mercoledì 18 giugno 2025

Soglia

 


Questo blog nacque nel 2008, in un momento di profondo sconforto politico. Basti rivedere qual era l’argomento che mi spinse in qualche modo a trovare un canale di comunicazione. Bisogna ricordarsele certe cose, altrimenti rischiamo anacronismi: all’epoca c’erano mezzi convenzionali e si iniziavano a diffondere i “social”. Quasi contestualmente, infatti, mi iscrissi a Facebook che, fino al 2018, quindi per un decennio, è stato strumento molto utilizzato da me come insegnante, come politico (pro tempore). Un amico mi definì addirittura un “influencer”. Che offesa, a ripensarci… 

Molti anni sono passati, grandi trasformazioni fuori e dentro. 

Mi chiedo se ha un senso questo blog giurassico, così rudimentale e povero, sia nei contenuti che nella forma esteriore, in un tempo che reclama ben altro. Più volte ho avuto tentazione di un restyling (nell’aborrita lingua barbara che ancora va per la maggiore). Fino ad ora non ho trovato stimoli sufficienti a tradurre in atto tale proposito. 

Scrivo, senza sapere precisamente a chi, non avendo mai tentato di creare una “comunità” di lettori fedeli, essendo stata sempre la mia scrittura rapsodica e lunatica, mai sistematica. E scrivo perché percepisco un mutamento in atto che merita comunque di lasciar traccia, se non altro per me, che da sempre ho l’ossessione delle periodizzazioni, dei mutamenti di fase, personali e storici. 

Da qualche mese mi sono dimesso da ogni ruolo che ricoprivo nella mia scuola. Non mi riconosco più nelle scelte, negli stili. Mi pareva giusto un passo indietro. Mi si è liberata una quantità incredibile di tempo, di energia fisica e mentale, che si è riversata immediatamente sulla scrittura. Da gennaio sto scrivendo, colonizzando ampie zone delle giornate prima dedicate, appunto, alla scuola. Cosa scrivo? Qui la novità per me decisiva. È vero che alcuni anni fa ho scritto un romanzo, nato proprio sulle pagine di questo blog, ancora in attesa di pubblicazione, e a cui sono assai affezionato. Ma mi pareva una sorta di unicum, in una attività di scrittore che veniva praticata negli interstizi delle altre occupazioni principali. Ora, invece, si è fatta prepotente l’esigenza di raccontare storie, come se fossero stipate dentro di me in attesa di venir fuori. Anche per questo sono grato a chi (si chiama eterogenesi dei fini), spingendomi a liberarmi dagli impegni scolastici, ha permesso alle storie di farsi raccontare, a me di scoprire il piacere, oserei dire fisico, di raccontarle. Quando questo fiume in piena si placherà, dovrà iniziare una rigorosa riflessione sul senso dello scrivere storie oggi. Ma, appunto, c’è tempo. Ora mi godo questa fase, con i suoi eccessi, i suoi deliri, che sono tipici della mia personalità, anche a sessant’anni. Io sono, nel senso etimologico, un entusiasta e un melanconico. 

Ah, dimenticavo! A novembre, se Dio vuole, dovrebbe uscire il mio primo romanzo (e l'immagine che accompagna questo post è come con l'A.I. ho immaginato il protagonista). Che non sarà il primogenito, bensì un romanzo storico nato rapinosamente tra aprile e maggio in settimane di scontro furibondo e gioioso con la pagina bianca dello schermo. 

Nel contempo, percepisco esaurita una fase lunghissima della mia poesia. Non so se smetterò di scrivere versi. Io credo che la poesia (e ne ho scritto spesso) sia uno sguardo sul reale. Quindi, se si è poeti, non si può cessare di esserlo. Ma sono certo che, se scriverò, lo farò in maniera diversa. Anche per questo considero l’opera che uscirà a settembre (sì, due libri in un anno…) un sigillo, che chiude quanto iniziato con Per aspera nel 2013.

