sabato 10 marzo 2012

fumetti


Dopo giorni in cui ho disatteso la disciplina della scrittura quotidiana, preso da una girandola di impegni tutti belli (la Libera Scuola, l’incontro con Alberto Asor Rosa, gli incontri di filosofia alla Luidig), oggi avrei voluto scrivere del mio rapporto col denaro ma, tornato dalla partita di calcio a sette, ho letto sulla bacheca di Gaetano della morte di Moebius… E, immediatamente, sono riandato al profumo del volume della Milano Libri che raccoglieva integralmente Il garage ermetico, e lo stupore che provai di fronte a quelle tavole, così diverse dal segno “americano” cui ero stato abituato dalla lettura assidua dei fumetti Marvel tradotti dalla Corno. Pur nella mia fedeltà al genere supereroistico, che tuttora dura, mi aprii, gradualmente, ad altro: iniziai a comprare «Metal Hurlant», «Totem»… Poi ci fu l’evento dell’«Eternauta», con i grandi argentini che già conoscevo da «Lanciostory», e poi «Comic Art», «Corto Maltese». Ho sempre avuto predilezione, oltre che per il fumetto americano (tra i classici, ovviamente, Kirby, John Buscema, John Romita, Jim Steranko, Barry Smith), per gli argentini come Alberto Breccia o Juan Gimenez. Poi, appunto, la scoperta del grande fumetto europeo, soprattutto francese, svettando Moebius su tutti per la capacità di “inventare” mondi, ma anche per la minuziosa ricostruzione del West in «Blueberry». Lo so, per i più sono nomi. Per me sono addirittura un’ipotesi alternativa di vita. Sognavo di diventare un disegnatore di fumetti. Conservo gelosamente le tavole prodotte fino a diciassette anni. Non ero dotato, ma mi impegnavo molto, studiavo, producevo schizzi, leggevo manuali, compravo i pennini, gli inchiostri… Il fumetto è stato il mio viatico alla lettura. 

[Nella mia stanza a Benevento, nella casa di Via dei Mulini, sistematicamente, quando i fumetti iniziarono ad essere tanti, portavo via gli inutili libri che mia madre vi teneva… Quando finivo i compiti, mi stendevo sul tappeto e leggevo o rileggevo senza annoiarmi mai i miei «Capitan America», «Devil», «L’Uomo Ragno». Se chiudo gli occhi, posso ricostruire intere tavole di Kirby o di Romita… Quell’immaginario mi ha plasmato. Mi ha insegnato, ad esempio, che è una frase stupida, seppur detta da un uomo che rispetto, quella che recita: «Fortunato il paese che non ha bisogno di eroi». Gli eroi servono ovunque. Ecco: quel mondo mi ha educato al senso dell’onore, del coraggio, mi ha dato una prima rudimentale tavola di valori che si intrecciava con quella familiare. Il super-eroe è la moderna incarnazione del “cavaliere”. Ho sempre sognato di essere un monaco o un cavaliere]. 

Qualche anno fa tenni un corso in dieci lezioni sul fumetto al Liceo Classico. Fu un’esperienza bellissima. Mi fece tornare con consapevolezza sui meccanismi di questa arte straordinaria. Negli anni, mi sono arricchito di conoscenze, e per fortuna il fumetto è divenuto definitivamente adulto insieme a me. Anche quel mondo di eroi che amavo, grazie a Miller, soprattutto, o a Moore. Grazie a Christian Mirra, ho scoperto i libri di Scott McCloud, che mi hanno illuminato su molte questioni che avevo solo intuito. Soprattutto, ora credo che il fumetto sia un mezzo espressivo con infinite potenzialità ancora da esplorare. E con una storia ancora tutta da raccontare. E, forse, la vita mi ridarà una possibilità per coniugare ciò che sono diventato con ciò che sarei potuto diventare. Mai dire mai… 
Intanto, grazie a chi, come Jean Giraud/Moebius, ci ha dischiuso “mondi lontanissimi”.

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