giovedì 15 marzo 2012

Heidegger e il nazismo


Spero di non abusare della tribuna che “Bmagazine” settimanalmente mette a mia disposizione per scopi personali. Per una volta userò il blog per rispondere ad una bella provocazione che parte dalle stesse colonne digitali di questo giornale, firmata da quel pirotecnico e talentuoso poligrafo che risponde al nome di Luigi Furno, di cui ho avuto modo di esaltare le doti creative qualche settimana fa.
È doveroso, però, inserire questa querelle in un panorama più ampio, che mi pare novità importante nella nostra città. Grazie a due iniziative nate autonomamente (Paradoxa di Yuri Di Gioia e Guido Bianchini, la Libera scuola di filosofia del Sannio), la filosofia è uscita dalle polverose aule scolastiche per immettersi nella vita, avendo l’onore delle cronache e suscitando, come in questo caso, reazioni veementi. 
Quando Guido Bianchini mi ha chiamato per Paradoxa, ci ho pensato… Come dare sensatezza a ciò che facciamo? Oramai ho deciso di fare solo cose che abbiano senso, senza divenire vittima delle “strutture”, delle forme. E, dunque, ho deciso non di parlare di un paradosso ma di presentarmi io stesso come un “paradosso”, abitare la filosofia, anche professionalmente, creando una Libera Scuola di Filosofia, insieme ad altri amici, ma attendendo, promuovendo, la sua fine e il suo superamento. Ho messo in conto che questo avrebbe potuto sembrare la piccola vendetta di un “principiante”, di un autodidatta, essendomi laureato in Lettere, e avendo, dunque, studiato per mera passione insorta successivamente la filosofia, la sua storia, i suoi problemi. L’incontro decisivo, dal punto di vista intellettuale, è stato quello con l’opera di Martin Heidegger, che continua ad essere il basso continuo delle mie ricerche, l’auctor cui torno periodicamente per la verifica dei miei strumenti. I problemi preliminari che Heidegger presenta sono due: aderì al nazismo e affrontò tematiche della massima astrattezza, in un linguaggio sempre più esoterico.  Questi due scogli giganteschi respingono eventuali lettori, per cui il pensiero di Heidegger è conosciuto, spesso anche da docenti universitari, attraverso sintesi che ne semplificano le intuizioni.
È impossibile riportare tutte le posizioni relative al nazismo di Heidegger. La mia posizione è la seguente (e Luigi Furno l’ha colta): il filosofo aderì al nazismo prima di tutto per ambizione personale, sperando di far carriera (come avvenne). Quindi si rivelò, come scritto da uno dei suoi migliori allievi, ebreo costretto ad emigrare in America, Günther Anders, uomo di assoluta mediocrità morale. Aggiungerei che Heidegger si illuse, per qualche anno, che il nazismo fosse una possibile risposta alla devastazione della modernità, in linea, dunque, con quella “rivoluzione conservatrice” che caratterizzò una parte della cultura tedesca tra le due guerre. Anche in questo caso la sua cecità è imbarazzante, oltre che, ovviamente, ingiustificabile. Ma lo stesso Anders ammetteva la grandezza speculativa del maestro, tanto grande da aver creato, a mio avviso, l’unico pensiero in grado di indicare una via d’uscita dalla modernità e dalle sue insanabili contraddizioni. Spero, dunque, di aver dato una prima risposta a Luigi Furno: la mediocrità morale e la cecità politica dell’uomo non inficiano la portata “rivoluzionaria” del pensiero di Heidegger, con il quale mi pare sempre più doveroso confrontarsi, soprattutto in una città come Benevento, dove il suo pensiero mi sembra non solo frainteso ma addirittura poco conosciuto. Dunque, poiché la Libera scuola l’anno prossimo programmerà dei veri e propri corsi aperti a tutti, proporrò un approfondimento del pensiero del così tanto citato quanto poco letto pensatore di Messkirk.
La seconda critica che Luigi Furno fa ad Heidegger (e ai suoi “epigoni”, come me, sebbene anche questa definizione dispregiativa sia troppo per un umile lettore quale sono) è che egli avrebbe, in qualche modo, sputato nel piatto in cui mangiava, praticando, da docente universitario, la filosofia e invocandone il superamento. Ancora una volta, pur essendo molto attento alla coerenza tra “lectio” e “mores”, mi sono rassegnato a cogliere di Heidegger solo le geniali intuizioni speculative. E su quello che dobbiamo ragionare, non cercando di incastrarlo alla sua incoerenza personale, avendone assodato la sua mediocrità morale.
