martedì 15 marzo 2016

finalmente per qualcosa e non solo contro


Sono cresciuto in una famiglia democristiana. Conservo ancora le tante lettere di corrispondenza con notabili della DC su cui un giorno, forse, scriverò qualcosa.
Mia madre (che Dio la benedica!) era parte integrante di quel reticolo di attivismo sociale generoso ma con due limiti: l’atteggiamento paternalistico e la contiguità al potere politico. Mio padre, con un’attività commerciale importante, era dentro il tessuto del potere cittadino, come “portatore d’acqua”, senza mai avere ruoli. Nessuno in famiglia è mai stato tentato dalla vita politica.
Nel 1993 io, che già avevo elaborato nella stagione universitaria “romana”, una visione politica antitetica rispetto a quella della mia famiglia (per questo penso positiva sempre l’esperienza di “uscire”, di studiare altrove, quando possibile, per i ragazzi: amplia gli orizzonti), rispetto al mio genetico “qualunquismo” propenso prima ad adagiarsi sulle scelte più semplici, nel 1993 mi sentii potentemente preso dalle elezioni cittadine, nel clima di dissolvimento del quadro politico che aveva sorretto la “prima Repubblica”, sulla scorta delle indagini del Pool di Milano. In quella circostanza maturò in maniera clamorosa e vistosa la mia rottura con la tradizione familiare: chiamato in causa (ricordo ancora le telefonate di sollecito per il voto, le ricordo plasticamente, ricordo dove ero in quel momento e cosa risposi...) da quel potere che cercava di perpetuarsi (nella figura del dott. Del Mese), presi nettamente posizione a favore prima di Domenica Zanin e poi di Pasquale Viespoli (peraltro c’era un altro eccellente candidato della sinistra civica, Pompeo Nuzzolo in quella occasione). Viespoli, che proveniva dal Movimento Sociale Italiano, vinse clamorosamente al secondo turno le elezioni e divenne Sindaco, con un progetto ambizioso, destinato, purtroppo, ad arenarsi. Nel fuoco di Tangentopoli il mio antisocialismo viscerale, nutrito dal «Cuore» di Michele Serra, da memorabili battute («Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti») e dalla visione di film di denunzia come «Il portaborse» si era temprato. Ora faceva il paio con rottura della tradizione familiare, per altro avallata da mio padre, anche lui oramai deluso da quel potere tanto pervasivo quanto miope, su scala locale.
Questi due tratti sono rimasti genetici del mio impegno politico. Uscii da Rifondazione Comunista quando l’UDEUR di Mastella entrò nella maggioranza in Regione Campania. Ho denunziato nel corso degli anni una deriva “craxiana” del PD.
C’è una novità importante, però, nel percorso degli ultimi anni. Prima ero costretto a vivere la passione politica, a intermittenza, in piccoli gruppi testimoniali. Oggi sono parte di un grande organismo capace di dire no ai mali che il mastellismo e il neocraxismo renziano incarnano (il trasformismo, l’uso opaco delle risorse pubbliche, il decisionismo postdemocratico). È emblematico che i competitor del M5S a Benevento saranno un «irrotamabile» (cit.) Mastella e il figlio di un noto esponente del PSI locale degli anni Ottanta, Raffaele Del Vecchio. Per questo ho deciso di tornare nell’agone politico nella mia città, che può essere il laboratorio di una buona politica fatta di onestà, uso corretto delle risorse, legalità, trasparenza e partecipazione. Insomma, non più solo contro ma anche per qualcosa. Questo mi fa sentire, finalmente, meno solo.

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