Gent. Mo
Professore,
mi chiamo Nicola Sguera, insegno filosofia e
storia nel Liceo Giannone di Benevento,
pur essendomi laureato a Roma in Lettere con una tesi sull’opera poetica di
Franco Fortini. Ho 47 anni.
Stanotte, ho
finito di leggere L’ora di lezione.
Con rammarico. Perché non potevo continuare. Stamattina, mettendo da parte La nascita della tragedia, ho letto ai
miei ragazzi di ultimo anno l’ultimo capitolo del libro. Non so se servirà a
loro. Serviva a me per spiegare la tensione che spero animi il mio fare
educativo tra Logos ed Eros, utilizzando il suo lessico.
Sarebbe bello
poterla avere qui da noi, ma non abbiamo risorse sufficienti per organizzare un
evento così importante, almeno ora. Per questo le scrivo.
Volevo
discutere con lei due passaggi del libro.
Il primo è
quello che riguarda il prof. Keating
dell’Attimo fuggente. Per la mia
generazione quel film è stato un faro. Io ho sempre, in qualche modo, voluto
essere come quel docente. Lei ne stigmatizza un gesto. Nella n. 7 del cap. III scrive:
«È il punto
dove la testimonianza del celebre e appassionato professor Keating di L’attimo
fuggente (1989), notissimo film che suscitò sentimenti assai contrastanti tra
allievi e insegnanti (solitamente amatissimo dai primi e criticatissimo dai secondi),
mostra il suo lato più equivoco: quando chiede ai suoi allievi di strappare
le pagine dei manuali di letteratura, autorizzando in questo modo il rigetto
del senso del debito, riducendolo, letteralmente, a cartastraccia».
A mio avviso,
lì il professore compie un gesto liberatorio non nei confronti della tradizione
ma del tradimento che spesso i manuali compiono rispetto alla ricchezza del
testo. Invitando gli alunni a mandare al diavolo il prof. Pritchard, invita a
riconquistare la parola poetica nella sua vibrante vitalità. Io l’ho capito
meglio leggendo George Steiner, in
particolare Vere presenze. Non è la
tradizione a divenire cartastraccia ma la chiacchiera, la “letteratura
secondaria” che troppo spesso impedisce l’incontro trasformativo con l’opera
d’arte.
La seconda
questione è più delicata. Nel suo libro viene contrapposta continuamente una
scuola fondata sull’Eros, che mira ad accendere fuochi, ad una che mira ad
inculcare come in vasi competenze. Io mi trovo nella delicata posizione di
riconoscermi pienamente nelle pagine del suo libro e di essere il responsabile
di uno strumento chiave delle scuole odierne, il Piano dell’Offerta Formativa,
che andava adeguato alle indicazioni sulle competenze provenienti dall’Europa e
dal Miur. Ho avuto modo di scrivere una lettera lo scorso anno ai colleghi. Ora, a mio avviso, questo processo non è
necessariamente antitetico a quanto auspica lei. La didattica “per competenze”
se declinata nel senso mercatista è un orrore mirante a creare lavoratori
acritici e buoni consumatori. Se declinata criticamente può innovare le
modalità di fare lezione che si sono cristallizzate negli anni, senza cogliere
il mutamento profondo di schemi mentali e stili di apprendimento dei nostri giovani.
Per quanto mi riguarda, quel che sto cercando di portare nella mia scuola è
l’innovazione nelle didattiche (in cui l’uso delle tecnologie può essere
preziose) stimolando il protagonismo dei ragazzi, la loro operatività
quotidiana (sui testi, nelle discussioni, nelle scritture). Questo pertiene
alle “strutture”. A livello personale, continuo ad ispirarmi a quel Socrate che
apre spiragli, crea vuoti che lei mirabilmente descrive.
Infine, voglio
ringraziarla. Il suo libro mi conforta in un lavoro che amo moltissimo, ma che,
come lei scrive, non ha alcun riconoscimento sociale. Le sue pagine bilanciano
questa mancanza.
Un caro
saluto.
Nicola Sguera
[21 novembre 2014]
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