Il mondo è in fiamme. Forse una guerra catastrofica alle porte per l’umanità. Nulla è sicuro, ma scrivi.


giovedì 1 maggio 2025

Poesia a Benevento: una dialogo a margine dell'"Atlante delle nuvole"

 

La foto è tratta da «Il Mattino» del 1 maggio 2025. Da sinistra Antonella Rosa, Nicola Sguera, Elio Pecora e Domenico Cosentino nel Museo Arcos il giorno 27 aprile, in occasione dell'ultimo incontro de "L'Atlante delle nuvole"

Pubblico la riflessione che Antonio Medici, già editore e animatore di «Sonar», ci ha inviato in merito alla rassegna di poesia appena conclusasi.

A seguire la mia risposta.

* * *

«Cari Totty e Nicola, vi scrivo giacché reputo complicato riuscirvi a incontrare.

Innanzitutto, grazie per aver organizzato una rassegna non asfittica, preziosa anomalia per Benevento. 

Ho potuto assistere solo all’incontro con Elio Pecora ed è inutile che usi aggettivi per definirne il rilievo intellettuale  e, aggiungerei, emotivo. Anche della parte aneddotica. 

Due parole dell’intervento introduttivo di Nicola mi sollecitano a esprimere un’opinione, ovviamente dissenziente. 

Nicola si è lamentato della scarsa partecipazione dei docenti di letteratura agli incontri. 

Ebbene, reputo questa sollecitazione, in cui ho colto un’aspirazione vana, incongrua al vostro meritorio lavoro.

Gli incontri culturali e in specie quelli, rari, sulla poesia, mi si perdoni l’aspirazione pop, dovrebbero ambire ad avvicinare un pubblico lontano dalle stanze della cultura, a incuriosire, a seminare, lanciare semi che possano germogliare in qualcuno (per stare su Pecora).

In questo senso, i docenti di letteratura sono un pubblico ininfluente e forse da tenere lontano giacché il docente, essendo investito istituzionalmente del compito della semina, ingenera naturale ostilità (a scuola si dimena per superare questa bar-riera). 

Sarebbe bello vedere alle presentazioni ragazzi, studenti, giovani, ricercatori, avventurieri e imprenditori, persone nuove, estranee ai circoli letterari, librari, intellettuali e paraintellettuali. C’è bisogno di allargare il pubblico, della  poesia, vieppiù.

Il docente di letteratura che non si interessa alle parole di fini poeti e letterati, e forse anche ai meno fini, più che essere sollecitato a presentarsi, andrebbe espunto dalla scuola, forse. 

Mi permetto, per finire, di sottoporVi due questioni (non uso le parole riflessioni e suggerimenti con precisa volontà):

- nessuno insegna a leggere la poesia, a riconoscerne la struttura e le figure retoriche. A scuola si fa la parafrasi, si allena la memoria, ma l’atto della lettura (interiore, per se stessi) non è allenato. E qui risiede, a mio modesto parere, una delle ragioni dello scarso pubblico di “ascoltatori” (non lettori) della poesia;

- vendere libri in occasione degli eventi culturali può essere difficile sotto il profilo organizzativo e magari apparire sconveniente. È necessario, tuttavia, a mio avviso. 

Vi abbraccio e spero di (ri)vedervi presto. Magari a Milano a raccogliere ossigeno per reggere alla cappa beneventana».

Antonio

* * *

Caro Antonio, prima di tutto grazie per questa preziosa sollecitazione densa di spunti cui ho ritenuto di dover rispondere in maniera articolata.

Consentimi una breve contestualizzazione nel mio vissuto dell’evento “Atlante della nuvole”.

