martedì 2 dicembre 2025

Ciervo su "Euthymios" (I parte) [𝒐𝒑𝒖𝒔 𝒎𝒆𝒖𝒎]

 

Una sera di dicembre, nel 2012,  ero su questo palco, a presentare il primo libro di Nicola. Il fatto che siamo ancora qui, tredici anni dopo, in un certo senso ci rassicura e ci dà coraggio perché – immagino – tutti amiamo la vita e nonostante praticare la filosofia – come si dice  nel Fedone platonico, equivalga ad un apparecchiarsi alla morte -  magari ve lo scrivete, come suggerisce Massimo Troisi -  l'augurio è di restare saldamente afferrati al suo contrario cercando di godere, il più efficacemente possibile, dei doni che essa ogni giorno ci offre. E così dovremmo cercare di  imparare, giorno dopo giorno,  ad attraversarne la tragicità, a reagire sempre all'insensato, all'assurdo che c'è nel mondo, di cui una buona parte di responsabilità è giusto farla ricadere su di noi e sui nostri simili. In ogni caso questo tempo c'è dato da vivere e  questo tempo dobbiamo vivere. Un libro come questo serve innanzitutto a questo.  

Quand'eravamo giovani spesso ci capitava di dare vita a un gioco divertente. Ci domandavamo a vicenda: Quale situazione,  in un tempo lontano, ti sarebbe piaciuto vivere?

Di solito avevo quattro – cinque risposte.   

Essere ad Atene nelle Grandi Dionìsie del 423 a.C. Seduto accanto a Socrate durante la prima delle Nuvole di  Aristofane per vedere le reazioni del filosofo mentre gli attori si divertivano con  spietatezza satirica, a “percularne” la figura pubblica.       

Oppure, nel 1252,  a Parigi, per assistere alle lezioni di   Tommaso d'Aquino che principiava a commentare il fino a qualche anno prima vietatissimo Aristotele.

O ancora, sul finire del Quattrocento,   attraversare con Giovanni Bockeneim, il maestro delle cerimonie papali, le sale dell'appartamento Borgia, e incontrare il  papa Alessandro VI, di cui si disse “Mai si vide il più carnale homo”,     magari in compagnia di Giulia Farnese, la donna più bella di Roma, sorella di quell'Alessandro Farnese, poi Paolo III, a più riprese amministratore dell'arcidiocesi di Benevento.  

O infine assistere, il 3 dicembre del 1792,  al discorso di Robespierre alla convenzione:  “Qui non c'è da fare un processo. Luigi non è un imputato; voi non siete dei giudici; Voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione.”

Lo scrittore che mette mano a un romanzo storico – in fondo – fa un gioco simile. Si sceglie un tempo storico, ne seleziona dei personaggi, alcuni li inventa, con la sua fantasia creativa,   altri sono realmente esistiti.  Con loro gli sarebbe piaciuto condividere tempo e storie. Di essi scandaglia in profondità il carattere, ne ripercorre  i passaggi le loro azioni più significative, specialmente quelle in grado di modificare in profondità le vite e le esistenze degli altri uomini. Le azioni che non ci  fanno tornare indietro. A nessuna età dell'oro, se mai ci sia stata una qualche età dell'oro nelle vicende umane. O magari a pensare follemente di costruirla.

Il libro di cui parliamo stasera è un romanzo storico. E chi lo ha scritto è un mio amico carissimo. E per il suo primo romanzo storico ha mirato in alto. Altro che Socrate – che nel libro più volte è ricordato, anche in una delle scene-madri che non rivelerò per non togliervi il gusto di scoprirla da voi leggendolo, il libro – ; altro che Tommaso o papa Borgia – ma anche un futuro papa nel libro c'è, e pour cause, o Robespierre. Nella storia di Euthymios, medico greco di grandissime qualità e profonda esperienza, il vero personaggio principale, sottotraccia, è Yeshua, cioè Gesù.

Nicola Sguera con il suo libro mette le mani in una materia assolutamente incandescente.     


Nessun commento: