Film blu è parte di una trilogia, ma per me è un film a se stante. L’ho sempre trovato uno dei pochi a provare l’attraversamento del dolore che non si risolvesse in una mera testimonianza “patetica”, che provasse ad immaginare una via d’uscita. Alla fine pare che le parole per sillabare le “stelle” raggiunte attraverso le “asperità” della perdita (e del tradimento) siano quelle della tradizione cristiana: la carità, l’amore. Ma proprio nelle scene sublimi in cui le vite di tutti i personaggi vengono passate in rassegna nel momento dell’epifania, della rivelazione della verità di ciascuna di esse, capiamo che l’amore dell’epistola paolina è un amore tutto terreno, tutto incarnato: nel senso letterale è la vita che si sta formando nel grembo dell’amante di Patrice de Courcy. La protagonista è costretta ad ammettere l’impossibilità di mettere in pratica il suo progetto di sopravvivenza: «Ho capito che, se è successo questo, adesso farò soltanto quello che voglio. Niente. Non voglio ricordi, cose, amici, amore, né amicizia... Sono tutte trappole...». La vita continua.
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