Sta capitando spesso, in questa parte dell’anno,
con la mia III, dove sarò membro interno, di poter concedermi qualche libertà,
derogando rispetto a programmi che, per altro, non sono mai di per sé ordinari.
Diciamo che con loro mi sento assolutamente libero, avvertendo che quanto
potevo dare loro in termini di conoscenze e competenze (per usare l’arido
linguaggio burocratico) l’ho dato negli anni scorsi. Si tratterebbe ora,
sfruttando questa libertà, di trasferire loro quella che, semplificando, potrei
chiamare “una lezione di vita”. Proprio oggi, al margine della riflessione su
Marco Guzzi che stiamo portando avanti in un ambizioso progetto di insegnamento
della letteratura italiana contemporanea contaminata con altre discipline, un mio alunno biondo, bello, fisico scolpito, mi ha comunicato, per l’ennesima volta,
che quanto vado dicendo è bello, sulla carta, ma impraticabile. Il mondo è
retto da un solo dio, il denaro: chi ce l’ha troverà strade spianate di fronte
a sé, chi non ne ha arrancherà, destinato ad una vita infelice. L’alternativa,
ha detto, sarebbe che tutti partissero da condizioni uguali. Ho sorriso.
Entra e esce dalle mie lezioni: un po’
armeggia con il suo cellulare, cercando orologi di marca e sognando Ferrari, un
po’, coltivando la sua formidabile memoria breve, prepara interrogazioni di
altre discipline. Negli anni si diventa tolleranti rispetto a certe cose. Si
capisce che o i ragazzi si appassionano a quel che dici perché lo trovano
sensato o ogni coercizione è inutile, rischiando lo sguardo perso nel vuoto di un suo compagno (affascinato dai nomi esotici), che ha l’apparenza della partecipazione e
la sostanza dell’assenza.
So che potrà sembrare pretenzioso. Io non ho
risposte da dare. Gli ripeto spesso che dovrà assaporare la cenere di
una vita spesa ad accumulare denaro. Troppo tardi scoprirà, probabilmente, che
la felicità e la pienezza sono altrove. Nel suo immaginario plasmato dalla
pubblicità la giornata ideale è fatta di happy
hour, di macchine che sfrecciano su autostrade libere in compagnia di
bionde mozzafiato, con Rolex pregiatissimi al polso. Gli è impossibile
concepire la felicità in un lavoro ben fatto, per esempio quello dell’artigiano.
È quasi incredulo quando gli dico che io, qui, ora, parlando con lui, sono perfettamente
realizzato come uomo, e mi sento un privilegiato.
Non so se riuscirò a fargli vedere La vita è meravigliosa, il distillato di
tutto quanto ho appreso sulla vita. Forse ci proverò. Non scalfirò le sue
certezze. Un giorno, però, spero che, io oramai anziano, un uomo divenuto tale
nell’asprezza della vita, mi venga a trovare per dirmi che, sì, avevo ragione
io in quelle aule apparentemente tristi e senza lustrini del Giannone: la vita
è meravigliosa perché facciamo un lavoro che amiamo con passione, perché c’è
una moglie che ci aspetta in una casa rimessa in piedi a fatica, dei bambini
che ci adorano e degli amici pronti a ridonarci ciò che avremo donato loro.
Insomma, vorrei che mi dicesse, ho capito, professore, che sono le relazioni
umane che rendono la vita piena e degna di essere vissuta.
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