giovedì 15 marzo 2012

scripturae


Le mie prime prove di scrittura originale sono probabilmente delle poesie che risalgono alle scuole medie, dattiloscritte sulla macchina da scrivere di mio nonno, e conservate da mia madre. Dopo un lungo periodo di “latenza” e di totale allergia alla scrittura, il cui emblema era certamente la mia grafia infantile e da me detestata, ci fu un’agenda del 1984 (avevo diciassette anni, frequentavo la seconda liceo del classico), su cui incollai La colazione sull’erba di Manet (all’epoca le mie passioni principale erano i fumetti e la pittura). Una sorta di diario, con dentro anche miei disegni, ritagli di giornali, minute di compiti scolastici. Nell’estate dello stesso anno, iniziai a redigere uno zibaldone su un quadernone… “Pensieri” li chiamai. Ininterrottamente, da allora, sebbene con intensità diversa, fino all’aprile del 1992 su quaderni, da allora in poi sul computer portatile regalatomi da mia sorella per scrivere negli anni precedenti la tesi, ho tenuto sempre questo diario/zibaldone. Negli ultimi anni, come già scritto, la nascita dei social network ha messo in crisi questa scrittura, riducendola al lumicino. Le parole che scrivo quasi quotidianamente su questo blog ereditano, in qualche modo, la funzione indagatrice ma anche protrettica che ha avuto il diario per molti anni.
L’infatuazione infantile per la poesia sarebbe rinata, con maggiore consapevolezza, nello stesso giro di anni della scrittura diaristica. Il primo nucleo di A day in the life dovrebbe risalire agli ultimi anni di università (realisticamente il 1989). Ci sono versi che mi piacciono ancora: «Taceranno nei campi i trattori / alle stelle…». La poesia fu uno straordinario strumento di elaborazione del lutto per la perdita di mia madre (avvenuta il 24 gennaio del 1990). Quando volli raccogliere i versi scritti in quegli anni in una plaquette artigianale, la sezione più importante era quella dal titolo floydiano “Atom Heart Mother”. Ereditavo mia madre attraverso quei versi, pacificandomi con la sua assenza/essenza. La raccolta si chiamava Carne/vale. In copertina c’era una vignetta di «Dylan Dog», con un topo che correva tra gli astanti di una festa in maschera. Raccolsi in un’altra plaquette tutte le poesie scritte fino al 1993 e le vecchie. Il titolo, che esprimeva una mia struttura psichica profonda, era Nell’attesa di un compimento. C’era un disegno ripreso da HP e Giuseppe Bergman di Milo Manara. Le poesie dal 1994 al 1996 le intitolai Peraspera. C’era un bellissimo disegno di Moebius. La copertina la feci stampare in tipografia. Da allora, a parte una raccolta extravagans, cose non più stampate ma editate in pdf e mandate agli amici: Per la vita nuova (versi che hanno accompagnato il mio ritorno alla pratica religiosa tra la fine degli anni Novanta e il nuovo secolo), Conversione permanente (fino al 2008), e una Peraspera del 2009, ne varietur, e collocata infatti su questo blog in quanto distillato di ciò che io considero il meglio del mio lavoro di poeta. 
Oltre a questo, opere compiute le posso considerare L’arte del transito, una raccolta di aforismi del 2009, e due “romanzi”, frutto di una rielaborazione creativa del materiale diaristico. Il primo, del 2004, è Storia della mia conversione; il secondo (il titolo, rubato al Testamento di Tito di De Andrè è Non disperdere il seme) dedicato alla mia sessualità problematica. Infine, nel 2009 ho raccolto, rendendoli disponibili sul blog, articoli e saggi apparsi nel corso degli anni su riviste, giornali locali, webzine: In quieta ricerca
Perché tedio i miei eventuali lettori con titoli e date? Perché già quest’estate avevo deciso che una parte di questa produzione dovesse avere un “corpo” di carta, come i miei vecchi quaderni, con tutti gli errori e i peccati inemendabili che di solito hanno le opere cartacee. Vorrei che gli studi e le elaborazioni di questi anni deponessero un cippo, una pietra che possa segnare il percorso fatto, anche perché è maturata la percezione (ecco che torna una parola antica, di cui ho imparato a diffidare) di un “compimento”, di una fase chiusa.

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