Parrebbero slogan prodotti dallo stesso staff.
Invece il primo è il coniglio (morto!) cacciato dal cilindro da Clemente Mastella, il secondo la chiusa
del primo intervento pubblico solitario di Raffaele
Del Vecchio. È interessante che entrambi, per motivi diversi, siano
interessati a spostare l’interesse della città sul futuro, quando parrebbe più
logico e completo articolare una proposta sulla base di ciò che è e di ciò che
è stato, sia nelle storie personali che collettive.
A Del Vecchio fa eco Marcello Palladino (che considero una speranza tradita della
politica locale, viste le buone intenzioni da cui era partito, poi smarritesi
nel «mare di simulazione» del locale Partito Democratico). Rivolgendosi a Gianfranco Ucci, che non fa mancare la
(doverosa) dose di critica all’Amministrazione in carica, scrive: «Ci spieghi la sua idea di città e i suoi progetti per il
futuro».
Non
bisogna guardare com’è oggi il Teatro Comunale ma come sarà fra qualche mese o
anno, dopo l’intervento di ristrutturazione dovuto ai finanziamenti regionali
(ottenuti perché il PD governa anche la Regione e non, si badi, nella retorica
delvecchiana, perché “dovuti”). Solo futuro, dunque, perché il presente è
gramo, è sporco... Ma chi ha colpa di questo presente? Qui c’è quanto il
candidato del PD non può dire esplicitamente ma ha sempre fatto trapelare. In
questi anni ci sono state due Giunte parallele: una del fare e una del tirare a
campare. La prima, finalmente, libera dai lacci e lacciuoli della seconda, può
dispiegare la sua capacità di governo. Per questo è necessario progettare,
pianificare, guardare oltre il degrado del Comunale o del centro storico,
ascrivibile in toto a Fausto Pepe e
ai suoi uomini indolenti.
Una nuova generazione di amministratori più giovani
potrà dedicarsi a questo compito. In carrozza, si parte... Funzionerà questo
messaggio? Agli elettori l’ardua sentenza. Raffaele Del Vecchio non ha avuto un
ruolo marginale, è stato vicensindaco e Assessore alla Cultura per dieci anni.
Avrebbe potuto fare molto di più, in un settore che, per altro, da parte di
osservatori i più vari (penso a Carlo Panella e Giancristiano Desiderio) appare
il più critico, quello in cui la desertificazione è proceduta più speditamente.
Diverso
è il caso di Mastella. È evidente che questo slancio verso il futuro serve ad
annacquare la constatazione che ci si trova di fronte ad un uomo “pensionabile”
che non si rassegna alla marginalità e, emulo del suo vecchio maestro Ciriaco
De Mita, vede nella sindacatura l’elisir di lunga vita che non lo costringa
forzosamente alla vita privata. La politica, come ripetono spesso i politici
stessi, crea dipendenza. L’assessorato al futuro evocato da Mastella appare,
dunque, una sorta di parola magica per esorcizzare l’inesorabilità del tempo. A
Mastella, a mio avviso, andrebbe ricordato, come lui fece con De Mita, che
arriva per tutti il momento del meritato riposo, che tutti sono importanti ma
nessuno indispensabile. Che si goda, dunque, quanto laboriosamente prodotto in
quaranta anni di onesta professione politica. Potrebbe dedicarsi alla stesura
di Memoires che possano aiutare a
capire meglio la storia della Prima repubblica e il passaggio alla seconda. Non
mi pare ci sia spazio per lui in questa stagione di trapasso dalla seconda alla
terza, che vede la contrapposizione non più tra opzioni ideologiche ma tra modi
diversi di concepire la politica stessa.
Abbiamo
bisogno di futuro. Ignorare la storia recente della città e i problemi del
presente inevitabilmente, però, rischia di riprodurli, con un mero cambiamento
di attori sulla scena. Il futuro rimarrebbe una «palla di cannone accesa» che
noi stiamo quasi raggiungendo.
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