mercoledì 23 marzo 2016

Diario politico 04 (Del Vecchio da decostruire)


 Raffaele Del Vecchio, finalmente solo, come notato da alcuni cronisti, senza la tutela dell’eminenza non troppo grigia del PD locale (Del Basso De Caro), ha inaugurato la campagna elettorale. Ha azzeccato tutte le scelte: l’ha fatto al “Piccolo Teatro Libertà”, da lui inaugurato nel quartiere più popoloso (e critico) della città, simbolo “positivo” del suo decennio come Assessore alla Cultura, lo ha fatto simbolicamente all’avvio della primavera, a suggerire una “primavera beneventana” (di contro al “rinascimento” promesso da Mastella), con una bella rosa in mano (che rimanda alla tradizione “floreale” della sua famiglia: ma negli anni Ottanta erano i garofani che Craxi amava ostentare nei suoi congressi), infine ha presentato l’impalcatura del suo programma, che dovrà essere discusso ed elaborato con incontri tematici.
Cercherò ora di decostruire il suo discorso, simboli e slogan scelti per la sua campagna elettorale (Benevento Centrale, si parte).
Partiamo proprio da qui. Al di là delle polemiche sull’esistenza di un gruppo musicale con il medesimo nome (e di un progetto passato anche per l’Assessorato alla Cultura), mi pare che “Benevento Centrale” abbia due limiti sostanziali:
a)     evoca nei più (almeno quarantenni) la “Napoli Centrale” di James Senese, con l’effetto di subordinare simbolicamente ancora una volta la nostra città al vorace capoluogo di Regione;

b)    l’espressione è ambivalente: fa riferimento da una parte alla “centralità” di Benevento (probabilmente nel progetto di un’area “vasta”), e questo “funziona”, ma soprattutto evoca la Stazione. Nell’immaginario del beneventano la marginalità della propria città è incarnata proprio dal progressivo depauperamento dei collegamenti ferroviari. Per di più gli interventi voluti dalla Giunta Pepe/Del Vecchio nella zona della Stazione non hanno riscontrato (ad esser generosi) il plauso dei cittadini.




