È stata una giornata intensa.
Sono andato a correre, come (quasi) sempre, oramai, dall’estate, verso le 6. È bello farlo in una città che ancora dorme, con un paesaggio cittadino reso surreale dai residui della neve dei giorni scorsi. Correre la mattina presto dà un tono a tutta la giornata.
È stato difficile rientrare a scuola dopo questo stop inatteso. Sul volto dei ragazzi la delusione che questa sosta non si fosse prolungata ancora. Per noi il duro lavoro di riannodare la loro attenzione e rimetterli in tensione rispetto agli obiettivi.
Nel pomeriggio il primo appuntamento della “Libera scuola di filosofia del Sannio”. Cosa vorrei che fosse per me? Un luogo in cui il pensiero viene sollecitato dalla pluralità delle persone che decidono di animarlo. Non, dunque, un luogo di trasmissione (con me o altri nelle improbabili vesti di “magister”) né un luogo di apprendimento. In qualche modo questa idea, così come la sto formulando, è nata già essa in un contesto dialogico con Amerigo Ciervo e Giancristiano Desiderio, perché io avevo pensato ad una “Società filosofica”, meno ambiziosa e anche meno problematica. La scelta di una “libera scuola” ci impegna tutti a non scivolare, anche inconsapevolmente, nella mera “trasmissione” o nella chiacchiera. Si tratta di individuare, con fatica, e di sperimentare in maniera innovativa, una modalità diversa di pratica filosofica, lontanissima da quella che normalmente ha luogo nelle scuole e di cui noi stessi siamo troppo spesso (e quasi sempre incolpevolmente) gli artefici.
Le cose che ha detto Giancristiano mi hanno sollecitato, “pro-vocato”. Un’obiezione che gli avrei voluto muovere è che tende sempre a parlare di “filosofia” quando ho imparato a cogliere la pluralità che soggiace alla “storia della filosofia”. Anzi, a me pare che proprio questo lemma nasconda un fortissimo retaggio ideologico di tipo hegeliano che dobbiamo iniziare a decostruire già nella scelta, ad esempio, sistematica del plurale: le filosofie. Rischio di darmi scacco da solo. Non è vero che, invece, la “filosofia”, come mi ha insegnato Heidegger, esiste come tradizione che va da Platone a Nietzsche? E allora come definire ciò che precede Platone (ivi compreso quel Socrate che è totalmente assente dalla riflessione di Heidegger e che per me è un punto di riferimento fondamentale, ma – domanda nella domanda – quale Socrate, quale interpretazione di Socrate?)? È lecito contrapporre “la filosofia”, allora, al “pensiero”? E questo “pensiero” pre e post-filosofico che cos’è? Certo non erano domande che potevo porre stasera a Giancristiano, di cui ho condiviso molto. Il suo pluralismo, che scaturisce dalla lezione del grande filone liberale contaminato proficuamente con un certo storicismo, può essere affine, su molte questioni, a ciò che professo senza sapergli dare un nome preciso. Per rimanere alle sue categorie, diciamo che prediligo quel pensiero che ha conservato una profonda venatura “tragica”, mentre lui vede nel pluralismo una forma “civilizzata” (o “urbanizzata” ) del tragico. Ma sicuramente ci incontriamo nel rifiuto senza se e senza ma di un pensiero “totalitario” che si mette al servizio (è la storia del Novecento) della violenza, giustificata in nome di un presunto possesso della “Verità”, concretizzando un progetto di dominio sull’ente attraverso la tecnica. Poi, però, penso che le nostre strade divergano inevitabilmente. Io, viandante post-metafisico, ho intrapreso sentieri che portano alla decrescita conviviale ad esempio (dunque, ad una subordinazione della tecnica e dell’economia alle istanze del legame sociale), alla poesia come evento della verità (e compito ermeneutico del pensiero), alla spiritualità post-religiosa (in cui l’ateismo diventa parte integrante, purificante e necessaria della “fede”), alla morale dell’essere-per-l’altro che nasce nello spazio che c’è tra il mio Io (non più fondamento cartesiano) e un Tu accettato e riconosciuto nella sua radicale alterità e differenza infinita.
Oggi inizia per me una nuova avventura . “La rosa necessaria”, “Soglie”, “Ditaubi” sono state esperienze che mi hanno segnato, mi hanno costretto a rimettermi in discussione, foriere, comunque, di mutamenti. Gradini della mia esistenza interiore ma anche del mio essere parte di una comunità come quella beneventana. La Scuola di filosofia non ha alcuna ambizione di visibilità. O sarà un luogo in cui il pensiero accada oppure, semplicemente, non sarà. Questo è l’augurio che sento di fare a tutti noi che la abiteremo.
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