Nel mezzo della bianca distesa scrivo, tracciando sentieri destinati ad essere cancellati, batto, cerco sempre nella stessa direzione. Aspiro ad un compimento che la vita, orgogliosamente, si rifiuta di riconoscermi… Nell'attesa di un compimento era il titolo che volli dare alla seconda raccolta di versi che scrissi (inedita, come tutto il resto). Coglievo in quel titolo un tratto strutturale della mia personalità: l’attesa, la proiezione ossessiva verso il futuro, e il bisogno che i frammenti si ricomponessero in unità. Rispetto a questa “struttura”, nel corso degli anni, sono cambiato o, in fondo, sono sempre le stesso? In momenti come questi risponderei che nulla è cambiato. Mentre prima aspettavo l’annunzio della rivoluzione nella cassetta postale, ora lo aspetto nella rete, quando compulso nervosamente Facebook o blog o giornali on line… E, come già scritto, continuo ad essere un insieme senza armonia. Ma, allora, perché non mettersi in attesa silenziosa di una “chiamata” o delle tante chiamate che potrebbero accadere nel corso dei giorni? Perché non trasformare, come implicitamente mi invita a fare Giovanni, il silenzio, trasfigurandolo? Perché non redimere quest’attesa nevrotica in attesa messianica?
[Quando debbo spiegare Kierkegaard ai ragazzi avverto un profondo disagio. Non solo perché è autore sfuggente, privo di centro, ma anche perché in lui vedo me stesso: nell’incapacità di scegliere realmente tra lo stadio estetico, quello etico e quello religioso. Anch’io, nel corso di una sola giornata, trapasso da un piano all’altro, senza mai mettere radici, come mi disse don Cosimo. Sono don Giovanni, marito, raramente Abramo pronto al supremo sacrificio. Ma mai in maniera definitiva, dilettante della vita che non riesce mai a de-cidere una volta per sempre, fosse anche l’inferno guardato con sprezzo da don Giovanni di Baudelaire].
Il mio ethos è la vita familiare. L’ho scelta molto tempo fa. Pur sognando a diciassette anni di fuggire di casa, detestando la vita borghese della mia famiglia, tutto ciò che ho fatto è andato nella direzione di costruire un nuovo nucleo familiare: con tutti gli sbandamenti, gli errori, i passi indietro. La mia monogamia (psichicamente coatta, mi dico talvolta) si è sempre intrecciata all’apprezzamento per alcuni aspetti della vita borghese (per questo, forse, amo tanto Bonhoeffer, via d’uscita dalla contraddizione tra dimensione etica e religiosa?). E questo ethos mi tiene vincolato alla prosa del quotidiano, impedisce voli (che in me, quando ci sono stati, hanno assunto forma luciferina più che angelica). Devo ringraziare, forse, la mia carne pesante, mia moglie e la sua terrestrità che talvolta mi appare così pesante, devo ringraziare mia figlia, per aver tenuto a bada la tentazione più grande. Quella di andare altrove, in un mondo perfetto, in un iperuranio di bellezza e gloria. Io sono questo corpo stanco, grasso, spesso malato. Sono i conti che faccio per arrivare alla fine del mese onorando scadenze e pagamenti. Non che non fugga. Questa, in fondo, è una fuga. Scrivere. Ma per tornare con una scintilla di senso in più da spendere in quella dimensione caliginosa che è la vita quotidiana, con altre persone, altri uomini, altri volti, che raramente hanno sembianze gradevoli, ma spesso si presentano tediosi, irritanti, petulanti… Eppure è lì che si gioca la mia salvezza.
Caro Giovanni, ho meditato a lungo le tue parole, cui ho anche risposto. Ciò che scrivi per me è la tentazione più diabolica, l’uscita d’emergenza dalle contraddizioni del quotidiano. Voglio poter dire, l’ultimo giorno: “Ho combattuto la buona battaglia”. Non ho abbandonato il campo che mi fu dato. Preferisco oscillare tra piani dell’esistenza piuttosto che scegliere quel “silenzio” (assoluto) che per me sarebbe la via più facile, il luogo che sin dall’adolescenza mi si presentava come l’unico degno di essere abitato… No. Resterò qui, dove il volto di mia moglie quasi sempre è arcigno ed esigente, raramente sciogliendosi in un abbraccio tenero (che varrà tanto però), in cui ogni giorno devo reinventarmi come padre (senza garanzie di successo) e così via dicendo. Insomma, rimanendo fedele al mio ethos, che sin dall’inizio della mia vita interiore consapevole era il contraltare della “fuga” verso l’alto. L’Altro per me può essere solo l’altro. Lucifero era «tra gli angeli tutti il più bello e dotato».
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