Spero di non abusare della tribuna
che “Bmagazine” settimanalmente mette a mia disposizione per scopi personali.
Per una volta userò il blog per rispondere ad una bella provocazione che parte
dalle stesse colonne digitali di questo giornale, firmata da quel pirotecnico e
talentuoso poligrafo che risponde al nome di Luigi Furno, di cui ho avuto modo di esaltare le doti creative
qualche settimana fa.
È doveroso, però, inserire questa querelle in
un panorama più ampio, che mi pare novità importante nella nostra città. Grazie
a due iniziative nate autonomamente (Paradoxa di Yuri Di Gioia e
Guido Bianchini, la Libera scuola di filosofia del Sannio), la
filosofia è uscita dalle polverose aule scolastiche per immettersi nella vita,
avendo l’onore delle cronache e suscitando, come in questo caso, reazioni
veementi.
Quando Guido Bianchini mi ha chiamato
per Paradoxa, ci ho pensato… Come dare sensatezza a ciò che
facciamo? Oramai ho deciso di fare solo cose che abbiano senso, senza divenire
vittima delle “strutture”, delle forme. E, dunque, ho deciso non di parlare di
un paradosso ma di presentarmi io stesso come un “paradosso”, abitare la
filosofia, anche professionalmente, creando una Libera Scuola di Filosofia,
insieme ad altri amici, ma attendendo, promuovendo, la sua fine e il suo
superamento. Ho messo in conto che questo avrebbe potuto sembrare la piccola
vendetta di un “principiante”, di un autodidatta, essendomi laureato in
Lettere, e avendo, dunque, studiato per mera passione insorta successivamente
la filosofia, la sua storia, i suoi problemi. L’incontro decisivo, dal punto di
vista intellettuale, è stato quello con l’opera di Martin Heidegger, che
continua ad essere il basso continuo delle mie ricerche, l’auctor cui
torno periodicamente per la verifica dei miei strumenti. I problemi preliminari
che Heidegger presenta sono due: aderì al nazismo e affrontò tematiche della
massima astrattezza, in un linguaggio sempre più esoterico. Questi due
scogli giganteschi respingono eventuali lettori, per cui il pensiero di
Heidegger è conosciuto, spesso anche da docenti universitari, attraverso
sintesi che ne semplificano le intuizioni.
È impossibile riportare tutte le posizioni relative al
nazismo di Heidegger. La mia posizione è la seguente (e Luigi Furno l’ha
colta): il filosofo aderì al nazismo prima di tutto per ambizione personale,
sperando di far carriera (come avvenne). Quindi si rivelò, come scritto da uno
dei suoi migliori allievi, ebreo costretto ad emigrare in America, Günther
Anders, uomo di assoluta mediocrità morale. Aggiungerei che Heidegger si
illuse, per qualche anno, che il nazismo fosse una possibile risposta alla
devastazione della modernità, in linea, dunque, con quella “rivoluzione
conservatrice” che caratterizzò una parte della cultura tedesca tra le due
guerre. Anche in questo caso la sua cecità è imbarazzante, oltre che,
ovviamente, ingiustificabile. Ma lo stesso Anders ammetteva la grandezza
speculativa del maestro, tanto grande da aver creato, a mio avviso, l’unico
pensiero in grado di indicare una via d’uscita dalla modernità e dalle sue
insanabili contraddizioni. Spero, dunque, di aver dato una prima risposta a
Luigi Furno: la mediocrità morale e la cecità politica dell’uomo non inficiano
la portata “rivoluzionaria” del pensiero di Heidegger, con il quale mi pare
sempre più doveroso confrontarsi, soprattutto in una città come Benevento, dove
il suo pensiero mi sembra non solo frainteso ma addirittura poco conosciuto.
Dunque, poiché la Libera scuola l’anno prossimo programmerà dei veri
e propri corsi aperti a tutti, proporrò un approfondimento del pensiero del
così tanto citato quanto poco letto pensatore di Messkirk.
La seconda critica che Luigi Furno fa ad Heidegger (e
ai suoi “epigoni”, come me, sebbene anche questa definizione dispregiativa sia
troppo per un umile lettore quale sono) è che egli avrebbe, in qualche modo,
sputato nel piatto in cui mangiava, praticando, da docente universitario, la
filosofia e invocandone il superamento. Ancora una volta, pur essendo molto
attento alla coerenza tra “lectio” e “mores”, mi sono rassegnato a cogliere di
Heidegger solo le geniali intuizioni speculative. E su quello che dobbiamo
ragionare, non cercando di incastrarlo alla sua incoerenza personale, avendone
assodato la sua mediocrità morale.
