involuzioni), trasformazioni ma travagliate, pensate,
ponderate. Non ci dovrebbe essere il retropensiero che si stiano tutelando
interessi (imprenditoriali o professionali) o coltivando smodate ambizioni
(percependo la politica come “luogo del potere”).
Mi congedo con
una scena potente del film che faccio vedere spesso ai miei alunni, Noi
credevamo. In essa un bravissimo Luca Zingaretti interpreta Francesco Crispi,
mazziniano e garibaldino, poi fattosi monarchico e bismarckiano. Egli parla ad
un Parlamento vuoto. Con questa geniale trovata da teatro d’avanguardia Martone
suggerisce come il trasformismo italico, teorizzato da Depretis (che è il camaleonte dell'immagine che apre il post) e incarnato
benissimo da Crispi, produca inevitabilmente una democrazia di “anime morte” (ed è il motivo per cui ho voluto riprodurre gli uomini e le donne di cui ho parlato in un bianco e nero antichizzato). Quella che viviamo da cinque anni a questa parte a Benevento.
C’è bisogno di
una rivoluzione. Citando un filosofo a me caro, Enrique Dussel, potrei dire:
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