Sei anni fa insegnavo al Liceo di Telese. Fu un anno bellissimo. Evidentemente, “gravido” anch’io, promanavo gioia, comunicavo oltre le parole che pronunziavo. Il 16 febbraio mi trattenni a mangiare con i ragazzi. Poi andammo a giocare a calcetto. Rosaria era a Roma, ma mancavano ancora molti giorni al parto, dopo mesi complessi, in cui la vita della bambina nel suo grembo – generata dopo dodici anni di matrimonio - era stata più volte a rischio. Tornai a casa stanco ma tranquillo. Poi improvvisamente il telefonò squillò, e Rosaria mi disse che si era deciso di anticipare il parto a quella sera… Pioveva a dirotto. Mi precipitai a Roma con mia cognata, su una Punto abbastanza malandata. Ci sono emozioni che non si possono raccontare e non lo farò. Ma quella notte, che avrebbe dovuto essere la più felice della mia vita, fu funestata dalla notizia che mia figlia avrebbe dovuto subire un delicato intervento la mattina successiva. Vissi in solitudine, condividendola solo con le mie sorelle, questa notizia inattesa e per me spaventosa… Si aprì una stagione che ricordo come vissuta in un dormiveglia, tra Roma, Firenze, Benevento. Mesi di angosce che parevano non dover finir mai. Anche su questo un pudico silenzio. Avemmo tante persone amiche vicino. E le ringrazio ancora di questo.
Dopo diversi mesi, la vita iniziò ad assumere parvenza di normalità. Il miracolo più grande è che Caterina (questo il nome di mia figlia, “dovuto”, in memoria della nonna scomparsa tanti anni prima, mia madre) non abbia risentito di questa stagione in cui patì la solitudine e il freddo (pensarlo mi dà ancora angoscia). Anche per questo le ho dedicato tanto tempo, tanto calore, tanti abbracci… Ho trascorso con lei notti intere tenendola in braccio, cantandole nenie, fino allo sfinimento. Questo è stato il suo primo insegnamento: forzare i limite della resistenza, fare cosa inaudite per me fino ad allora. Io sono sempre stato un figlio, e per di più ultimogenito. Ho sempre avuto attenzione e cura da parte di tutti: mia madre, la nostra adorata tata, Maria, le mie sorelle… Diventare padre: secondo insegnamento. Assumermi la responsabilità (quando firmai la liberatoria per i dottori che dovevano operarla la mano tremava…). Mi illudevo di poter conciliare la mia vita precedente con quella rivoluzione. Terzo insegnamento: saper cambiare vita. Non che non ne abbia sofferto. Ho dovuto rinunziare a tante cose (quanto mi sono mancate le partite di calcetto, andare a cinema…). Ma ora Caterina ha sei anni, sta bene, è una bambina serena, ha certezza di essere amata (è tutto, ho scoperto da bambino amato, nella vita). Ne è valsa la pena.
Si apre una nuova stagione? Mi auguro che ora, poste le fondamenta, il mio ruolo diventi più complesso. Ho sempre l’impressione di essere un uomo fortunato per il lavoro che svolgo. Imparo ad essere padre dalla mia pratica di insegnante e, viceversa, insegnante da quella di padre. I miei alunni sanno che il mio auspicio è educarli all’autonomia e alla libertà, ma sanno anche che certi limiti devono essere rispettati. Non so se è solo una mia illusione, sicuramente un’aspirazione: saper dosare persuasione e coercizione. I figli e gli alunni hanno bisogno di regole e di limiti. Ogni pedagogia “anarchica” è destinata ad infrangersi contro alcune strutture psichiche del bambino e dell’adolescente. Anzi: proprio i ragazzi più “ribelli” sono quelli che hanno bisogno di limiti. Non so se anche questa sia un’illusione: riuscire a responsabilizzare con una "durezza mite", facendo seguire al rimprovero il sorriso amorevole. Vale per mia figlia, vale per i miei alunni. Ho sbagliato tanto in questi anni, ma credo di non aver mai umiliato o ferito un mio alunno. Ho cercato sempre di “spiegare” il senso delle mie azioni. Così con Caterina: quando la rimprovero, passata la sua reazione scomposta e piangente, le spiego perché l’ho fatto.
Non ho mai cercato di “plasmare” le teste dei miei alunni: Vittorio, Rosa, Luigi, Antonio e tanti altri testimoniano che non ho mai ambito a clonarmi. Ho sempre prediletto quegli allievi che vivevano in maniera problematica il mio insegnamento e sapevano anche (non solo) contestarmi. Vorrei fare lo stesso nella stagione che si apre con Caterina: non proiettare su di lei le mie attese (quali poi? Ho avuto molto di più di quel che potessi desiderare dalla vita, perfino una Champions…). Che divenga ciò che vorrà essere. Che possa io essere per lei il bastone cui avvinghiarsi per crescere diritta, ma autonoma. So che ci saranno anni difficili. So che nella sua adolescenza dovrà scontrarsi con me e con la madre per trovare se stessa. Le spetta di diritto. L'ho fatto anch'io con una madre che ora, nel ricordo, adoro. Spero che, quando accadrà, avrò imparato nel mio confronto quotidiano con adolescenti problematici, a saper accettare le sue intemperanza ma anche ad essere silenzioso supporto (anche nello stabilire nuovi limiti) al suo divenire donna.
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