lunedì 25 gennaio 2016

lettera a Massimo Recalcati (2014)





Gent. Mo Professore,
mi chiamo Nicola Sguera, insegno filosofia e storia nel Liceo Giannone di Benevento, pur essendomi laureato a Roma in Lettere con una tesi sull’opera poetica di Franco Fortini. Ho 47 anni.
Stanotte, ho finito di leggere L’ora di lezione. Con rammarico. Perché non potevo continuare. Stamattina, mettendo da parte La nascita della tragedia, ho letto ai miei ragazzi di ultimo anno l’ultimo capitolo del libro. Non so se servirà a loro. Serviva a me per spiegare la tensione che spero animi il mio fare educativo tra Logos ed Eros, utilizzando il suo lessico.
Sarebbe bello poterla avere qui da noi, ma non abbiamo risorse sufficienti per organizzare un evento così importante, almeno ora. Per questo le scrivo.
Volevo discutere con lei due passaggi del libro.
Il primo è quello che riguarda il prof. Keating dell’Attimo fuggente. Per la mia generazione quel film è stato un faro. Io ho sempre, in qualche modo, voluto essere come quel docente. Lei ne stigmatizza un gesto. Nella n. 7 del cap. III scrive:

«È il punto dove la testimonianza del celebre e appassionato professor Keating di L’attimo fuggente (1989), notissimo film che suscitò sentimenti assai contrastanti tra allievi e insegnanti (solitamente amatissimo dai primi e criticatissimo dai secondi), mostra il suo lato più equivoco: quando chiede ai suoi allievi di strappare le pagine dei manuali di letteratura, autorizzando in questo modo il rigetto del senso del debito, riducendolo, letteralmente, a cartastraccia».

A mio avviso, lì il professore compie un gesto liberatorio non nei confronti della tradizione ma del tradimento che spesso i manuali compiono rispetto alla ricchezza del testo. Invitando gli alunni a mandare al diavolo il prof. Pritchard, invita a riconquistare la parola poetica nella sua vibrante vitalità. Io l’ho capito meglio leggendo George Steiner, in particolare Vere presenze. Non è la tradizione a divenire cartastraccia ma la chiacchiera, la “letteratura secondaria” che troppo spesso impedisce l’incontro trasformativo con l’opera d’arte.
La seconda questione è più delicata. Nel suo libro viene contrapposta continuamente una scuola fondata sull’Eros, che mira ad accendere fuochi, ad una che mira ad inculcare come in vasi competenze. Io mi trovo nella delicata posizione di riconoscermi pienamente nelle pagine del suo libro e di essere il responsabile di uno strumento chiave delle scuole odierne, il Piano dell’Offerta Formativa, che andava adeguato alle indicazioni sulle competenze provenienti dall’Europa e dal Miur. Ho avuto modo di scrivere una lettera lo scorso anno ai colleghi. Ora, a mio avviso, questo processo non è necessariamente antitetico a quanto auspica lei. La didattica “per competenze” se declinata nel senso mercatista è un orrore mirante a creare lavoratori acritici e buoni consumatori. Se declinata criticamente può innovare le modalità di fare lezione che si sono cristallizzate negli anni, senza cogliere il mutamento profondo di schemi mentali e stili di apprendimento dei nostri giovani. Per quanto mi riguarda, quel che sto cercando di portare nella mia scuola è l’innovazione nelle didattiche (in cui l’uso delle tecnologie può essere preziose) stimolando il protagonismo dei ragazzi, la loro operatività quotidiana (sui testi, nelle discussioni, nelle scritture). Questo pertiene alle “strutture”. A livello personale, continuo ad ispirarmi a quel Socrate che apre spiragli, crea vuoti che lei mirabilmente descrive.
Infine, voglio ringraziarla. Il suo libro mi conforta in un lavoro che amo moltissimo, ma che, come lei scrive, non ha alcun riconoscimento sociale. Le sue pagine bilanciano questa mancanza.
Un caro saluto.

Nicola Sguera

[21 novembre 2014]

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