Perché la filosofia ha raggiunto il suo compimento? Perché ha realizzato le sue ambizioni di “verità” e di “metodo”. Dove? Nella scienza e nella tecnica (che costituisce il cuore della scienza moderna). È possibile un nuovo inizio? Sì, un nuovo inizio del pensiero che, deponendo il “dominio”, si metta in “ascolto”. Un pensiero-poetante. E qui arriviamo ad un altro punto chiave. Il pensiero heideggeriano, nella sua solo apparente astrattezza, mette capo ad una possibile trasformazione rivoluzionaria tanto dei rapporti interumani quanto dei rapporti tra uomo e cosmo. Anzi, io credo che solo la radicalità di quel pensiero consenta di fondare eco-logie, etiche e politiche (so quanto possa apparire paradossale) all’altezza di un tempo apocalittico (catastrofico ma anche “rivelativo”) come il nostro.
E arrivo alla terza riflessione critica che Luigi Furno pone, la più importante. Con un’intelligente operazione decostruttiva, egli utilizza la filosofia di Nietzsche per “confutare” la fine della filosofia auspicata da Heidegger, rivendicando l’infinita possibilità del gioco delle interpretazioni. A onor del vero, si sarebbe dovuto ricordare come fu proprio Heidegger, negli anni Trenta, in un memorabile corso poi divenuto libro (a mio avviso decisivo nella storia del pensiero moderno e contemporaneo), a strappare Nietzsche tanto alla propaganda dei Bäumler quanto alle interpretazioni riduttive che ne facevano moralisti e artisti. Heidegger pose Nietzsche al vertice dello sviluppo della filosofia occidentale. Ma intuì che con lui si compiva il destino della metafisica, precisamente nell’idea che fondamento dell’essere sia la “volontà di potenza”. Tutta la cultura occidentale, divenuta planetaria nel XX secolo, porta alla luce, nelle sue pratiche egemoniche, questa radice (che è già prefigurata in Platone, e via via manifestatasi sempre più chiaramente nella fondazione soggettiva del sapere, con Cartesio perno di questo processo).
Concludo. Rivendicare Nietzsche contro Heidegger significa riproporre la possibilità che un soggettivismo (senza soggetto) “giocando” (con i linguaggi, le parole, con le vite…) possa rispondere al nihil che occupa ogni giorno spazio dentro di noi e nel mondo. Io credo che questa risposta, tentata nel corso del Novecento (ma la follia di Nietzsche non era già il segno della sua impraticabilità?), abbia esaurito ogni sua potenzialità, si sia rivelata irrimediabilmente nichilistica anch’essa (ed è la critica che muovo, ad esempio, alla prognosi di Umberto Galimberti, con cui Luigi potrebbe essere d’accordo). L’apocalisse di cui siamo spettatori non è un gioco… Possiamo decidere di contemplarla con il gusto necrofilo della fine, da raffinati esteti, «componendo acrostici indolenti in uno stile d'oro dove danza il languore del sole», oppure possiamo iniziare a sognare un nuovo inizio, nel cuore di tenebra che stiamo attraversando, che renda possibile “re-incantare” il mondo, trasformare questa “terra desolata” in un tempio propizio al ritorno degli Dei, non giocare con le parole ma curarle, insieme alle erbe, alle acque, agli sguardi, sanando, accogliendo. 
«L’incondizionata uniformità di tutte le umanità della terra sotto il dominio della volontà di volontà rende manifesta l’insensatezza dell’agire umano posto come assoluto».
Nella critica pungente di Luigi Furno c’è tutta intera la logica del dominio. Egli resta dentro la metafisica, nietzschianamente, rivendica la possibilità infinita di continuare a “giocare” con la lingua, di continuare a giocare con la vita, come se non avessimo davanti agli occhi la devastazione della terra e degli uomini. Io ho dimesso questa pretesa, prometeica, perché ho capito, grazie ad Heidegger, che abito il linguaggio, esso non mi appartiene. Io appartengo ad esso. Abito la terra, essa non mi appartiene. Attendo l’ultimo Dio. Preparo strade, affino la mia capacità di ascolto: «I pastori abitano, invisibili, fuori del deserto della terra devastata […] Una cosa è utilizzare semplicemente la erra; un’altra è, invece, ricevere la benedizione della terra e stabilirsi nella legge di questa accettazione come nella propria casa, per custodire il segreto dell’essere e vegliare sull’inviolabilità del possibile» (Oltrepassamento della metafisica).

(Apparso su «BMagazine» nel marzo 2012)

Nessun commento: