lunedì 18 giugno 2018

Frantumi VII



28. Perché dovrei tacere?

Mi fa sorridere il fatto che prima alcuni ex compagni di strada, poi altri amici abbiano la pretesa che io taccia. Sono uscito dal M5S, mi sono dimesso dal Consiglio comunale (posto per avere il quale tanti hanno speso fortune e altri hanno tentato vanamente e in più occasioni e con più casacche di vari colori), ho smesso di discutere su Facebook proprio per evitare polemiche di corto respiro. Mi sono ritagliato uno spazio di riflessioni sul mio blog, che da sempre è lo strumento per capire il mio tempo e, in esso, me stesso. Continuerò a parlare, a sbagliare, a riflettere sui miei errori e a ripartire. Chi non vuole leggermi non è costretto. Non devo rendere conto a nessuno di questo perché ci metto la faccia ogni volta, e pago in prima persona. Da sempre. Men che mai accetto prediche o consigli da chi mai ha avuto il coraggio di mettersi in gioco e di misurarsi con l’ardua sfida del consenso, e che, dunque, non facendo mai non corre il rischio dell’errore. Sento fraterni, anche in campi politici avversi e che tali resteranno, coloro che, invece, tale sfida accettano, ben conoscendo le contraddizioni in cui ci si dibatte. Ovunque. Sparare sentenze è facile solo per chi, non impegnandosi realmente in nulla, non conosce la fatica di cambiare, di orientare. Né il sapor amaro della sconfitta. Vite virtuali, insomma, esangui. Non sto, ovviamente, rivendicando l’errore in sé come un merito ma la voglia ostinata di capire dove si è sbagliato, dove ho sbagliato. Con un obiettivo? Certo! Quello di immaginare nuovi percorsi. Vorrei portare con me in qualunque nuova esperienza dovessi vivere (anche come semplice elettore) quanto di buono ho imparato nel M5S (che non è poco). 
Sicuramente non accetterei, come invece ho sempre pensato stando nel Movimento, che qualcosa possa essere un “male necessario” da superarsi in un percorso avvenire. Questo lho ripetuto spesso. Il disastro di un movimento che si allea con un partito di destra xenofobo e sciovinista mi spinge allautocritica più radicale sulla questione. Il problema della democrazia interna deve essere il primo punto di un futuro soggetto politico. Prendo atto che un partito nato sulla tensione tra l’essere fortemente “carismatico” (la figura di Grillo), utilizzando una piattaforma elaborata da un’azienda privata (la Casaleggio), reclamando la democrazia diretta (cioè la forma più avanzata possibile di democrazia), ha risolta questa tensione divenendo un partito fortemente leaderistico (in cui il “capo politico” decide con un manipolo di uomini la linea politica e pretende che gli attivisti diventino meri esecutori), in cui l’azienda privata (e il suo proprietario) continuano ad avere un ruolo tanto importante quanto opaco. Onestamente, anche dopo le vicende romane, sentire Davide Casaleggio che dice di essere un semplice attivista appare come un’offesa all’intelligenza.

P.S.

Sul tema della democrazia interna e della piattaforma utilizzata dal M5S in questi anni ho discusso spesso con Giancarlo De Gregorio. Aveva ragione lui. Se il Movimento ha potuto andare in una direzione che ne stravolge quasi del tutto i tratti originari è perché non si è alimentata la coscienza critica ma la fedeltà, non si lavorato sulla trasparenza ma sulla celerità delle decisioni quasi sempre calate dallalto.

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