giovedì 3 novembre 2016

Verso il referendum costituzionale IV [Europa]


Bene ha fatto l’onorevole Giovanni Zarro nella sua rubrica di ieri a rimarcare come il referendum del 4 dicembre vada inquadrato in un’ottica europea. Sarebbe pericoloso, scrive, pensarlo come una vicenda che riguarda solo l’Italia, stante l’integrazione sempre più spinta e, soprattutto, la delega all’Unione su grandi questioni. La conclusione di Zarro è che solo il Sì garantisca la prosecuzione della spinta riformatrice che “piace” all’Europa. Se dovesse vincere il No, al contrario, Grillo diventerebbe il «monarca d’Italia».
Proviamo a chiederci, sulla scorta di queste riflessioni, due cose.
La prima: davvero vogliamo che sia l’Europa a continuare la sua opera di “stabilizzazione” e “contenimento”, come sostiene Zarro? Questa Europa che è parsa tutelare soprattutto gli interessi dei grandi potentati economici, l’Europa “delle banche”, se volessimo usare una semplificazione (ma efficace) dei media? E se, dunque, questo referendum non fossa la prima vera, seria occasione per mettere in discussione un modello “carolingio” che ha fatto dell’euro una moneta franco-tedesca e ha drenato capitali dai paesi mediterranei a quelli del centro-nord, come dimostrato da Emiliano Brancaccio da diversi anni? L’onorevole Zarro ci dà il destro per ribadire che il No del 4 dicembre sarà non contro l’Europa ma contro questa Europa che non ci piace, che ha prodotto (o amplificato) le povertà e nessun beneficio ha portato all’economia italiana. Lo vogliamo dire con le autorevoli parole di Gustavo Zagrebelsky: «Noi di­cia­mo che do­vreb­be es­se­re que­sta l’ora di una ri­scos­sa de­mo­cra­ti­ca per li­be­rar­ci dalle co­stri­zio­ni della fi­nan­za e della spe­cu­la­zio­ne fi­nan­zia­ria che im­po­ne ri­for­me come le vo­stre, ri­for­me che pe­sa­no sui più de­bo­li per ga­ran­ti­re gli in­te­res­si dei più forti: l’ora per ri­pren­de­re se­ria­men­te, e con largo coin­vol­gi­men­to de­mo­cra­ti­co, il di­scor­so sul­l’U­nio­ne eu­ro­pea come fe­de­ra­zio­ne di po­po­li. A chi dice “ce lo chie­de l’Eu­ro­pa”, po­nia­mo a no­stra volta la do­man­da: qual è l’Eu­ro­pa alla quale vo­le­te dare ri­spo­ste?».
La seconda: il rischio di un Grillo «monarca d’Italia». Da questa notazione emerge la “cattiva coscienza” dei riformatori nostrani, tripla addirittura: 1) da una parte si riconosce come il “combinato disposto” abbia creato un monstrum (nella eccezione corrente e in quella etimologica), con il premio di maggioranza sproporzionato che falsa completamente la rappresentanza popolare (chiunque ne benefici nelle elezioni del 2018); 2) parlando di Grillo, che non ha cariche e non ne avrà mai, si riconosce implicitamente che il sistema che produce l’Italicum dà enorme peso di scelta dei candidati a chi detiene le leve dei soggetti politici (partiti o movimenti che siano); 3) si accusa di personalizzare la campagna elettorale dimenticando non solo che Renzi è stato il primo a farlo («È sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica, marzo 2016), ma che a vederla come una questione “personale” sono proprio gli esponenti del PD. Insomma, la paura che sempre di più (soprattutto ora che i bookmaker hanno ritoccato al ribasso le quote del "no", da 1,73 a 1,67, mentre il "sì", da quota 2,00 a 2,10, e tutti i sondaggi danno per stabili i 4 punti percentuali di distacco tra il No e il Sì) attanaglia il partito di governo è che il 4 dicembre possa essere un “dies Alliensis”, un giorno sciagurato, una sconfitta il cui “utilizzatore finale” sia il “barbaro” Grillo con la sua orda “ignorante e fascista”. Ecco la personalizzazione condotta al suo parossismo. Moltissimi militanti del PD non voteranno per il Sì ad una riforma che per lo più ignorano ma contro il loro spauracchio. Per altro la sconfitta del 4 dicembre potrebbe far cadere in un devastante effetto domino la spinta riformatrice, il governo e il PD stesso. Marco Revelli nel suo ultimo, lucidissimo saggio (almeno per ciò che pertiene il renzismo...) Dentro e contro. Quando il populismo è di governo, mostra come Renzi sia come un giocatore di poker, costretto a rilanciare continuamente la posta a ogni mano  perduta. Egli ha creato un rapporto verticale, si è voluto “uomo solo al comando”. Ciò che risulta sconcertante (per un attimo dismetto gli abiti dell’attore politico e indosso quelli dell’osservatore) è come un intero gruppo dirigente, anche locale, si sia legato mani e piedi a questa “avventura” (mai termine fu più appropriata). Simul stabunt vel simul cadent?

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