Nel 1998 un film di Terrence Malick torna
nelle sale. Sono anni difficili nella mia vita. Mi arrabatto fra tesi di laurea
scritte su commissione, lezioni private a domicilio, insegnamento sottopagato
in centri studi. Attendo il concorso, disperato come Drogo nel Deserto dei Tartari. Un giovane amico mi
sollecita a vederlo al Massimo (che ora non è più un cinema). Ne rimasi
abbacinato.
Non ho timore di dire che Malick, soprattutto
per i film fatti dopo (su quelli precedenti ho perplessità, pur riconoscendone
la bellezza), sia, dopo la scomparsa di Kubrick, il massimo esponente vivente
della settima arte.
I suoi film sono saggi filosofici, breviari
spirituali, quadri.
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