Come sai, nei primi anni Novanta, fresco laureato (con una poetessa, Biancamaria Frabotta, più volte evocata nella rassegna, su un poeta grandissimo), tornato a Benevento, per reggere la “cappa beneventana”, promossi degli incontri a casa mia in cui si leggeva poesia “a tema”. Da quegli incontri nacque “la rosa necessaria” (il nome lo propose Giovanni Varricchio) che iniziò a promuovere incontri sulla poesia o con poeti (o anche scrittori). Poco dopo uscì una “fanzine”, poi fattasi rivista, durata fino al 1999 con lo stesso nome. Lungo iato. Nel 2010 Raffaele Del Vecchio mi propone di curare una rassegna di poesia. Nasce “Poesia in forma di rosa”, che fu, purtroppo, evento rimasto isolato. Io decidevo intanto che era maturo il tempo per essere anche poeta, non solo amante della poesia. Dal 2013 sono usciti brevi plaquette poetiche. Nel 2022 entro in contatto con Casa Naima, qualcosa di più di una libreria indipendente portata avanti con coraggio e passione da Domenico Cosentino e Flavia Peluso. Diciamo un luogo di cortocircuiti intellettuali e creativi. Scopro che un gruppo di persone, il cui collante è Antonella Rosa (l’anima del Premio “Marco Di Meola”), si incontra per leggere poesie. In punta di piedi, incuriosito, inizio a partecipare agli incontri, che diventano per me un modo per ritessere fili interrotti della mia vita. Quella esperienza è divenuta un cenacolo poetico ribattezzato “Mandel” (Mandorla) in onore di Paul Celan. Lo scorso anno Raffaele Del Vecchio, divenuto Amministratore di Sannio Europa, mi ha chiesto se volevamo organizzare un ciclo di incontri di poesia. Io ho immediatamente coinvolto Domenico e Antonella. Insieme abbiamo pensato come strutturare l’evento e quali poeti e poetesse invitare. Ho ribadito che mi piacerebbe diventare parte di un insieme più grande in cui ci siano, in relazione e sinergia, il “Premio Strega Poesia”, il Pre-mio “Marco Di Meola” (Telese), il Premio “Mezzogiorno Poesia (Circello), il Premio “Nero su Bianco” (San Marco dei Cavoti). Una “rete” della poesia. Intanto, mi veniva affidata la Stanza per la poesia nella Biblioteca Provinciale in cui avviavo, in preparazione de l’Atlante, “Luogo comune”. 

Perdonami questo lungo cappello, ma mi è prezioso. È mia abitudine mettere “miliari” lungo il tracciato della mia esistenza intellettuale, che con te ha avuto un incrocio importante. 

E passo a rispondere analiticamente alle tue sollecitazioni.

Grazie ancora per la valutazione che dai della manifestazione, «non asfittica». So, avendo partecipato all’esperienza di «Sonar» quanto tu ritenga necessario uscire dai confini, appunto “asfittici”, del localismo. Condivido l’aspirazione, anche se, probabilmente a differenza tua, ritengo necessario valorizzare quanto di buono creativamente esiste e metterlo proprio in contatto con esperienze altre e alte. Per questo, ad esempio, nel 2010 volli dedicare un omaggio a Giuseppina Luongo Bartolini e a Sandro Pedicini, due belle voci della poesia sannita. 

Muovi dei rilievi critici alla mia constatazione, amara sicuramente ma anche aperta, della pressoché totale assenza di docenti di lettere agli incontri. 

Lungi da me aver pensato che fossero tali incontri per loro. Per me l’arte si dona naturalmente a tutti. Ma il mio ragionamento è il seguente: come è sperabile che un ragazzo possa provare un minimo di curiosità per la poesia del proprio tempo se questa curiosità non la prova nemmeno chi ha strumenti e dovrebbe sentire quasi il dovere professionale di conoscerne quanto meno i contorni? Posso dirti con certezza che un bravo docente di italiano della scuole superiore non conosce per nulla o quasi per nulla quanto scritto o teorizzato in Italia (lasciamo perdere il resto del mondo) dagli anni Ottanta in poi. A parte Alda Merini e, oggi, Franco Arminio, che sono eccezioni a conferma della regola, se vogliamo letti più per motivi extrapoetici (e questo al di là del valore indiscutibile di molte delle cose che hanno scritto). 

