giovedì 28 gennaio 2016

le differenze e la violenza di genere dal mito ad oggi



Nella mia esperienza di docente di storia (e filosofia) arriva sempre un momento, abbastanza traumatico, in cui pongo i miei allievi, soprattutto di sesso femminile, di fronte alla sconcertante consapevolezza che il 90% (ad essere generosi) di ciò che imparano è il prodotto di menti maschili. Faccio loro notare qualcosa di talmente evidente da risultare, come spesso accade, invisibile: la poesia e la filosofia che costituiranno il loro bagaglio culturale (italiana, greca, latina, inglese, francese) sono state scritte e pensate da maschi.
Di solito aggiungo una provocazione, dicendo loro che le prime due grandi guerre che l’umanità ha combattuto sono state quelle dell’uomo contro l’animale e quelle del maschio contro la femmina. In entrambi i casi sappiamo chi ha vinto.
Nel 1861 esce Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia nel mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, conosciuto anche sotto il titolo di Il diritto materno, dello storico e antropologo svizzero Johann Jakob Bachofen. Per la prima volta in maniera sistematica si ipotizza che l’umanità, ai suoi primordi fosse... una “donnità”, in cui il crimine per eccellenza non fosse, come dirà il Freud di Totem e tabù, il parricidio ma il matricidio. La donna era, letteralmente, “domina”, padrona, signora, in virtù del potere “magico” e misterioso della generazione, di cui il maschio era privo. L’esistenza di divinità con le caratteristiche comuni della Magna Mater in tutto il Mediterraneo (per esempio Giunone) sarebbe testimonianza della sopravvivenza del matriarcato delle origini. Il libro di Bachofen ha avuto un grande influsso nella storia della cultura moderna, e, al di là del suo valore storico e antropologico, molto discusso, permette di ripensare la storia alla luce di una “ginecocrazia” abbattuta attraverso una vera e propria “lotta fra i sessi” che ha visto il trionfo del maschio, dell’Uno, del fallo.
Ci sono pagine affascinanti che vi consiglio di leggere nella bella edizione dei Millenni Einaudi: «Nel matriarcato ha dominato la notte e l'oscurità rispetto alla luce del giorno, il dì che dà vita a se stesso come il figlio dalla madre; lo sviluppo della patrilinearità-giorno dalla matrilinearità-notte segue lo sviluppo del modello cosmico dei corpi celesti: quest'ultimo obiettivo viene raggiunto solo con il dominio dell'uomo sulla donna, del sole sopra la luna». La notte e il giorno, la terra e il cielo. Una parentesi, nella città che ha ispirato il De nuce maga: e se, ad esempio, nelle streghe il maschio avesse sempre rivisto con timore il tempo della sua subordinazione alla ginecocrazia notturna e lunare?
La vittoria del maschio ha prodotto ovunque, nelle culture mediorientali e occidentali, il predominio di divinità maschili e celesti, di cui Zeus/Giove è l’archetipo.
Ma noi siamo tanto figli di Atene quanto di Gerusalemme. Il celebre passo del libro della Genesi racconta la donna, letteralmente, come “costola” del maschio: «Allora l’Eterno Iddio fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che s’addormentò; e prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa». Eva è la responsabile della caduta, tentata perché evidentemente più fragile, e a sua volta tentatrice. Non è casuale, d’altronde, che in molti dipinti (penso ad un affresco di Masolino, maestro e amico di Masaccio) il serpente venga raffigurato con la testa di donna.
Torniamo ad Atene, facendo un salto a Troia, preliminare.
Se dovessi suggerirvi un libro che meditare sul silenzio, la marginalizzazione e la violenza sulla donna non potrei che dirvi di leggere Cassandra di Christa Wolf, scomparsa nel 2011, struggente. La sacerdotessa di Apollo, violata e letteralmente posseduta prima dal dio, vive nella perpetua tensione tra il suo desiderio e la realtà che la circonda. Ella scopre la potenza del corpo, il suo “sapere” occulto. E sa accogliere la notte...: «Voglio vedere questa luce ancora una volta. La luce che vedevo in compagnia di Enea. La luce dell’ora che precede il tramonto. Quando ogni oggetto comincia a brillare autonomamente e a porre in risalto il colore che è suo. Enea diceva: per riaffermarsi ancora una volta prima della notte. Io dicevo: per consumare fino in fondo ciò che resta della luce e del calore e poi accogliere il buio e il gelo dentro di sé». Andiamo ora ad Atene.
Il primo, vero filosofo, l’archetipo stesso della filosofia come ricerca che non avrà mai fine, diceva, secondo le fonti di ringraziare gli dei per averlo fatto maschio, libero e ateniese. Frase che tiene insieme tutte le possibili forme di discriminazioni nei confronti delle donne, degli schiavi e dei “barbari”. Il discepolo del suo discepolo, Aristotele, servendosi del principio-base della scienza, secondo il quale ciò che accade ha sempre una causa, afferma il primato maschile nella riproduzione, estendendolo anche in ambito sociale: l’uomo, attivo per natura, è portato al comando, nella famiglia l’uomo è superiore alla moglie e la comanda (come il padre lo è nei confronti del figlio e il padrone nei confronti dello schiavo: physei, per natura). Secondo Aristotele perciò l’inferiorità della donna si fonda su basi biologiche e il rapporto uomo-donna è interpretato attraverso due delle categorie più importanti della sua filosofia, quella di forma e di materia. L’uomo-forma fa di ogni cosa ciò che è, e in quanto portatore del seme, è attivo e trasforma la passiva materia femminile naturalmente e ontologicamente inferiore.
