Oggi Rosa, Vittorio e Simone mi hanno fatto seguire una loro conversazione su Facebook, ispirata da Simone. Sono stati tutti e tre miei alunni, molto diversi tra loro. Leggere ex alunni che discutono animatamente di una sorta di manifesto letterario gratifica, sicuramente. È la riprova che qualcosa, bene o male, è accaduto negli anni del Liceo (che pure Rosa passava per buona parte nei corridoi a cercare se stessa nella sua più acuta fase “sturmeriana”). Simone propone di scrivere un manifesto sul Nulla, come a esplicitare l’impossibilità di dire oramai qualcosa di sensato, quando tutto è stato detto. Rosa ha rilanciato: scriviamo del silenzio. La discussione si è animata, anche grazie a Matteo e Vittorio, spostandosi anche sull’importanza o meno della forma nelle opere creative.
[dal Diario del 29 novembre 1986: «Intorno a me i drammi si susseguono e ogni volta la vita ricomincia, con più rabbia, con più voglia di annientare la Morte in ogni gesto quotidiano. Ma a che serve se si tornerà a piangere più di prima un giorno? Ancora una volta la mia unica e potente arma è l’Indifferenza, che è sempre al mio fianco, pronta in ogni istante ad annientare il Dolore vero e la Gioia, il Piacere e la Sofferenza, e a ridurre ogni moto dell’anima, ogni gesto del corpo a Noia. Perché non mi abbandoni per un attimo solo, fedele Durlindana, perché non mi lascia vivere una vita che sia Vita? Nelle altre ore di questo giorno io riderò e mi annoierò. Qualche volta tenterò di dire una bella frase, senza riuscirci. Così per sempre»].
Sono semplici conati di giovani appartenenti a ceti benestanti che possono consentirsi il lusso, quando Atene brucia e in Italia inizia a serpeggiare la paura, di discettare del nulla e del silenzio? E poi io che alla loro età scalavo le cime della disperazione, carezzavo con voluttà estetizzante pensieri suicidi (un altro volta racconterò a me stesso dove trovai la mia salute), che titolo avrei per sminuire il senso di quanto vanno scrivendo con passione? Eppure sento il dovere di parlare loro, dissentendo. Quello che vogliono fare non è altro che riproporre la deriva catastrofica di una parte del Novecento artistico, tutto ammalato di un nichilismo di volta in volta “passivo” e “decadente” o “attivo” e “distruttivo”. In entrambe le declinazioni, la tentazione del nulla va respinta con vigore: esso conduce o a rifugiarsi in un’interiorità malata, abitata da fantasmi, oppure a colonizzare il mondo con violenza tecnica o politica nel desiderio perennemente frustrato di riempire la voragine di senso apertasi sotto i nostri piedi. Non vi rassegnate, ragazzi, all’insensatezza. La via del silenzio proposta da Rosa può essere premessa per mettersi in ascolto, per riattivare le sorgenti della vita. Ma non ha senso scrivere del silenzio. Praticatelo. Attraverso il silenzio è possibile rimettersi in contatto con il sé profondo, quello che la chiacchiera dominante nel nostro tempo impedisce di ascoltare. È una strada. Nel silenzio è possibile lasciar accadere… l’essere! Scoprire questo miracolo che inficia da subito il progetto di Simone: l’essere è! Questa può essere una via “negativa”. Poi c’è una via positiva. Che consiste, semmai, nel cercare di declinare in maniera innovativa, ancora tutta non solo da pensare ma da sperimentare, l’essere. Perché altrimenti non sarebbe potuto accadere che dell’essere non fosse, alla fine, che il nulla…
Cercate parole aurorali! Cercate quei filoni auriferi del pensiero e dell’arte, soprattutto novecentesca, che, proprio nelle tenebre più fitte del delirio totalitario, del dominio dell’uomo sulla totalità dell’ente, hanno cercato salvezza. Bisogna avere, però, la forza della semplicità, che accompagna la nascita del nuovo. Il nuovo è povero: non si ammanta di raffinate parole. Lì batte la vita. Non abbiate paura di scoprire che l’annosa questione forma/contenuto quando il nuovo è veramente, essenzialmente tale, non si pone… Il nascente, direbbe Marco Guzzi, ha sempre forme e parole sconcertanti, ma non perché manipola i linguaggi o li violenta, ma perché, al contrario, li lascia accadere, li lascia “parlare”.
Cari Rosa, Vittorio, Simone, Matteo, piuttosto che scrivere manifesti che vi confermerebbero abitanti d’una “terra desolata”, mettetevi alla ricerca del vostro Graal! Siamo nel cuore di un rivolgimento “apocalittico” del mondo, di cui la crisi economica, quella ecologica e quella psichica sono solo sintomi. C’è bisogno, direbbe Heidegger, di “poeti dell’abisso” che prima degli altri arrivino al fondo, sì, ma per capovolgerlo quest’abisso.
Durante la lotta così nera e l’immobilità così nera, accecando il terrore il mio reame, m’alzai dai leoni alati della messe sino al freddo grido dell’anemone. Venni al mondo nella deformità delle catene di ogni essere. Ci facevamo liberi entrambi. Trassi da una morale conciliabile gli irreprensibili soccorsi. Nonostante la sete di sparire, fui prodigo nell’attesa, intrepida la fede. Senza rinunziare (René Char, Non s’ode).
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