Nel 2013 la UIL presentò un dettagliato studio sui costi
della politica in Italia, che ammontano a circa 23 miliardi all’anno. Non si
tratta di una spesa necessaria alla democrazia ma piuttosto di una delle tante
malattie che affliggono il nostro Stato. Ricordo solo, all’interno di tale
cifra vertiginosa, quanto incidono i parlamentari, che percepiscono indennità
di circa 10 mila euro lordi (cui vanno aggiunti: diaria, rimborso spese, spese
di trasporto, spese telefoniche, assistenza sanitaria). Il M5S, da quando è entrato in Parlamento, ha rinunziato ai
rimborsi elettorali (circa 40 milioni di euro) e ha obbligato parlamentari e
consiglieri regionali a restituire parte delle loro indennità per finanziare il
microcredito per le piccole aziende e iniziative locali.
Tra i pochi soldi veri arrivati a Benevento dopo l'alluvione molti ricordano quelli donati dai consiglieri regionali al Rampone.
Nei giorni scorsi, grazie a un servizio delle “Iene” si è
scoperto che alcuni parlamentari non hanno restituito integralmente quanto
dovevano in maniera furbesca.
Luigi Di Maio ha immediatamente detto che, dopo le
verifiche, chi si fosse scoperto non in regola (e non per dimenticanza o
errore) sarebbe stato espulso dal M5S.
Una parte (assolutamente minoritaria) dell’opinione pubblica
ha affermato (come già accadde per l’episodio di Quarto) che il Movimento è
identico agli altri partiti.
Io trovo molta disonestà intellettuale in queste uscite.
Prima di tutto trovo triste che una persona che non simpatizza per il M5S non
riesca a riconoscere il beneficio complessivo che le scelte sopra sintetizzate
portano alla comunità. Persone intelligenti arrivano a dire che si tratta solo
di pubblicità! Non hanno capito che, invece, normalizzare i costi della politica
è una delle ragion d’essere del Movimento. Poi trovo deprimente che l’argomentazione
principe sia: sono tutti uguali, quasi che, per un militante di Forza Italia o
del PD, sia “normale” raggirare, non mantenere l’impegno preso.
Ho già avuto modo di dire (a partire dalla vicenda di
Quarto, che a molti sembrò “la perdita dell’innocenza” dei Cinque Stelle) che,
in realtà, proprio la reazione a queste vicende dimostra in maniera evidente la
“diversità” di un soggetto politico che ha ereditato, in assoluta solitudine,
la “questione morale” posta da Enrico Berlinguer. Mettere alla porta chi deroga
alle regole è la diversità! Gli ambiziosi e i disonesti ci sono e ci saranno
ovunque e sempre. Il potere e il denaro sono tentazioni eterne a cui non tutti
gli uomini sono attrezzati a resistere. La differenza è che ci sono strutture
in cui questi vizi non solo sono possibili ma addirittura incentivati o
premiati. FI e il PD (o la Lega) pullulano di “impresentabili” che sono sotto
processo per i più vari motivi.
È assolutamente normale che essi aspirino a
poter credere che sì, in fondo, «tutti rubano alla stessa maniera». Il sano
giacobinismo di cui spesso il M5S è accusato è il rigore che mette regole e
ideali prima delle persone.
È una campagna elettorale strana. Lo dicevamo ieri, durante
l’incontro con alcune famiglie in una casa privata.
Ascoltando le voci della strada, le persone comuni, quelle devastate
dalla crisi, costrette a vedere i figli partire per il Nord o per l’estero alla
ricerca di un lavoro, pare che il M5S debba prender l’80% delle preferenze,
unica forza in grado di dar voce al disagio crescente della società. Non so
come andrà il voto nel tempo della “liquidità” delle appartenenze. So per certo
che per le persone comuni è importante non solo quel che è scritto nel
Programma ma anche la fiducia: sanno che da una parte c’è per lo più un ceto di
professionisti della politica, adusi ad ogni machiavellismo, eristi della
parola; dall’altra uomini e donne normali, destinati a svolgere per alcuni anni
un servizio alla comunità, restituendo gran parte di quanto riceveranno per
farlo ritornare in circolo. E sanno, soprattutto, che se qualcuno verrà meno a
questo solenne impegno senza alcun calcolo sarà messo alla porta.
Questa la diversità che rivendichiamo con orgoglio.
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