Una giornata tipo di quest’inverno.
Sveglia alle 5,45. Cinque, dieci minuti di cyclette e di preghiera al Dio sconosciuto (Padre Nostro, ringraziamento per i doni ricevuti, preghiera per gli amici malati o in difficoltà). Trenta, quaranta minuti di corsa (verso il Rione Libertà o il Viale Atlantici). Cappuccino da Paolo. Fornaio. Doccia.
Lettura dei giornali scaricati on line da un bellissimo sito che mi fu segnalato da Donato (che non smetterò mai di ringraziare).
Preparazione di Caterina (colazione, vestizione), quando non c’è Rosaria.
Caterina a scuola.
A scuola.
[Questo è un anno particolarmente tranquillo da punto di vista scolastico. Ho perso negli anni quella foga innovatrice che talvolta mi portava a caricarmi di lavoro e a fare errori con ragazzi ancora acerbi per la complessità di certe proposte. Era come se volessi comunicare loro in tempo reale le mie scoperte, frutto di anni di letture e riflessioni. Il tempo mi ha portato discernimento: tra classe e classe, ad esempio. Se confrontassi i programmi dei primi anni collesi con quelli molto più tradizionali degli ultimi anni potrei pensare che, semplicemente, ho tirato i remi in barca. Nulla vieta che sia così. Forse c’è anche l’attesa di una stabilizzazione definitiva in una scuola – adoro il posto fisso! -. Fatto sta che ora non ho più la sensazione di dover correre, non sono preso da nessuna ansia. Anche perché ho imparato che molte delle cose decisive della relazione educativa accadono ai “margini” della lezione ufficiale, o meglio nei suoi interstizi].
Riprendo Caterina e torno a casa. Non mangiamo insieme: Caterina lo fa a scuola, io e Rosaria come e quando capita (soprattutto quando faccio la dieta e cucino da me). Nel primo pomeriggio vedo la tv con Caterina, erudendomi su tutte le serie dei canali dedicati ai bambini di Sky (la mia preferita è Buona fortuna, Charlie, che mi fa ridere di gusto). Mi sforzo di far vedere cose nuove a Caterina attraverso il multimedia (ma resta legatissima a Candy Candy, mai replicato, credo in tv, per motivi legali). Penso sia importante, in questi anni, esserle accanto, spiegarle alcuni passaggi. E poi, in fondo, tranne rari momenti e con le dovute eccezioni, piacciano anche a me le cose che vede.
Alle quattro viene la baby-sitter, cui Caterina è legatissima, con cui gioca due o tre ore, mentre io posso dedicarmi al lavoro scolastico, preparando le lezioni o correggendo le prove scritte. Oppure leggo, anche se, a differenza di quelle estive, quelle invernali sono letture molto disordinate, legate a situazioni particolari (sono riletture più che letture). Gradite deroghe a questo format sono le partite di calcetto o calcio a sette che alunni e amici organizzano, momenti di benessere assoluto, senza tempo (su cui dovrò tornare, per fissarli, oltre che nella memoria nella scrittura per il tempo in cui sarà solo un bel ricordo di un vecchio). Quest’inverno si sono moltiplicate, Deo gratias, le mie partecipazioni a convegni e incontri, disertati nei primi anni di vita di Caterina.
La sera stiamo tutti insieme, vediamo la tv con Caterina. Quando ci sono le partite, Caterina viene dirottata sul pc portatile, cui collego il multimedia.
Addormento Caterina verso le dieci (raro riuscirci prima). Pur avendo tentato di farla addormentare da sola, l’abitudine a farlo tra le mie braccia ascoltando musica è talmente radicata che ci vorrà tempo perché smetta… A me non dispiace, a dirla tutta. Anch’esso è un momento assoluto: contemplo il suo profilo, ripenso spesso a quanto sia stato difficile metterla al mondo, quanto complessi e dolorosi per noi siano stati i primi mesi della sua vita. Quasi sempre riesco a chiudere i miei giorni con il ringraziamento non solo per questo dono, che garantisce la mia sopravvivenza, come vuole il Simposio platonico, ma anche per tutte le cose belle, le più semplici di solito, che ho avuto nel corso di una giornata della mia vita: lo zucchero e il caffè, il pane e le noci, le parole lette e quelle scritte, la corsa e il riposo…
Custodisci il suo sonno, Signore. E i nostri sogni.
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