domenica 4 marzo 2012

giannoniani


Un giorno, quando insegnavo al Giannone, dove realisticamente tornerò nei prossimi anni, chiacchierando con Amerigo, emerse l’idea di creare un’associazione di ex alunni. Ho sempre avuto la fisima della “memoria” all’interno di un organismo… Quando ero a Colle Sannita, ad esempio, creai una specie di angolo (non so se esista ancora) con foto e diplomi degli alunni. Condividemmo questa idea con Gaetano ed altri amici. Nacquero, dopo una complessa gestazione, “i Giannoniani”. Come è giusto, debbono essere altri a giudicare l’operato di questa associazione. A me fa piacere, però, aver mantenuto fede, insieme agli altri, all’idea di farla essere non tanto e non solo un luogo “amarcordiano” ma un laboratorio di elaborazione culturale.

[Mi iscrissi al Giannone senza neanche pensarci. Mia madre, mio padre, le mie sorelle venivano dal Classico. La matematica, lo avevo già capito alle medie, non sarebbe mai stato il mio mestiere. Ho ricordi belli di quegli anni. Ebbi un docente straordinario di greco e latino nel triennio. Ascoltavo in estasi le sue lezioni su Lucrezio e Cicerone. Fu sprone importante, insieme all’esempio materno, alle mie scelte future. Eppure non mi sarei interrogato né allora né dopo, all’Università, sul senso del mondo classico per il presente. È quasi come se ci fosse una divaricazione netta tra lo studio del passato e la comprensione del presente].

Debbo al lavoro di questi anni, con l’associazione la possibilità di sanare una frattura nella mia cultura. Qualche giorno fa, si è svolto uno dei nostri seminari. Per l’occasione avevo lavorato proprio su questa mia frattura, che, spero, si avvii a sanarsi, proprio nella direzione che ho intravisto in questo periodo di riflessione. Mi sono accorto, infatti, che tutte le categorie elaborate dal grande pensiero politico del XX e del XXI secolo, nascono dal serrato confronto con il mondo classico. I casi novecenteschi più emblematici sono quelli dello Schmitt del dopoguerra e della Arendt. In entrambi i casi, si tratta di rivitalizzare aspetti del mondo antico (essenzialmente greco) per comprendere il presente. Non si tratta di una banale e scontata “eterna” attualità del classico. No. Possiamo, invece, divenire “eredi senza testamento”, come scrive la Arendt citando Char, attraverso una sorta di filologia creativa al servizio della vita. Non casualmente ho potuto integrare nel mio lavoro tutte le letture più impegnative degli ultimi anni di teoria politica: Toni Negri, che mi interpella, malgrado la sua antropologia immanentistica che mi ripugna, Giorgio Agamben, pensatore enigmatico che ambirei conoscere e che invidio anche per le sue frequentazioni, Roberto Esposito, cui ho dedicato tutta l’estate scorsa, e che in maniera appartata e rigorosa sta ridefinendo tutte le categorie politiche (impolitiche) che rendano possibile davvero andare oltre il Novecento. Ebbene, tutti questi pensatori, che il mondo ci invidia, stanno “pensando” il presente (e il futuro) sulla base di parole antichissime: impero, homo sacer, immunitas, communitas, bios… Ho avuto la sensazione che, finalmente, due stanze non comunicanti della mia storia culturale finalmente si aprissero l’una all’altra, dando significato alle ore trascorse a tradurre Virgilio e Tacito, nauseato.
Non so se, quando Caterina dovrà fare le sue scelte, il Liceo Classico esisterà ancora. Io mi auguro di sì. Se mi chiederà un consiglio, le dirò che solo il passato più diverso da noi ci dà gli strumenti per capire il nostro tempo e per dischiudere il sogno di una cosa. Anche se per ognuno di noi vale quanto già richiamato: «Notre héritage n'est précédé d'aucun testament». A ciascuno il compito difficilissimo di “ereditare”, senza essere risucchiati in un passato paralizzante e mummificato.

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