Tutta l’opera di Eraldo
Affinati scaturisce (è la 1a parola chiave) dalla VITA: la
letteratura, ha scritto, prima deve essere stata carne e sangue.
Tutti i libri di Eraldo nascono dall’incontro (è la 2a parola chiave) con l’ALTRO, con un alter (soprattutto ma non solo giovane), uno straniero, che non si riesce a ridurre ad alter-ego, e che proprio nella durezza della sua differenza riesce a trasformare il soggetto agente.
Per me questo dovrebbe essere il paradigma di una (è la 3a parola chiave) ETICA nuova. Un’etica della responsabilità, nel senso che Dietrich Bonhoeffer ha dato alla parola. Per troppi secoli la cultura occidentale è stata reductio ad unum, mono-logos. Per troppo tempo l’etica è stata sterile contemplazione delle motivazioni del proprio agire. La scrittura incarnata di Eraldo esprime un ethos responsabile dell’alterità irriducibile: il suo ideale è l’uomo integrale, l’antropos teleios omerico evocato anche da Bonhoeffer.
Ed è per questo che il topos (parola che in questo caso non indica un “luogo comune”) dei suoi libri (ed è la 4a parola chiave) è il VIAGGIO. Tale viaggio si configura come vera e propria ricerca, una quête (che riprende sia un archetipo profondissimo della cultura occidentale sia pratiche che stanno tornando in auge come i “cammini” verso luoghi sacri). Ma, come insegnano tutte le sapienza, il risultato vero del viaggio è il ritrovamento del cuore, il Graal, del centro di noi stessi. Questo viaggio non ha nulla a che vedere con i deliri della modernità (penso al mito di Ulisse ma soprattutto a Nietzsche). In Compagni segreti scrive Eraldo: «Quando parto cerco sempre, innanzitutto, di trovare le ragioni del ritorno».
Tale viaggio è anche un vertiginoso e rivelatorio percorso a ritroso verso (è la 5a parola chiave) il proprio PASSATO, soprattutto biografico, familiare: «Ogni uomo deve rispondere, innanzitutto, al padre e alla madre, sciogliendo i nodi che loro hanno tenuto legati». Un passato, dunque, assolutamente attuale, vivente.
Tutto questo diventa materiale (6a ed ultima, scontata, parola chiave) per una SCRITTURA, senza la quale ogni vita, ha scritto Eraldo, sarebbe vana. Una scrittura che non diventa mai vuota ricerca dello stile, forma autoreferenziale. Vorrei definirla la scrittura “responsabile”, e in quanto tale fuori dal XX secolo, se è vero, come ha scritto Eraldo in una pagina che andrebbe letta in ogni scuola di Campo del sangue, che il grande male della cultura moderna è stata «l’aspirazione dell’artista a venire considerato un maestro spirituale chiedendo però, in ragione del suo genio, di non essere moralmente giudicato».
[Intervento all'Ordine dei Medici del 25 giugno 2009, in occasione della presentazione di La città dei ragazzi. La foto risale al 1997 in occasione del primo incontro con lo scrittore, finalista al Premio Strega con Campo del sangue].
Tutti i libri di Eraldo nascono dall’incontro (è la 2a parola chiave) con l’ALTRO, con un alter (soprattutto ma non solo giovane), uno straniero, che non si riesce a ridurre ad alter-ego, e che proprio nella durezza della sua differenza riesce a trasformare il soggetto agente.
Per me questo dovrebbe essere il paradigma di una (è la 3a parola chiave) ETICA nuova. Un’etica della responsabilità, nel senso che Dietrich Bonhoeffer ha dato alla parola. Per troppi secoli la cultura occidentale è stata reductio ad unum, mono-logos. Per troppo tempo l’etica è stata sterile contemplazione delle motivazioni del proprio agire. La scrittura incarnata di Eraldo esprime un ethos responsabile dell’alterità irriducibile: il suo ideale è l’uomo integrale, l’antropos teleios omerico evocato anche da Bonhoeffer.
Ed è per questo che il topos (parola che in questo caso non indica un “luogo comune”) dei suoi libri (ed è la 4a parola chiave) è il VIAGGIO. Tale viaggio si configura come vera e propria ricerca, una quête (che riprende sia un archetipo profondissimo della cultura occidentale sia pratiche che stanno tornando in auge come i “cammini” verso luoghi sacri). Ma, come insegnano tutte le sapienza, il risultato vero del viaggio è il ritrovamento del cuore, il Graal, del centro di noi stessi. Questo viaggio non ha nulla a che vedere con i deliri della modernità (penso al mito di Ulisse ma soprattutto a Nietzsche). In Compagni segreti scrive Eraldo: «Quando parto cerco sempre, innanzitutto, di trovare le ragioni del ritorno».
Tale viaggio è anche un vertiginoso e rivelatorio percorso a ritroso verso (è la 5a parola chiave) il proprio PASSATO, soprattutto biografico, familiare: «Ogni uomo deve rispondere, innanzitutto, al padre e alla madre, sciogliendo i nodi che loro hanno tenuto legati». Un passato, dunque, assolutamente attuale, vivente.
Tutto questo diventa materiale (6a ed ultima, scontata, parola chiave) per una SCRITTURA, senza la quale ogni vita, ha scritto Eraldo, sarebbe vana. Una scrittura che non diventa mai vuota ricerca dello stile, forma autoreferenziale. Vorrei definirla la scrittura “responsabile”, e in quanto tale fuori dal XX secolo, se è vero, come ha scritto Eraldo in una pagina che andrebbe letta in ogni scuola di Campo del sangue, che il grande male della cultura moderna è stata «l’aspirazione dell’artista a venire considerato un maestro spirituale chiedendo però, in ragione del suo genio, di non essere moralmente giudicato».
[Intervento all'Ordine dei Medici del 25 giugno 2009, in occasione della presentazione di La città dei ragazzi. La foto risale al 1997 in occasione del primo incontro con lo scrittore, finalista al Premio Strega con Campo del sangue].
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