Faccio spesso l’esempio di mia madre, una buona docente di lettere in un istituto tecnico che, almeno fino alla prima metà degli anni Settanta, sentiva il dovere di conoscere almeno le voci più importanti della poesia italiana di quegli anni, motivo per cui avrei trovato prime edizioni dell’ultimo Montale o di Quasimodo negli scaffali su cui avviarmi lungo la via amorosa della poesia che avrebbe segnato la mia vita. 

Per me è paradossale che uno studente italiano legga e studi decine di testi poetici, dalla scuola primaria all’ultimo anno delle Superiori, e poi questa forma di espressione dell’umano scompaia del tutto, divenendo impensabile per lui acquistare e leggere un testo di poesia o andare ad ascoltare un poeta che legge i propri versi. 

È per questo che l’anno prossimo, se l’esperienza come mi augurò proseguirà, porteremo “Maometto alla montagna”, cercando di utilizzare la buona volontà e l’entusiasmo di alcuni docenti e facendo quel lavoro che tu evochi, dicendo che a scuola probabilmente la poesia si “insegna male”. 

Come ha detto Pecora, però, bisogna partire sicuramente dall’emozione (anche se la poesia non è solo emozione). Ovvero, bisognerebbe mettere i ragazzi, come fa il prof. Keating nel sempre memorabile film di Peter Weir, di fronte alla potenza trasformativa della poesia. E solo dopo passare alla comprensione attraverso apparati o rilievi critici. Il docente, innamorato dei versi, il nudo testo, un ragazzo che può trovare in quelle parole articolate “musaicamente” (e in genere così lontane dalla “lingua d’uso”) nutrimento per l’anima, verità e bellezza. 

Infine, sì, hai ragione, è importante che ci siano i libri di poesia. Il prossimo anno troveremo un modo per risolvere questa questione, più complessa di quanto si possa pensare.

Chiudo con una road-map del futuro prossimo: immaginiamo un evento che valorizzi le voci già strutturate, alcune delle quali con riconoscimenti importanti, della poesia sannita; a settembre riprenderemo gli incontri de La stanza della poesia e del cenacolo Mandel e inizieremo a strutturare la seconda edizione de l’Atlante delle Nuvole. 

Con il consueto piacere di aver dialogato con te, ti abbraccio.

Nicola


lunedì 10 marzo 2025

Riflessioni su alcune cose ascoltate intorno ad un libro sul giovane Berlinguer

 

Non parlerò del libro , che non ho (ancora) letto, ma di alcune delle parole ascoltate intorno al libro nella bella serata organizzata in uno di quei posti che rendono ricca una piccola città come Benevento dell’unica cosa che serva: pensiero, riflessione. 

Mia figlia, che eccezionalmente ha deciso di venire con me (per distrarsi dagli impegni di questa stagione della sua vita), ogni tanto mi vedeva assorto e con la testa china. «Che hai?» «Dissento…». Infatti, in una resa dei conti con un pezzo della mia storia, proverò ad abbozzare alcune considerazioni su due degli interventi ascoltati (quelli, appunto, da cui percepivo forte il mio dissenso).
Andrea De Simone, politico di lungo corso, ha introdotto il suo libro con quattro rilievi:
1) oggi la politica è solo comunicazione;
2) i giovani, presenti copiosamente alla presentazione del libro ovunque, hanno bisogno di un’altra politica;
3) è esistito un tempo in cui la politica era “comunità di affetti”, fondata sul “sentimento”;
4) bisogna ricreare le condizioni perché la politica torni ad essere ciò che è stata in quel tempo glorioso.

