lunedì 13 febbraio 2012

calcio


Le note che avevo pensato nel corso della giornata, non scritte per un’influenza che, unitasi alla disfatta dell’Inter, mi ha catapultato anzitempo a letto.

Quando c’è la stagione calcistica anche i giorni precedenti e seguenti sono pieni delle emozioni legate alle partite. Dovrei vergognarmene? Possibile che, con la Grecia in fiamme, sull’orlo di una guerra civile, possa lambiccarmi il cervello su moduli, tecnici, calciatori? Non è forse il calcio, lo sport in genere, un’arma di distrazione di massa, moderno oppio dei popoli? Sì, lo è. Ma è anche altro. Non avverto sensi di colpa. Credo di dedicare tempo ed energie preziose non dico a trasformare la realtà (se non nella misura in cui faccio bene il mio lavoro di docente) ma almeno di comprenderla. Il calcio, soprattutto da quando è nata Caterina e da quando ho la possibilità di vedere le partite su Sky, è diventato, per certi versi, l’unico mio divertissement. Amerigo potrebbe inchiodarmi, pascalianamente, questa contraddizione. All’ambire cioè ad un profilo “tragico” e poi dissolvere la quotidianità in “distrattori” che prosaicizzano l’esistenza, facendoci dimenticare le domande ultime. Ma ho imparato da Morin che non può esistere una vita solo “poetica”, che, anzi, la prosa è necessaria ad ogni esistenza compiuta. Tra l’altro, a voler essere rigoroso, il calcio stesso, liberato delle sua prosa, non è capace di sprigionare una “poesia” assoluta? Non dico solo la magia, ad esempio, del goal di Maradona a Orsi, ma anche la rimonta dello United contro il Bayern negli ultimi minuti o Baggio che sbaglia un rigore decisivo o, per rigirare il coltello nella piaga, l’ultima in classifica che sbanca il campo di uno squadrone costoso e pluridecorato. Ecco: agli occhi dei non appassionati il calcio (e qualunque altro sport) è spreco, distrazione. Ai nostri occhi è sofferenza, poesia, entusiasmo, dileggio giocoso dell’avversario.
Non sono un distaccato cultore del calcio ma un tifoso appassionato (mai come in questo momento in senso etimologico…), seppure capace, col senno di poi, di andare oltre il mio orticello nerazzurro, riconoscendo in Platinì (uno juventino!) il miglior giocatore di tutti i tempi, nel Milan sacchiano la squadra più forte che abbia mai visto giocare (insieme al Barcellona di Guardiola e al Brasile del 1982). Ma certo la molla primaria della mia passione rimane, oserei dire, una maglietta, quella che mi fu regalata, per caso, da mio padre, quando avevo setto o otto anni. E con intensità diversa ho sempre seguito l’Inter, nelle sue (frequenti) disgrazie e nei suoi (rari e sfolgoranti) trionfi. In questi anni belli, che hanno coinciso con l’arrivo di Caterina nella mia vita e con i suoi anni decisivi…,
[Non ho fatto mai studi approfonditi di psicologia, ma, in maniera esperienziale, mi sono convinto che la nostra vita venga decisa nei prima tre o quattro anni di vita. Voglio dire che la “tonalità” emotiva con cui diventeremo ciò che già siamo viene strutturata allora, nella relazione, più o meno compiuta e armonica, con le figure parentali. Per questo, nell’incomprensione spesso degli amici, ho investito tanto tempo e tante energie nella mia relazione con Caterina. Volevo, ma solo la vita mi dirà se ci sono riuscito, darle una tonalità emotiva improntata alla gioia, che può derivare solo dalla certezza di essere amato, attraverso una presenza assidua. Nessuno ci insegna ad essere genitori: sbagliamo sulla nostra pelle e su quella dei nostri figli].
... l’Inter è stata fonte di gioie inenarrabili, come sempre intramate da sofferenze inaudite: ricordo che nella partita di ritorno col Barcellona dovetti scendermene in cortile perché non reggevo la tensione, e attesi il suono dei clacson come liberazione sperata. Ora, in una vita che si va normalizzando, l’Inter torna ad essere strumento di educazione morale, come lo è stata per molto tempo. Ne parlai tanti anni fa con Giancristiano, che ha dedicato libri deliziosi all’argomento. L’interismo è una forma aggiornata di stoicismo. E, dunque, “astieniti e sopporta”.
Per fortuna, in quest’ultimo anno (anche qui lo stoicismo c’entra qualcosa), ho recuperato tono atletico. Gioco a calcetto da sempre, anche qui con alterni risultati. Il mio amico Tullio - giornalista del "Corriere dello Sport", ricorda tragiche partite all’università, quando fumavo. Negli ultimi mesi ho raggiunto una forma atletica mai prima sperimentata, non malgrado ma, forse, proprio grazie agli acciacchi degli anni, il dolore al femore, le gambe stanche… Ho capito che non tornerò mai giovane, e che per questo devo faticare il doppio… Quando gioco sperimento una felicità pura, senza pari (se non in certe estasi musicali).
Non mi dispiacerebbe che i giocatori della grande Inter che fu, in questa fase crepuscolare, praticassero un po’ di filosofia, diciamo, tra Seneca ed Epitteto.

1 commento:

luca rando ha detto...

Caro Nico,
ho sempre invidiato la tua vitalità calcistica, anche quando giocavamo insieme nei pomeriggi assolati alla Pietà, o sotto casa tua a via dei Mulini, tra lampioni e le poche macchine che passavano.
Il mio periodo migliore è stato durante i quindici anni, quando le forze dell'età mi sostenevano e giocavamo in ogni luogo possibile in città (piazza Roma o piazza Risorgimento, sotto casa a via Rummo coi miei fratelli), o al mare in spiaggia e nei campi di calcetto, giocando con passione ed agonismo.

Ah, mia età, mia belva...

Nel tempo è venuta meno prima la foza delle gambe e poi, soprattutto, quella della testa. Ancora ho giocato a lungo con alunni e colleghi (un classico le partite professori contro alunni)- e fino a tre anni fa giocare con gli alunni, quanto più veloci e abili di me, era un piacere. Poi questa gioia è venuta meno: non mi diverto più.
Rimane, per fortuna, la gioia di giocare a pallone coi miei figli (specie con Michele, al quale ho decantato le tue lodi), ma appunto solo come gioco, nient'altro. D'altra parte il calcio non è mai stato tra gli interessi primari.
Ho tifato per il Napoli e prima (assurdo, se ci penso) per il Vicenza, anzi il Lanerossi Vicenza, soprattutto per Cinesinho di cui possedevo una figurina (ma forse mi piaceva il nome). Sono cresciuto in una famiglia con un fratello tifoso della Lazio, una sorella del Milan, una madre interista.
D'altra parte più che amori ho sempre avuto odi: la Juve degli Agnelli, il Milan di Berlusconi... solo l'Inter e le provinciali suscitavano e suscitano simpatie.

Ho vissuto a Napoli gli anni degli scudetti, Maradona, Bianchi, Careca, ma senza esaltazione. Anche quello è passato. Come è venuta meno la passione per la Nazionale. L'unico mondiale vissuto pienamente fu quello del 1982, con la finale vista con gli amici del mare, gridando e festeggiando. Non ho visto le partite dei mondiali del 1996 né quelle dei mondiali del 2006: disinteresse totale. Altre aspettative, altri sogni. Non il calcio.