Il
4 dicembre l’Italia sarà osservata speciale. Gli occhi del mondo saranno
puntati sul nostro paese per cercare di capire la direzione di marcia che esso
ha deciso di intraprendere. Da una parte, votando sì alla riforma
costituzionale Boschi-Renzi, l’Italia deciderà di seguire le indicazioni
contenute, ad esempio, nel documento del 28 maggio 2013 della Jp
Morgan, storica società finanziaria
(con banca inclusa) statunitense. Vi si trova scritto:
«The political systems
in the periphery were established in the aftermath of dictatorship, and were
defined by that experience. Constitutions tend to show a strong socialist
influence, reflecting the political strength that left wing parties gained
after the defeat of fascism. Political systems around the periphery typically
display several of the following features: weak executives; weak central states
relative to regions; constitutional protection of labor rights; consensus
building systems which foster political clientalism; and the right to protest
if unwelcome changes are made to the political status quo. The shortcomings of
this political legacy have been revealed by the crisis. Countries around the
periphery have only been partially successful in producing fiscal and economic
reform agendas, with governments constrained by constitutions (Portugal), powerful
regions (Spain), and the rise of populist parties (Italy and Greece)».
Questa
potente entità finanziaria, simbolo del capitale globalizzato, coinvolta in
grandi scandali come quello dei mutui subprime, con interessi corposi nel Monte
dei Paschi di Siena, ritiene molte costituzioni europe viziate da elementi
“socialisti” (nella difesa dei diritti del lavoro), esecutivi deboli, potere
eccessivo alle regioni rispetto allo Stato centrale. È evidente che nessuno sta
affermando un rapporto causale fra il documento e la riforma Boschi, che si
presenta anche come il compimento di una dinamica tutta italiana (avviata nel
1979 da Bettino Craxi e proseguita in era berlusconiana). Detto questo, però,
desta stupore che gli elementi cardine della riforma sono esattamente quelli
descritti nel documento: l’implicito rafforzamento di un esecutivo che, grazie
al disposto combinato riforma costituzionale/riforma elettorale, può
controllare, avendo bisogno della fiducia di una sola camera in cui siederanno
il 70% di eletti scelti da partiti, il lavoro del legislativo, senza dover
neanche più ricorrere al sistematico uso della fiducia; il rafforzamento dello
Stato centrale, grazie alla cd. clausola di supremazia (di cui all’art. 117,
comma 4, del testo di riforma costituzionale). Se ricordiamo come il governo
Renzi abbia varato anche il cd. Jobs Act che è stato giudicata molto positivamente dalle istituzioni economiche
internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca Centrale Europea e l'OCSE si completa il quadro.
Chi voterà sì avrà
il plauso delle élite europeiste, ben rappresentate dal commissario europeo agli Affari Economici, Pierre
Moscovici, il quale ha paventato una
«minaccia populista» in caso contrario.
Infine, chi voterà sì avrà la benevola benedizione degli USA,
che sostengono le politiche riformatrici del governo Renzi.
Votare no, allora, significa, a contrario, contrastare le
politiche del “finanz-capitalismo” (Luciano Gallino) incarnate da JP Morgan,
difendendo i valori sociali (di matrice cattolico-democratica e
social-comunista) della Costituzione del 1948, contestare “questa” Europa
“carolingia” guidata dalle grandi banche e dotate di una moneta sostanzialmente
franco-tedesca, che ha causato l’impoverimento di tutti i paesi dell’area
meridionale, rivendicare a pieno la sovranità contro le ingerenze dei “re del
mondo”.
Paolo Maddalena rispondendo alla domanda che gli si poneva (a
cosa mira questa riforma) ha risposto senza mezzi termini:
«Appropriarsi dei beni esistenti, soprattutto
dei Paesi più deboli e periferici. E noi, ogni giorno, stiamo svendendo pezzi
importanti del nostro territorio oltre a privatizzare beni comuni e diritti
basilari. Ci impoveriamo. L’articolo I della nostra Costituzione dice che siamo
una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, tra i recenti dati su disoccupazione
e precarietà, possiamo affermare che stiamo spogliando il lavoro dalla sua
funzione e sostituendolo col massimo profitto. È immorale e contro l’etica
repubblicana».
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