Chiosa: nei manifesti di lancio si legge un «si parte». Qui emerge la fragilità più evidente di tutta la propaganda di Del Vecchio: il voler suggerire un inizio o un nuovo inizio, come se egli non venisse da dieci anni di governo della città. Non basta promettere (bisogna aspettare le liste per vedere se è solo promessa) un rinnovamento di classe dirigente (i “quarantenni” al potere”) che potrebbe, al limite, giustificare questa sorta di “palingenesi”.
Le premesse del suo discorso sono in parte condivisibili (la crisi è globale, Benevento è stato particolarmente danneggiata dal dimagrimento dello Stato), ma è errato poi il ragionamento che la vede affine ad altre città per criticità.
L’impalcatura del Programma è molto interessante. Mi pare di poter dire, però, senza tema di essere smentito che Raffaele, con scaltrezza, mette in cima all’agenda temi cari al MoVimento 5 Stelle. Questo sicuramente fa piacere. Significa che il ruolo del MoVimento è positivo, al di là del suo successo o insuccesso politico, perché contribuisce a porre all’attenzione del ceto politico professionale questioni evidentemente care ai cittadini. L’etica e la legalità sono al primo posto, dunque. Però, ancora una volta, Del Vecchio dimostra di ragionare con vecchi schemi: la legalità e l’etica non sono valori in sé ma strumentali ad attirare dentro il Palazzo la miglior classe dirigente della città, che è impaurita... da cosa? Dalla corruzione che vi impera? Dobbiamo essere noi a trarre le conclusioni? Non è un autovalutazione (direi in termini scolastici) terribile e di totale insufficienza rispetto al proprio decennale mandato?
Anche la solidarietà e il senso della comunità sono tempi “rubati” al M5S, e non c’è nulla di male. Osta il milieu, la provenienza della “miglior classe dirigente” che Del Vecchio auspica avere con sé, dominata da un «egoismo proprietario» che pare particolarmente immune a tali tematiche. È la stessa classe dirigente che manda i propri figli a studiare lontano da Benevento, spesso in scuole di altre città o altri paesi. È una “classe dirigente” sradicata, che non conosce il proprio territorio se non come bacino di clientele, purtroppo. Mi pare uno dei temi destinati a rimanere, purtroppo, solo sulla carta. Ma è sintomatico che sia stato evocato.
Glissando su altri temi, volevo invece soffermarmi su un’altra criticità sottolineata da Del Vecchio: «la macchina del Comune di Benevento non funziona bene. È una macchina che dobbiamo rigenerare». Come la si “rigenera”? Non è un mero slancio propagandistico annunziare rose, primavere, rigenerazioni? Perché tutto questo non poteva essere fatto già in questi anni? Cosa lo impediva? Perché la macchina comunale è «inefficiente»? La scommessa di Del Vecchio è tutta sul ricambio della classe dirigente, dunque, che si farà carico di queste innovazioni strutturali. E se i nomi, poi, saranno sempre gli stessi cosa dovremmo pensare? Che questa primavera non s’ha da fare?
C’è, infine, il cenno alla “città della bellezza”. Giocoforza bisogna tornare alla querelle nata dall’articolo di Saviano, su cui si è creato un cortocircuito. Del Vecchio ha pensato che l’unica accusa fosse quella relativa al degrado della città. Ebbene esso è visibile in tante zone centrali e non di Benevento. Purtroppo passare davanti al Comunale è un’esperienza non solo di “grande bruttezza” ma di angoscia per chi considera quello un simbolo della città. E non basta sapere che tra qualche mese sarà ristrutturato con i fondi della famosa “filiera istituzionale”. Un decisore politico interviene tempestivamente perché i simboli sono importanti per il popolo che abita un luogo e per i pochi turisti che decidono di visitarli. 



L’accusa maggiore, che si evinceva dall’articolo di Saviano, ripresa da un gruppo di candidati consiglieri del M5S, tra cui lo scrivente, era l’incapacità di fare di Benevento il centro di progetto turistico-culturale di ampio respiro. Anche in questo caso... cosa l’ha impedito in dieci anni all’Assessore alla Cultura? Possibile che non si renda conto delle sue responsabilità negative? Lo voglio dire con le parole del mio amico Giancristiano Desiderio: «Con Pietrantonio fu concepita e concretizzata la svolta dell’idea della città spettacolo e della cultura, con Viespoli si rafforzò un progetto che aveva l’ambizione di radicarsi nel lavoro teatrale, con il decennio Pepe-Del Vecchio prima è iniziato il declino, poi è subentrato il deserto. Città Spettacolo è stata da subito ridimensionata e sacrificata sull’altare degli interessi di partito ed è stata sottoposta alla subalternità al Pd napoletano prima che a Napoli e oggi è ridotta a uno spettacolino dei pupi. La città del teatro è diventata la città dei teatri chiusi. Le compagnie teatrali e musicali – apprezzate e valorizzante dal cameragno Orlando – si sono ritirate a vita privata e menano vita grama mentre il Pd di Del Vecchio ce le ha menate per mesi e anni con la menata del riconoscimento Unesco». Desiderio, dunque, sottolinea come il fallimento generale della città (plasticamente simboleggiato da quello dell’AMTS), sia particolarmente grave nel campo amministrato da Del Vecchio: «totale fallimento. Tuttavia, a questa bancarotta va aggiunto il fiasco più clamoroso per la maestra sinistra al potere: la cultura, appunto». Come potrebbe il responsabile del disastro esserne il risanatore?
Non è casuale, dunque, che la parola d’ordine della campagna elettorale di Del Vecchia sia «solo futuro». Chi, infatti, dovesse mettersi a studiare il suo lavoro nel decennio alle spalle ne trarrebbe, pur non impegnato direttamente nell’agone politico come chi scrive, un giudizio irrimediabilmente negativo.

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