Non sono precisamente le sue parole, e mi si perdonerà, ma credo che nessuno potrebbe considerare tale sintesi infedele. Umanamente credo sia normale idealizzare il passato. Leopardi lo considera un bias (non utilizza il Recanatese questo termine) della mente umana, che depura gli accadimenti del loro lato sgradevole. Per altro, in chi è avanti negli anni il passato coincide inevitabilmente con un’epoca più gloriosa del corpo, dei progetti, con l’avvenire (e il sol dell’avvenire!) innanzi. De Simone si è presentato come “rivoluzionario di professione”. Qui mi sono reso che anch’io oramai sono vecchio, ma che tale vecchiaia in me ha coinciso con l’acquisizione di realismo e pudore. Considero poco decoroso oggi baloccarmi con miti meravigliosi ma che dobbiamo avere l’onestà intellettuale di guardare come tali, senza fingere che possano diventare modelli operativi. E, mi chiedo, che senso ha presentarsi come “rivoluzionari di professione” in un’epoca in cui la parola “rivoluzione” si può utilizzare solo in una pubblicità per le macchine? Anche la tradizione cui De Simone è appartenuto ha dismesso ogni ambizione rivoluzionaria, per altro presente solo in frange minoritarie, nell’immediato secondo dopoguerra, accettando di essere nella prassi un partito riformista.
Cosa contesto ai quattro rilievi di De Simone? Condivido il primo punto, ma a sua differenza ritengo che bisogna lavorare su ciò che è. La politica, per quanto debba nutrirsi di “utopia” (spero di tornarci in altro post), deve poi agire nella realtà data. D’altronde, la grande filosofia del secondo Novecento ci dovrebbe insegnare qualcosa sul mondo come “rappresentazione” (o simulacro o spettacolo). Quindi, è necessario capire questo tempo, senza volgersi con posture elegiache al passato.
I giovani? Quelli che vedo ogni giorno a scuola sono del tutto disinteressati alla politica, a partire da mia figlia, educati sin dall’infanzia a pensarsi come individui protesi a realizzare se stessi professionalmente. Anche in questo caso, come illudersi che la deriva avviata negli anni Ottanta non abbia sortito effetti di lunga durata su visioni del mondo e psicologie? Ma anche in questo caso non ha senso lamentarsi. Ah, dimenticavo… Buona parte di quei giovani, quando vota, vota per Giorgia Meloni o partiti di destra. Come in America ha votato per Trump.
Il terzo rilievo è quello che mi ha più scosso. Ma davvero il PCI è stato prima di tutto una “comunità di affetti” è non un partito, sorto nel ferro e nel sangue dello scontro del primo dopoguerra e della guerra civile della seconda? Non era prima di tutto una macchina modellata sulla fabbrica fordista con lo scopo di realizzare ciò di cui la storia è gravida (il comunismo), sulla base di una conoscenza scientifica delle leggi economiche? E per farlo non erano disposti quegli uomini al servizio del divenire storico di accettare ogni aberrazione ordinasse Mosca (e questo fino alla metà degli anni Sessanta)? Insomma, possibile che di una storia complessa, importante, per cui provare massimo rispetto, dobbiamo salvare la dimensione degli affetti, del “sentimento”? E Karl Marx che cosa avrebbe pensato, lui che per tutta la vita ha cercato proprio di limitare il fattore “umano” nel progetto di emancipazione dell’umanità sfruttata? Forse era altro che andava salvato da quella classe dirigente che decise di buttare via, sul finire degli anni Ottanta, il bambino e l’acqua sporca, senza rendersi conto che si poteva, si dovevano salvare pezzi di quella gloriosa storia. Ne nacque, invece, e credo che l’autore del libro sia stato parte di quel progetto, un partito senza arte né… parte, senza autori di riferimento né soggetti sociali privilegiati in nome dei quali e per i diritti dei quali battersi, un partito liberale, europeista, atlantista, che aboliva, insieme al doveroso rinnegamento del comunismo nella sua variante sovietica, d’altronde in via di disfacimento, ogni alternativa politica ed economica allo stato di cose esistente, spianando la strada al trionfo del pensiero unico. Si badi: non erano facili le alternative. La crisi della metafisica è una cosa che va presa sul serio. La morte di Dio annunziata da Nietzsche è morte di tutti gli dèi, anche di quelli camuffati da ideologie. Io sembro incarnare quel “senno del poi” che rende tutti geni. No, lo so che era difficile, ma la resa fu senza pensiero, senza travaglio, ingloriosa.
Inevitabile rigettare anche il quarto punto che De Simone ha posto all’attenzione del pubblico che affollava la saletta: ricreare quella politica che il PCI di Berlinguer ha incarnato. Non accadrà. Darsi al proprio tempo significa cercare strade nuove alla rappresentanza: il passato deve nutrirci ma mai in maniera emulativa. Quel partito era chiesa e famiglia, fabbrica fordista, orizzonte totalizzante di senso. L’ultimo film di Moretti lo ha detto con grazia e poesia. 

