Provo ad abbozzare un tentativo di analisi
sociologica del voto prossimo venturo.
A mio avviso, l’elettorato cittadino che si
orienterà sulla coalizione di centro-sinistra o su Mastella, pur tenendo conto
del voto “controllato” (attraverso meccanismi perversi ma purtroppo
ineliminabili: penso a molti medici, a molti avvocati, a molti imprenditori con
i loro pazienti, clienti, dipendenti) raccolga un ceto medio-alto che controlla
in buona parte l’economia cittadina per quanto asfittica. L’assoluta
permeabilità dei due raggruppamenti, per cui nel corso di questi alcuni “grandi
elettori” sono transitati dall’una all’altra compagine (per altro alleata a
Benevento nell’esperienza Nardone alla Rocca e in parte della prima Giunta
Pepe) ci dice che non siamo di fronte a due blocchi sociali diversi e portatori
di interessi contrapposti. Come gli eligendi sono ceto politico
semi-professionale, “casta” (o aspirante tale), così gli elettori non incarnano
“interessi” diversi né sono portatori di progettualità diverse. Le
differenziazioni avverranno solo sul piano dialettico, saranno legate alla
contingenza della polemica politica spicciola. D’altronde, né gli uni né gli
altri paiono aver investito molto sull’elaborazione di seri programmi di
governo della città. Mentre il “centro-sinistra” conta sulla mobilitazione
delle proprie liste, Mastella conta sulla sua storia politica, sull’essere
(stato) un leader nazionale, capace di decidere le sorti dei governi.
L’unica vera novità appare, dunque, il
MoVimento Cinque Stelle. Facciamo un passo indietro. Fino al 2011 ha retto la
contrapposizione destra-sinistra che faticosamente si è strutturata negli anni
Novanta, dopo le elezioni del 1993 (che potevano far presagire anche altre
possibilità, inesperite). Nel 2001, invece, la candidatura di Tibaldi
(storicamente socialista) con il centro-destra e l’alleanza Viespoli, Nardone,
Mastella ha mostrato come oramai fossimo già al di là della storia del
Novecento. In quella circostanza ci fu anche una piccola lista “testimoniale”
che teneva dentro pezzi di “sinistra radicale” (la definiamo così per comodità)
e pezzi del MoVimento Cinque Stelle che si stava strutturando in città.
Arriviamo all’oggi. Chi voterà per il M5S? A mio avviso ci sono due elettorati
abbastanza disomogenei. Potremmo dire che c’è un elettorato “di pancia”, che in
un tempo di crisi diffusa, particolarmente avvertita a Benevento con la
riduzione della presenza dello Stato (e del suo indotto) e la crisi della
filiera del tabacco (senza che venisse sostituita da altro), addita nella “casta”
e nello sperpero di risorse pubbliche (o nella loro appropriazione) la causa
principale del problema. C’è poi un ceto medio (di impiegati e professionisti
in particolare) che, pur anelando anch’esso ad una maggiore correttezza nell’uso
delle risorse e guardando con simpatia a chi pronunzia parole d’ordine come
onestà e trasparenza, pare più interessato ad altre parole d’ordine del M5S.
Per esempio quelle che si ritrovano nella “Carta di Firenze”, e pensano una
mobilità diversa, una città a misura d’uomo, vecchio e bambino, evocano la “decrescita
conviviale”. Sono anime che spesso stentano a comunicare tra loro. Anche a
livello locale è leggibile una sorta di giustapposizione che ancora non trova
sintesi. La sfida del MoVimento 5 Stelle, dunque, nei prossimi mesi è far
dialogare queste due anime, che hanno in comune l’esclusione storica dalla “stanza
dei bottoni” (che hanno sempre delegato ad altri in passato). Se queste due componenti della società beneventana (e i loro
portavoce, nei quali si riproduce il dualismo da sanare) entreranno a Palazzo Mosti
ci troveremo di fronte ad una piccola rivoluzione politica. Per la quale, come
già detto, io ho intenzione di impegnarmi in prima persona, conscio dei rischi
e delle difficoltà.
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