Il pensiero occidentale si origina dall’acqua.
Aristotele, il primo “storico” della filosofia, scrive di Talete, nato a
Mileto, una colonia ionica sulle coste dell’Asia minore, e vissuto fra il VII e
il VI secolo a.C.: «La maggior parte dei primi filosofi ritennero che i soli
principi di tutte le cose fossero di specie materiale, perché ciò da cui tutte
le cose hanno l'essere, da cui derivano e in cui si risolvono, questo è da loro
chiamato elemento, principio delle cose e perciò ritengono che nulla si produca
e nulla si distrugga, perché una siffatta sostanza si conserva sempre [...]
Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l'acqua - e per
questo sosteneva che anche la terra sta sull'acqua: forse prese quest'ipotesi
osservando che l'alimento di ogni cosa è umido, lo stesso calore deriva
dall'umidità e di essa vive e ciò da cui le cose derivano è appunto il loro
principio. È dunque di qui che egli trasse la sua ipotesi e dal fatto che i
semi di tutte le cose hanno una natura umida». Questo passo, contenuto nel I
libro della Metafisica, è di capitale
importanza. Testimonia il passaggio rivoluzionario da una visione del mondo
“mitica” e “poetica” ad una che, con una forzatura, potremmo definire
“scientifica”. Aristotele, infatti, utilizza una parola-chiave, a proposito di
Talete e del suo metodo: “osservando”, e poi: “ipotesi”. Probabilmente, se oggi
ci troviamo qui, in questo luogo eretto dalla tecnica umana, lo dobbiamo
all’intuizione folgorante di un greco dell’emigrazione di circa 2600 anni fa.
Di lì è partito tutto. Dunque, dall’acqua. In quel momento è nato il conflitto,
spesso amoroso, fra due forme di sapere: uno fondato sull’osservazione, sulle
ipotesi, sull’esperimento, destinato a raffinarsi sempre di più, fino ad essere
codificato nel XVII secolo da Galilei, Cartesio e Bacone, l’altro, invece,
intuitivo e simbolico.
1984. Ivan Illich discute a Dallas del valore
simbolico dell’acqua in una conferenza (H2o e le acque dell’oblio) poi
confluita in Nello specchio del passato. Il metodo è quello consueto del grande
pensatore cosmopolita, ancora outsider nella ricostruzione scolastica e
accademica della filosofia del XX secolo e, dunque, rigorosamente fuori dal
canone: guardare il presente e le sue “strutture” attraverso lo sguardo
“straniante” del passato (classico o medievale).
«Vogliamo riflettere sul rapporto fra l'Acqua e i
Sogni, in quanto tale legame è una componente di ciò che 'fa funzionare una
città'. Da sempre i sogni danno forma alle città; le città hanno sempre
ispirato sogni; e tradizionalmente l'acqua ha fecondato entrambi. Ma io nutro
seri dubbi che disponiamo ancora dell'acqua capace di legare le due cose. La
società industriale ha trasformato H2O in una sostanza non miscibile con
l'elemento archetipico dell'acqua».
La società industriale ha trasformato H2O in una
sostanza non miscibile con l'elemento archetipico dell'acqua.
L’acqua è un elemento archetipico. È consustanziale,
potremmo dire, all’essere umano, è parte integrante del suo bagaglio fisico,
sensoriale, simbolico, culturale sin da quando nasce, quasi prima di farne
esperienza. Ma la società industriale ha creato H20, una sostanza che pare non
avere nulla a che fare con l’elemento archetipico dell’acqua.
Illich si concentra sul potere “lustrale” dell’acqua.
Noi italiani pensiamo immediatamente alla grandiosa scena finale de I promessi
sposi, con la pioggia purificatrice.
«L'aspersione con acqua santa ("lustrale")
dissolve i miasmi, libera dalle maledizioni, elimina l'inquinamento di certi
luoghi e, versata sulle mani, sulla testa o sui piedi, lava via impurità,
sangue e colpe. Ma c'è un'altra catarsi, che appartiene esclusivamente alle
oscure acque del Lete.
Quelle acque separano coloro che le attraversano dai
ricordi e permettono loro di dimenticare».
Anche in questo caso noi italiani siamo fortunati,
perché il padre della nostra letteratura, Dante Alighieri, immagina che
quell’acqua consenta di cancellare, nel Purgatorio, il ricordo del peccato. Ne
avevano parlato Platone e Virgilio, ne canteranno ancora Goethe e Baudelaire.
Ma Illich, come sempre, usa la lo specchio del passato
per capirei il presente, e si chiede se «i sogni di innocenza della città, i
sogni di 'abbandono e oblio', possono essere innaffiati dal liquido che passa
attraverso i rubinetti, le docce e i gabinetti. Acque di fogna depurate possono
'circolare' in fontane o laghi capaci di rispecchiare i sogni?».