 E, quindi, mi collego a quanto detto da Antonella Pepe, la cui passione politica è patente e sincera. Ma, le chiedo, è possibile fondare questo progetto di rifondazione di una politica diciamo “di sinistra” sulla creazione di un “fronte” costituzionale antifascista? Il mondo, almeno da quindici anni a questa parte, non ha conosciuto una clamorosa rottura di vecchie identità politiche a causa dell’insorgere di nuovi problemi (di trasformazioni strutturali, direbbe il buon Marx) che andrebbero “pensate” con categorie non meramente politiciste (o, peggio, emotive)? Davvero mettere insieme lacerti di liberalismo conservatore, socialismo ultrariformista et similia ci salverà da Trump, da Meloni e dalla Weidel?
Personalmente, dopo il tentativo di esperire una via italiana al populismo, ho ripreso semplicemente a studiare e capire il mio tempo. Qualunque progetto politico per il futuro non potrà essere meramente “reattivo”. Il ritorno dei fantasmi del fascismo, in America nella sua forma più orribile, non è nato per cattiva sorte. Rossana Rossanda diceva che la storia nasce dagli elementi che ci metti dentro. Insomma, il caso non esiste. Il nostro compito è comprendere senza inutile nostalgia per un passato che non tornerà. E progettare politica a partire da cose semplici: come interpretiamo la realtà? Per cosa e, soprattutto, per chi intendiamo batterci, sapendo che saremo sempre “di parte”, “partigiani”, “partito”? Bando ai sentimentalismi. Non di grigliate e feste con “amici” abbiamo bisogno, ma di strumenti perché l’anelito sincero (questo credo accomunasse tutti i presenti di ieri) alla giustizia, ad una vita degna per tutti gli uomini, possa concretamente realizzarsi.





giovedì 6 marzo 2025

UE, USA, Russia, Ucraina, Scurati (troppe cose!) e me (parva res)

 


Poiché evidentemente, malgrado le prese di posizione pubbliche, il mio punto di vista sui grandi eventi contemporanei non è chiara (per quanto esso possa contare…), ritenendo alcune delle voci che mi sollecitano (tra altre indegne di risposta), scrivo brevemente e per punti, in modo da non lasciare adito a dubbi interpretativi, una riflessione, consapevole che stiamo vivendo uno snodo importante della storia planetaria che ha il merito di strappare cieli di carta, maschere dietro cui troppi hanno cercato rifugio. 

1) alcune riflessioni svolte già nel 2022 per spiegare ai nostri allievi gli accadimenti relativi alla guerra russo-ucraina testimoniano la lettura, che all’epoca era minoritaria e veniva stigmatizzata. In sintesi: Putin è un autocrate, la Russia è una “democratura” (l’ha detto anche Eric Gobetti qualche giorno fa a Casa Naima), ma ha cercato legittimamente per anni di tutelarsi rispetto all’espansione ad Esta della Nato, frutto di una hybris politica sorretta da una volontà egemonica cui l’UE si è prestata senza alcuna resistenza. L’obiettivo della guerra con la Russia da parte degli USA, per interposta Ucraina e con le truppe ausiliarie europee era duplice: indebolire la Russia, indebolire l’UE. Il primo obiettivo è stato clamorosamente fallito. Il secondo, purtroppo, raggiunto in pieno. Soprattutto se guardiamo ai parametri economici, che fanno il paio con le scelte protezionistiche di Trump, imposte senza concertazione, come sempre in nome degli interessi americani. Avevamo ragione. Ma è di nessuna consolazione. Probabilmente l’episodio simbolicamente più significativo della “guerra segreta”, occultata da quella palese, è stato il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream (pare ad opera di agenti ucraini con copertura polacca). Il matrimonio tra Europa (Germania) e Russia non si aveva da fare… 