Dunque, la cultura occidentale, quando struttura le sue basi, dopo la fase mitica, a guerra vinta, afferma risolutamente la superiorità del principio maschile, del giorno, della luce, del cielo (o di ciò che addirittura “iperuranio”, oltre il cielo), della “ragione”, sul principio femminile, la notte, l’oscurità, della terra, del corpo. Il maestro di Aristotele, Platone, è per eccellenza il filosofo di questa superiorità (sebbene nel Simposio sia una donna, sacerdotessa di Mantinea, Diotima, ad erudire Socrate sugli ultimi misteri dell’amore). Platone è il filosofo del Logos e dell’Uno. Non a caso Luce Irigaray ha voluto reinterpretare magistralmente, in quel libro straordinario che è Speculum del 1974, il mito della caverna platonico. Lo schiavo che esce dalla spelonca oscura verso la luce delle idee non è altro che il maschio che vuole emanciparsi dal ventre materno, dimenticare la dimensione corporea a cui la Grande Madre lo richiama costantemente. Il maschio occidentale ha cercato di innalzarsi verso una prospettiva che dovrebbe dominare il tutto, il punto di vista più potente, separandosi dalla sua base materiale e dal suo rapporto empirico con la matrice,  la radix-matrix, per citare Paul Celan. Il materno-femminile rimosso diviene così l'inconscio del pensiero occidentale. Il maschio fa della donna il proprio alter-ego o doppio, misconoscendone la differenza, in una reductio ad unum (al fallo) che resterà almeno fino alla filosofia dialettica di Hegel la cifra dell’intero Occidente. Purtroppo per mia deformazione tendo a pensare che le strutture economiche e sociali debbano essere prima “pensate” in qualche modo. Insomma, se non ci fosse stato un pensiero preliminare non ci sarebbe stato un dominio così pervasivo. E, dunque, la  logica immaginaria maschile sottesa alla filosofia si concretizza poi per le donne in determinate strutture del sociale, di subordinazione e violenza patita “senza voce”.
Dunque, tutto segreto filo rosso del pensiero occidentale è quello dell’identità, che culmina, come già dicevo, nel sistema hegeliano, figlio della svolta “soggettivistica” impressa da Cartesio nel XVII secolo.
Grazie a pensatori che pure non furono teneri con le donne (penso a Nietzsche) questa centralità del Logos e dell’Uno è stata incrinata, riscoprendo le ragioni telluriche del corpo e di quella che poi sarà chiamata “differenza”, che ha prodotto finalmente un pensiero “al femminile” capace di andare ben oltre le rivendicazioni di uguaglianza che partirono con la rivoluzione francese, per poi proseguire con il movimento delle suffragette e il femminismo novecentesco. Personalmente sono convinto che solo un pensiero capace di declinare fino in fondo la differenza (e non solo quella fra maschile e femminile) possa cancellare la radice potenzialmente totalitaria che si annida in ogni pensiero dell’Uno (che la Irigaray ovviamente associa al fallo maschile). Questo pensiero dovrà avere la forza di inventare un nuovo linguaggio (perché il linguaggio è inevitabilmente sessuato), di rielaborare la mitologia religiosa, diventando capace, ad esempio, di pensare un Dio Padre/Madre (è possibile recitare il Padre nostro declinandolo al femminile? «Madre nostra, che sei nei cieli...»), di pensare la differenza non come un rischio ma come una possibilità, facendola diventare il paradigma di ogni possibile comportamento umano nei confronti di un assolutamente altro che non diventa alter-ego, come nel pensiero falloegocentrico che mira all’Uno, alla sintesi. Insomma, si tratterebbe di un immenso lavoro culturale, che dovrebbe partire dalle scuole, per educare alla differenza. Questo ci costringerebbe a riscrivere i programmi scolastici. Pensate, e io provo talvolta a farlo, ad una storia riletta dal punto di vista delle donne, dove centrale diventa la riproduzione della vita che ha consentito a Cesare o a Napoleone di poter andare in guerra. Non più Farsàlo o Waterloo al centro dei programmi, ma come le donne gestivano la vita quotidiana nel I secolo avanti Cristo o nel XIX. Purtroppo i programmi scolastici, come dicevo all’inizio, sono ancora, inconsapevolmente, patriarcali e la maggior parte dei docenti non riesce neanche a tematizzare questa questione dirompente.

Un pensiero della differenza che produca, dunque, atteggiamenti nuovi, di apertura e accoglienza dell’altro, che si presenta primariamente (ma non solo) come l’altro sesso. Tutto ciò è possibile, e chiudo, grazie ad una grande rivoluzione del pensiero che è ancora in atto, malgrado i tentativi di bloccarla, e che parte da un pensatore oggi al centro di nuovo del dibattitto, Martin Heidegger. Con lui le strutture metafisiche del pensiero occidentale entrano in crisi. Sull’idea di verità si è fondato il dominio maschile. Se finisce la metafisica, se la “verità” diventa un accadere, un evento, se il mondo si “liquefa” senza più struttura identitarie totalizzanti (e totalitarie) allora è possibile davvero ripensare in chiave non violenta il rapporto fra diversi, a partire proprio dal rapporto maschio-femmina.

(Intervento tenuto presso l'Ordine dei Medici di Benevento il 28 novembre 2015)



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