La differenza radicale fra le acque del Lete e H2o è
che le prime “scorrono”, le seconde “circolano”, come il sangue, come il
denaro, come le macchine. Insomma, la modernità crea una cesura anche simbolica
difficilmente sanabile.
Nel XVIII si affermò la teoria di Harvey sulla
circolazione del sangue, coerente con il
modello mercantilista di ricchezza come circolazione dei beni quasi coevo. Gli
urbanisti iniziarono a descrivere le città con lo stesso paradigma. Essi
concepirono la città come un corpo sociale attraverso cui l'acqua deve
incessantemente circolare, asportandone continuamente la sporcizia. Se l'acqua
cessa di fluire e di essere portata via dalle fogne, la nuova città creata
dall'immaginazione non può che stagnare e marcire. «Fu inventata la città come
luogo che ha bisogno di essere costantemente liberato dai propri rifiuti». Come
il corpo umano e l'economia, anche la città potrà d'ora innanzi essere
visualizzata come un sistema di tubature.
L’acqua entra nelle nostre città come merce e ne esce
come rifiuto. Nei miti originari della civiltà occidentale, invece, essa era un
“confine”: separava questo mondo dall’altro mondo (funzione che conserva, di
fatto, in Dante). «Nel loro pellegrinaggio verso l'aldilà, i defunti greci,
indiani, nordici e celti attraversano tutti lo stesso paesaggio funebre,
caratterizzato dalla stessa idrologia mitica. Le lente acque che il viaggiatore
varca sono quelle del fiume dell'oblio». Il fiume dell’oblio libera il defunto
dal carico dei ricordo, ma restituisce ai vivi le sue gesta memorabili: per il
cantore, per il sognatore, per il veggente, per il saggio. «Ciò che il fiume
Lete lava via dai piedi dei morti viene restituito alla vita dalla pulsante
sorgente di Mnemosine».
Questa straordinaria simbologia già si smarrisce nella
Grecia più recente e a Roma, dove le città sono costruite intorno ad acquedotti
che versano l'acqua in fontane.
«Dalla sorgente al getto d'acqua, dalla fonte della
memoria alla fontana scolpita, dal canto epico al ricordo fondato su
riferimenti letterari, l'acqua come metafora sociale subisce una prima profonda
trasformazione».
Con la modernità si è affermata l’idea che l'acqua
convogliata all'interno della città dovesse uscirne tramite un sistema di
fognature.
La concezione della città come luogo che dev'essere
costantemente lavato e deodorato ha origine in un momento storico ben definito:
essa fa la sua comparsa agli inizi dell'Illuminismo.
Durante tutta la prima metà del XX secolo la priorità
è stata data alla sterilizzazione dell'acqua potabile. I cittadini esigevano
soprattutto che dai rubinetti scendesse acqua potabile 'batteriologicamente
pura'.
«Nella civiltà industriale il tentativo di lavar via i
cattivi odori della città è palesemente fallito. Le nostre città sono divenute
luoghi di un fetore industriale senza precedenti. E noi siamo diventati tanto
insensibili a questo inquinamento quanto gli abitanti di Parigi all'inizio del
diciottesimo secolo lo erano all'odore dei loro cadaveri e dei loro
escrementi».
Alla fine di queste densissime pagine, si comprende
come i sistemi idrici delle città, nella storia della cultura occidentale,
hanno un inizio e potrebbero perciò avere una fine. Essi nascono con
l'addomesticamento artistico delle fonti di Roma, rispetto alla portata
simbolica delle fonti delle popolazioni indoeuropee, per le quali l’acqua
“apriva”, letteralmente, il mondo dei morti; e culminano nelle grandi pompe
aspiranti che trasformano l'acqua in un fluido detergente e refrigerante.
La chiusa, apparentemente ellittica della riflessione
di Illich, è che solo l’acqua come “common”, come bene comune, può ritessere
l’aspetto archetipico e quello storico dei sogni.
«H2O non è acqua in questo senso. H2O è un liquido
privato sia del suo senso cosmico sia del suo "genius loci". Esso è
opaco ai sogni. Gli acquedotti delle città hanno pervertito i
"commons" dei sogni».
La battaglia per l’acqua come bene comune è uno dei
grandi compiti che abbiamo alle spalle ma anche dinnanzi. Nello stesso tempo è
necessario riannodare quel filo che forse Talete stesso, da cui siamo partiti,
iniziò a lacerare, il filo che unisce poesia e pensiero, mhytos e logos,
auspicando una nuova alleanza fra la tecnica e l’arte, in cui sia possibile
sperimentare l’acqua nella sua duplice natura di H2O e di viatico al mondo dei
morti e del sogno.
[Rielaborazione dell'intervento tenuto all'interno del festival "Sophia. Luoghi del pensiero" presso l'Acquedotto Alto Calore di Solopaca.
Le foto sono di Pasquale Palmieri.
Il testo è apparso sulla rivista «Economia & Diritto» nel novembre 2015]
Nessun commento:
Posta un commento