Quando fui candidato di una piccola lista
rosso-verde nel 2001 (si chiamava Città
aperta), in una competizione elettorale che poi vide vincere Sandro D’Alessandro, anche per la “vendetta”
che Umberto Del Basso De Caro mise in atto al secondo turno, non
facendo votare il candidato ufficiale (mastelliano) del centro-sinistra, Pasquale Grimaldi, durante una faccia a
faccia con tutti i candidati (gli altri erano Orlando Vella, Gennaro Santamaria
e Peppino De Lorenzo), dissi che esistevano due campagne elettorali: una manifesta, palese, fatta di comizi
(già all’epoca praticamente scomparsi, però), confronti pubblici, dichiarazioni
alla stampa, programmi; l’altra, ben più importante, fatta nel nascondimento,
casa per casa (espressione utilizzata non a caso da Mastella recentemente), una sorta di battaglia di Stalingrado, da
cui dipendevano le sorti della “guerra” in atto. Purtroppo nulla è cambiato da
allora. Il panorama politico si è ulteriormente degradato a livello nazionale e
locale. Nella liquefazione delle identità novecentesche, che ancora nel 2001
consentivano, sebbene a fatica, di identificare opzioni ideologiche e
programmatiche diverse, non è ancora ben riconoscibile una nuova configurazione
del quadro politico. Inoltre nelle elezioni amministrative incidono sempre in
maniera massiccia, soprattutto in un “grande paese” come Benevento, l’appartenenza
familiare e un grumo di interessi i più vari. Si sente spesso l’espressione «Chi mi vattea m’è compare» (chi mi
battezza – nel senso di aiutare - mi è compare), che mi fa sempre sgranare gli
occhi. Viene utilizzata, a prescindere dalla lingua, italiana o dialettale, e
dalla classe sociale di appartenenza, per giustificare da una parte una sorta
di agnostico politico, dall’altra la piena disponibilità a chiunque prometta
aiuto, favori et cetera.
Per questo motivo mi sono convinto che solo
una ripoliticizzazione della società
potrà porre freno a questa deriva dove cresce (e funghisce) una proposta
politica vuota di contenuti reali, che nel migliore dei casi si propone di
gestire l’esistente (in maniera “tecnica”, direi in termini filosofici, cioè
evocando competenze e capacità). E come si può ripoliticizzare la società?
Evidentemente rifiutando l’idea secondo cui esistano “tecnici”, “esperti” cui
delegarne l’amministrazione. Si tratterebbe di una profonda trasformazione del
nostro rapporto non solo con la politica. Essa richiede impegno, sacrificio di
tempo, capacità di metabolizzare delusioni, che inevitabilmente derivano dal
confronto con persone portatrici di visioni, idee e proposte non sempre
collimanti con le nostre.
Negli ultimi anni ho vagheggiato un Palazzo della Politica dove soprattutto
i più giovani possano coltivare una passione necessaria. I partiti tradizionali
non bastano più oramai da anni. Selezionano classe dirigente in base al numero
di voti che essa porta (meglio dunque se provenga dal mondo forense o della
sanità). Ascoltando dichiarazioni di giovani candidati nelle prossime amministrative
trovo una sorta di vuoto pneumatico, che si cerca di riempire con slogan, frasi
fatti, appelli al “futuro” (mi pare il segno più clamoroso del disastro dell’attuale
classe dirigente l’enfasi che tutti mettono sul futuro pur di non guardare al
gramo presente, come già scritto).
Il MoVimento 5 Stelle mi pare l’unico soggetto
politico che si ponga il problema di una cittadinanza attiva. Mai come in
questo caso, però, non parlo da uomo “di parte”, non difendo a spada tratta un’esperienza
(di cui per altro vedo alcune criticità).
Qui, inevitabilmente, non posso non far riferimento alla mia
esperienza di docente, che constata quotidianamente l’indifferenza degli
adolescenti rispetto alla questione, che li rende permeabili alla propaganda,
incapaci di formulare giudizi autonomi, anche in assenza di conoscenza storica
degli ultimi anni.
Laudator
temporis
acti, dunque, anch’io? Rimpiango gli
anni Sessanta e Settanta? Assolutamente no. Sogno, invece, una città, un paese,
in cui i cittadini vengano educati sin da giovani a prendersi cura della cosa
pubblica, attraverso azioni concrete di tutela o di denunzia, di proposta o di
sollecitazione. Sogno una comunità che crei i luoghi fisici in cui sia
possibile discutere liberamente e in cui persone affini possano incontrarsi,
senza necessariamente passare attraverso partiti asfittici e costruiti come “macchine”
per gestire o conquistare il potere. Sogno una Benevento insomma in cui nessuno
più mi dica che gli è compare chi lo “battezza” ma tutti abbiano consapevolezza,
avendoci dedicato tempo di studio, avendone discusso con altri, dei problemi
della comunità, dal trasporto pubblico alla gestione dei rifiuti, dalla mensa
dei bambini alla manutenzione delle strade.
Benevento vivrà la sua “rivoluzione gentile”
solo attraverso un mutamento antropologico e culturale del suo “popolo”, che
ancora in buona parte deve entrare in quella che Kant definiva «età adulta».
Il
beneventano medio e l’italiano medio sono ancora in quella «età minore»,
che è l’incapacità di agire senza la guida di un altro. Chiudo, dunque,
parafrasando il Kant del Che cos’è l’Illuminismo?:
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