A giugno si
celebrerà un ideale “triello” che vedrà come antagonisti Raffaele Del
Vecchio, Marianna Farese e Clemente Mastella. Ci saranno sicuramente altri tre
candidati (Principe, Tibaldi, Ucci), forse altri due (uno dell’area di destra
che fa capo a Viespoli, l’altro se l’area del sindaco Pepe ed altri malpancisti
del PD dovessero rompere col partito). I primi tre nomi, stando ai sondaggi,
sono quelli che possono giocarsi la chanche
del ballottaggio.
Guardiamoli da vicino e collochiamoli in un
possibile schema di lettura della politica contemporanea.
Clemente
Mastella
è in politica attiva da giusto quaranta anni. Delfino di Ciriaco De Mita, si
ritaglia poi uno spazio autonomo che l’ha portato ad attraversare la seconda
repubblica con modi spregiudicati che ottimizzassero un bacino di voti
concentrato nel Sannio e fondato sostanzialmente sull’intermediazione delle
risorse. L’inchiesta che ha coinvolto l’UDEUR nel 2008 ha drasticamente
ridimensionato il suo potere, che aveva trovato ulteriore puntello nella
carriera politica della moglie, Sandra Lonardo. Si candida a Benevento perché
non ci sono altri luoghi del “potere” attualmente a disposizione, e il 2018 è
troppo lontano per un uomo che fa dell’occupazione di luoghi strategici delle
decisioni e del controllo delle risorse il fondamento del suo potere. Un
politico “professionista” a tutto tondo, insomma. Il “moderatismo” è l’unica
parola d’ordine rimasta, dopo la dissoluzione del complesso mondo di ideali che
costituivano la Democrazia Cristiana. Le prime parole che ha pronunziato nella
sua discesa in campo sono assolutamente generica, per altro scontando Mastella
una scarsissima conoscenza approfondita dei problemi della città. Porterà con
sé un ceto di professionisti della politica e giovani che ambiscono a divenire
tali.
Raffaele
Del Vecchio
è il figlio del vicesindaco della giunta Pietrantonio, Nino Del Vecchio,
socialista poi passato ai Democratici di Sinistra, poi al PD. Il padre ha
lasciato al figlio eredità di voti importante (ma è storia diffusa a Benevento,
come mostra anche la vicenda di Luigi Scarinzi). Raffaele Del Vecchio è nato
nel 1970. La sua carriera politica, col passaggio di testimone ideale da parte
del padre, inizia nel 2001. Entra in Consiglio, all’opposizione. Nel 2006 è tra
i più votati. Diventa vicesindaco e Assessore alla Cultura. Tale assessorato,
che avrebbe dovuto e potuto essere strategico per il rilancio economico della
città, è divenuto sempre più, invece, un modo per strutturare piccole rendite
di posizione elettorale, con scelte calate dall’alto e poco condivise (non
inganni il tentativo degli ultimi anni di creare uno strumento consultivo e
partecipativo). Siamo di fronte, dunque, ad un altro politico “professionista”,
con enormi ambizioni personali (già voleva sostituire Pepe alla guida del
Comune nel 2011) che dovrebbero in prospettiva proiettarlo sul proscenio
nazionale, sfuggito al padre, rimasto sempre in un orizzonte locale. L’ideologia
di Del Vecchio è uno stinto “riformismo” la cui ambizione è la gestione
tecnocratica del presente, senza orizzonti, senza grandi ideali di riferimento.
Contro la politica come “professione a vita”
abbiamo Marianna Farese, la
candidata del MoVimento 5 Stelle. La sua storia parla di impegno civile, di
professionalità che matura in ambiti diversi fino a sboccare nell’insegnamento.
Insomma, l’esatto opposto dei due modelli precedenti. Il voto di giugno, a
Benevento e in altre città italiane, sarà soprattutto questo: la politica come
professione (a vita) contro la politica come “servizio civile” (a tempo). L’obiezione
di molti è la seguente: preferisco un bravo professionista ad un dilettante
allo sbaraglio. Alla quale rispondo dicendo che andrebbe mostrato che un
politico non professionista sia un dilettante allo sbaraglio. La società
italiana è piena di straordinarie competenze che aspettano solo di essere
testate ed utilizzate. In subordine, direi che se l’Italia è un paese
inefficiente ciò lo si deve soprattutto alla pervasività della politica. La “questione
morale” denunziata da Berlinguer non è solo la corruzione di molto ceto
politico o l’uso privato di risorse pubbliche quanto la pratica per cui il
politico decide in ambiti che dovrebbero essere lasciati alla loro autonomia.
Ma ciò accade perché il politico professionista ha bisogno di creare “clientele”
in vista della sua carriera. È un circolo vizioso che solo un’idea diversa di
politica, “a termine”, può far saltare in aria.
Amo parlare, a proposito di giugno, di “rivoluzione
gentile”. La aspetto con trepidazione.
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