Imparavo dall’erba
Imparavo dall’erba,
aprendo il quaderno,
e l’erba come un
flauto prendeva a suonare.
La consonanza coglievo
del colore e del suono
e quando la libellula
il suo inno intonò,
passando tra i verdi
accordi, simile a una cometa,
compresi che ogni
stilla di rugiada è una lacrima.
Compresi che in ogni
faccetta del suo grande occhio,
in ogni iride dello
smagliante stridio dell’ali
dimora l’ardente
parola del profeta
e, miracolo, svelai il
segreto di Adamo.
Ho
amato il mio tormentoso lavoro, la costruzione
di parole consolidate
dalla loro stessa luce, l’enigma
di sentimenti confusi
e la semplice soluzione
della ragione, nella
parola verità mi appariva
la verità in persona,
la mia lingua era viva
come l’analisi
spettrale, le parole
si prostravano intorno
ai miei piedi.
Dirò
di più: tu che ascolti hai ragione,
io sentivo un quarto
di suono, vedevo in penombra,
ma non umiliai né
uomini né erbe,
non offesi con
l’indifferenza la terra avita;
mentre sulla terra
lavoravo, accogliendo
il dono dell’acqua gelida
e del pane fragrante,
su di me il cielo
infinito indugiava,
sulle mie maniche cadevano stelle.
(da
Prima della neve, in Poesie e racconti, Tracce,
1991, p. 31, trad. di Paola Pedicone)
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