venerdì 25 marzo 2016

Diario politico 06 (Giorni di un futuro passato)





Parrebbero slogan prodotti dallo stesso staff. Invece il primo è il coniglio (morto!) cacciato dal cilindro da Clemente Mastella, il secondo la chiusa del primo intervento pubblico solitario di Raffaele Del Vecchio. È interessante che entrambi, per motivi diversi, siano interessati a spostare l’interesse della città sul futuro, quando parrebbe più logico e completo articolare una proposta sulla base di ciò che è e di ciò che è stato, sia nelle storie personali che collettive. 




A Del Vecchio fa eco Marcello Palladino (che considero una speranza tradita della politica locale, viste le buone intenzioni da cui era partito, poi smarritesi nel «mare di simulazione» del locale Partito Democratico). Rivolgendosi a Gianfranco Ucci, che non fa mancare la (doverosa) dose di critica all’Amministrazione in carica, scrive: «Ci spieghi la sua idea di città e i suoi progetti per il futuro».

Non bisogna guardare com’è oggi il Teatro Comunale ma come sarà fra qualche mese o anno, dopo l’intervento di ristrutturazione dovuto ai finanziamenti regionali (ottenuti perché il PD governa anche la Regione e non, si badi, nella retorica delvecchiana, perché “dovuti”). Solo futuro, dunque, perché il presente è gramo, è sporco... Ma chi ha colpa di questo presente? Qui c’è quanto il candidato del PD non può dire esplicitamente ma ha sempre fatto trapelare. In questi anni ci sono state due Giunte parallele: una del fare e una del tirare a campare. La prima, finalmente, libera dai lacci e lacciuoli della seconda, può dispiegare la sua capacità di governo. Per questo è necessario progettare, pianificare, guardare oltre il degrado del Comunale o del centro storico, ascrivibile in toto a Fausto Pepe e ai suoi uomini indolenti. 


Una nuova generazione di amministratori più giovani potrà dedicarsi a questo compito. In carrozza, si parte... Funzionerà questo messaggio? Agli elettori l’ardua sentenza. Raffaele Del Vecchio non ha avuto un ruolo marginale, è stato vicensindaco e Assessore alla Cultura per dieci anni. Avrebbe potuto fare molto di più, in un settore che, per altro, da parte di osservatori i più vari (penso a Carlo Panella e Giancristiano Desiderio) appare il più critico, quello in cui la desertificazione è proceduta più speditamente. 
Diverso è il caso di Mastella. È evidente che questo slancio verso il futuro serve ad annacquare la constatazione che ci si trova di fronte ad un uomo “pensionabile” che non si rassegna alla marginalità e, emulo del suo vecchio maestro Ciriaco De Mita, vede nella sindacatura l’elisir di lunga vita che non lo costringa forzosamente alla vita privata. La politica, come ripetono spesso i politici stessi, crea dipendenza. L’assessorato al futuro evocato da Mastella appare, dunque, una sorta di parola magica per esorcizzare l’inesorabilità del tempo. A Mastella, a mio avviso, andrebbe ricordato, come lui fece con De Mita, che arriva per tutti il momento del meritato riposo, che tutti sono importanti ma nessuno indispensabile. Che si goda, dunque, quanto laboriosamente prodotto in quaranta anni di onesta professione politica. Potrebbe dedicarsi alla stesura di Memoires che possano aiutare a capire meglio la storia della Prima repubblica e il passaggio alla seconda. Non mi pare ci sia spazio per lui in questa stagione di trapasso dalla seconda alla terza, che vede la contrapposizione non più tra opzioni ideologiche ma tra modi diversi di concepire la politica stessa.


Abbiamo bisogno di futuro. Ignorare la storia recente della città e i problemi del presente inevitabilmente, però, rischia di riprodurli, con un mero cambiamento di attori sulla scena. Il futuro rimarrebbe una «palla di cannone accesa» che noi stiamo quasi raggiungendo.


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