sabato 9 giugno 2018

Frantumi I



«Se c’è un aspetto del problema che vedo con chiarezza, questo aspetto è l’inefficacia delle categorie con le quali cerchiamo di interpretare il presente. Chi è cresciuto dentro una cultura di sinistra, dentro una delle tante famiglie discorsive che compongono la cultura di sinistra, chi è stato lettore di Marx, di Adorno, di Benjamin, di Bloch o di Fortini, per esempio, sente che i concetti con cui ha provato a capire la realtà oggi non lo aiutano più» (Mazzoni, I destini generali, Laterza).


Inizio a scrivere questi appunti il 1 giugno 2018, nel giorno di insediamento del governo penta-leghista. Il mio stato d’animo è funereo. «La notta sarà lunga e nera» ha scritto Tomaso Montanari.

3. Il M5S si è venduto l’anima al diavolo pur di governare


Un cronista intelligente “di sinistra” come Gilioli ha sottolineato come il M5S, nel quale ho militato negli ultimi quattro anni, per raggiungere il potere abbia dovuto sacrificare tutto il nucleo centrale della propria ispirazione politica.


La mia domanda è: come è stato possibile agire per una “rivoluzione gentile” è avere oggi Matteo Salvini, un razzista, al Ministero dell’Interno e al controllo del Governo italiano?


Non mi pongo domande sul futuro. Sono troppo angoscianti. Né tanto meno mi va di ricorrere alla frusta immagine della “traversata del deserto”. È come se andassimo, infatti, di deserto in deserto.


Ero un orfano della sinistra. Vidi, nel 2014, nel Movimento 5 Stelle la possibilità di un modo nuovo di fare politica, con contenuti forti, strumenti aggiornati e calati nel corpo dolente della società. Oggi vedo quel corpo diretto verso azioni oscure inconsapevolmente, mentre tutti giubilano sui social festeggiando l’inizio di una nuova era. Io solo sono sceso dal carro del vincitore disgustato.


Ho obbedito al daimon. Anche se questo ai più è parso incomprensibile. Spero di poterlo spiegare a mia figlia un giorno. Quante cose vorrei poter spiegare a mia figlia un giorno!


«Due cose sono sicure: uno, ormai alla gente non importa più nulla di quello che succede all’altra gente; due, nulla ha più davvero importanza ormai (nothing makes any real difference any longer)» (Carver, citato in Mazzoni, p. 19).


Quasi totale il rifiuto di leggere quotidiani o seguire l’attualità politica in televisione. Poche eccezioni, tra cui l’antico maestro, abiurato per qualche anno o visto con sospetto, quasi fosse lui in errore e noi (come invece era), Marco Revelli. Sul «Manifesto» del 2 giugno parla di «potenziale dirompente» del voto. Revelli ipotizza che in Italia si stiano fondendo vari populismi in un conio nuovo. Anche lui parte dall’assunto, dunque, che quello leghista e quello pentastellato siano populismi diversi. L’Italia, in tal caso, sarebbe un laboratorio.
È chiaro che la mia ambizione, mai esplicitata, è quella emersa nelle interviste a Domenico De Masi, non a caso uno dei critici più feroci dell’accordo con la Lega.
«Sbagliano quanti liquidano l’asse 5Stelle-Lega con le etichette consuete: alleanza rosso-bruna, coalizione grillo-fascista, o fascio-grillina, o sfascio-leghista, e via ricombinando. Sbagliano per pigrizia mentale, e per rifiuto di vedere che quello che va emergendo dal lago di Lochness è un fenomeno politico inedito, radicato più che nelle culture politiche nelle rotture epocali dell’ordine sociale. Altrimenti dovremmo concludere che (e spiegare perché) la maggioranza degli italiani - quasi il 60% - è diventata d’improvviso «fascista». E sarebbe assai difficile capire come e per quale occulta ragione l’elettorato identitario della Lega si è così facilmente rassegnato al connubio con la platea anarco-libertaria grillina, e viceversa come questa si sia pensata compatibile con i tombini di ghisa di Salvini...».
Quello che abbiamo di fronte è un oggetto misterioso.
Il populismo è l’ospite indesiderato che dice la verità sull’esproprio della sovranità popolare.
Non ci sono più “popoli”, appartenenze solide ad identità politiche.
Siamo lontani dai fascismi e dai neofascismi. Perché? Quel mondo era fondato sul lavoro e la fabbrica fordista. Oggi, in un mondo in cui il lavoro non c’è, sono mercato e merce (informi per definizione) ad avere egemonia simbolica. Revelli parla, dunque, di “disordine nuovo”.
Statuto anarco-capitalista del nuovo disordine che viene portato, dall’alleanza penta-leghista, nel cuore stesso del sistema politico.
Continuerà a dar voce al disagio, scaricandola sul “capro espiatorio”.
Combatterà le oligarchie senza mettere in discussione il sistema.
Che fare? Se vorremo combatterli dovremo prepararci ad avere davanti un avversario proteiforme,
Affrontabile solo da una forza e da una cultura politica che abbia saputo fare, a sua volta, il proprio esodo dalla terra d’origine: che sia preparata a cambiarsi con la stessa radicalità con cui è cambiato ciò che abbiamo di fronte. Non certo da un fantasmatico «fronte repubblicano», somma di tutte le sconfitte».


Ovviamente quanto sta accadendo, e le nuove preoccupazioni, non devono farci dimenticare anche la fine di altre “minacce”. Assunto che il “berlusconismo” nella sua fase virulenta può dirsi concluso con la rottura avvenuta tra Berlusconi e Fini in uno dei governi con le maggioranze più schiaccianti della storia repubblicana, sicuramente il governo penta-leghista segna la pietra tombale di qualunque riscossa del Cavaliere, oramai ridotto ad elemento marginale del quadro politico (considerando che i sondaggi danno ora la Lega sotto il 30%, il che dimostra la “volatilità” dell’elettorato: elemento di rischio ma anche di positiva possibilità per ribaltare gli scenari).
Secondo elemento positivo: il PD è in liquefazione. Come ampiamento previsto da Revelli, essersi legato ad un giocatore di poker, ad un “cazzaro” come Renzi, nel momento della sconfitta ha fatto esplodere tutte le contraddizioni. La ridicolissima idea del “fronte repubblicano” antipopulista che solo un altro [omissis] politico come Grasso poteva accogliere mi pare il sigillo di cotanta sciente deficienza.

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