Ciò non toglie il rispetto assoluto per un popolo invaso e sofferente. A patto di ricordare che tal invasione è stata extrema ratio seguita ad un colpo di Stato pilotato da Washington (Euromaidan, 2013), dopo il quale si iniziò a vessare la minoranza russofona, concentrata ai confini con la Russia, non disdegnando l’uso di milizie neo-naziste. Il presidente eletto nel 2019 Volodymyr Zelens’kyj si è prestato, incautamente, al gioco statunitense. Poteva risparmiare al suo paese un’inaudita sofferenza se solo avesse capito davvero quanto era in atto. Il libro più illuminante su tutta la vicenda è quello di Todd (La sconfitta dell’Occidente). 

2) L’elezione di Trump, il ribaltamento della strategia nei confronti della Russia, improvvisamente divenuta partner affidabile, la scelta di imporre all’UE un vassallaggio vergognoso o essere messa da parte, stanno cambiando in maniera impetuosa (al punto che gli stessi analisti politici fanno fatica a capire) lo scenario geo-politico e economico planetario. L’UE, in maniera come sempre balbettante (essendo essa un ircocervo rimasto sempre a metà del suo percorso: né confederazione né federazione, finanche priva del fondamento di ogni organismo politico degno di questo nome, una Costituzione), ipotizza una via europea alla crisi, ostinandosi a voler difendere un’Ucraina che oramai sarà smembrata e colonizzata (è troppo evocare il patto Ribbentrop-Molotov in vista dell’invasione polacca per utilizzare il metodo analogico?). Insomma, la storia, come intuito dal 2001, si è impetuosamente rimessa in moto, smontando la favola disneyana della sua fine nel pacifico regno delle merci (e del “gioco”, direbbe Baricco). Dunque, nel “mundus furiosus” finalmente i popoli europei sono giunti al vero bivio, dopo essere stati eterodiretti (l’UE e l’euro sono nati per volere degli USA, per quanto mi riguarda è evidente), possono divenire adulti, uscire dalla condizione di minorità seguita alla catastrofe della seconda guerra mondiale. Hegel ci ha insegnato in concetto di “astuzia della storia” o “eterogenesi dei fini”. Io resto convinto, come Streeck (Globalismo e democrazia), che solo piccoli stati possano garantire i diritti veramente importanti (quelli sociali) e una democrazia sostanziale. Quindi, resto scettico su un grande organismo politico europeo. Ma se questi accadimenti chiariranno cosa l’Europa vuole fare da grande sarà un bene in ogni caso. La via maestra resta quella costituente, in caso di ulteriore (e prevedibile) bocciatura, la creazione di una confederazione che restituisca ampie autonomie agli Stati membri.

3) Antonio Scurati, che apprezzo moltissimo come romanziere, di cui non sempre condivido prese di posizione politiche (a dire il vero quasi mai), ha scritto un lungo e appassionato articolo in merito alla discussione sull’aumento della spesa militare che, ancora una volta in maniera strabica, i leader europei ritengono di dover perseguire come risposta al rovesciamento trumpiano del tavolo. L’autore di M sposta, però, il piano della sua riflessione, ricordando come il pacifismo (ideologia meritoria ma che non può diventare piattaforma politica) e l’invecchiamento demografico rendano impensabile che qualcuno possa difendere l’Europa, come accadde nel 1943, in caso di invasioni. Non è una riflessione “bellicista”, nessun retaggio dannunziano, nessuna esaltazione della guerra come “igiene dei popolo”. Solo un memento: ci sono epoche della storia in cui per avere la pace è necessario combattersi per difendersi. E Scurati incardina la sua riflessione, tragica indubitabilmente ma anche realistica, sull’eredità della Resistenza: la rivendica nell’imminenza dell’80° anniversario. Io mi riconosco pienamente nelle sue parole. E spero che tutti i chiarimenti fatti servano non dico ad evitare l’odio di insulsi personaggi quanto a rendere chiara la mia posizione agli amici che da me dissentono.