Perché la filosofia ha raggiunto il suo
compimento? Perché ha realizzato le sue ambizioni di “verità” e di “metodo”.
Dove? Nella scienza e nella tecnica (che costituisce il cuore della scienza
moderna). È possibile un nuovo inizio? Sì, un nuovo inizio del pensiero che,
deponendo il “dominio”, si metta in “ascolto”. Un pensiero-poetante. E qui
arriviamo ad un altro punto chiave. Il pensiero heideggeriano, nella sua solo
apparente astrattezza, mette capo ad una possibile trasformazione
rivoluzionaria tanto dei rapporti interumani quanto dei rapporti tra uomo e
cosmo. Anzi, io credo che solo la radicalità di quel pensiero consenta di
fondare eco-logie, etiche e politiche (so quanto possa apparire paradossale)
all’altezza di un tempo apocalittico (catastrofico ma anche “rivelativo”) come
il nostro.
E arrivo alla terza riflessione critica
che Luigi Furno pone, la più importante. Con un’intelligente operazione
decostruttiva, egli utilizza la filosofia di Nietzsche per “confutare” la fine
della filosofia auspicata da Heidegger, rivendicando l’infinita possibilità del
gioco delle interpretazioni. A onor del vero, si sarebbe dovuto ricordare come
fu proprio Heidegger, negli anni Trenta, in un memorabile corso poi divenuto
libro (a mio avviso decisivo nella storia del pensiero moderno e
contemporaneo), a strappare Nietzsche tanto alla propaganda dei Bäumler quanto
alle interpretazioni riduttive che ne facevano moralisti e artisti. Heidegger
pose Nietzsche al vertice dello sviluppo della filosofia occidentale. Ma intuì
che con lui si compiva il destino della metafisica, precisamente nell’idea che
fondamento dell’essere sia la “volontà di potenza”. Tutta la cultura
occidentale, divenuta planetaria nel XX secolo, porta alla luce, nelle sue
pratiche egemoniche, questa radice (che è già prefigurata in Platone, e via via
manifestatasi sempre più chiaramente nella fondazione soggettiva del sapere,
con Cartesio perno di questo processo).
Concludo. Rivendicare Nietzsche contro
Heidegger significa riproporre la possibilità che un soggettivismo (senza
soggetto) “giocando” (con i linguaggi, le parole, con le vite…) possa
rispondere al nihil che occupa ogni giorno spazio dentro di
noi e nel mondo. Io credo che questa risposta, tentata nel corso del Novecento
(ma la follia di Nietzsche non era già il segno della sua impraticabilità?),
abbia esaurito ogni sua potenzialità, si sia rivelata irrimediabilmente
nichilistica anch’essa (ed è la critica che muovo, ad esempio, alla prognosi di
Umberto Galimberti, con cui Luigi potrebbe essere d’accordo). L’apocalisse di
cui siamo spettatori non è un gioco… Possiamo decidere di contemplarla con il
gusto necrofilo della fine, da raffinati esteti, «componendo acrostici
indolenti in uno stile d'oro dove danza il languore del sole», oppure possiamo
iniziare a sognare un nuovo inizio, nel cuore di tenebra che stiamo
attraversando, che renda possibile “re-incantare” il mondo, trasformare questa
“terra desolata” in un tempio propizio al ritorno degli Dei, non giocare con le
parole ma curarle, insieme alle erbe, alle acque, agli sguardi, sanando,
accogliendo.
«L’incondizionata uniformità di tutte le
umanità della terra sotto il dominio della volontà di volontà rende manifesta
l’insensatezza dell’agire umano posto come assoluto».
Nella critica
pungente di Luigi Furno c’è tutta intera la logica del dominio. Egli resta
dentro la metafisica, nietzschianamente, rivendica la possibilità infinita di
continuare a “giocare” con la lingua, di continuare a giocare con la vita, come
se non avessimo davanti agli occhi la devastazione della terra e degli uomini.
Io ho dimesso questa pretesa, prometeica, perché ho capito, grazie ad
Heidegger, che abito il linguaggio, esso non mi appartiene. Io appartengo ad
esso. Abito la terra, essa non mi appartiene. Attendo l’ultimo Dio. Preparo
strade, affino la mia capacità di ascolto: «I pastori abitano, invisibili,
fuori del deserto della terra devastata […] Una cosa è utilizzare semplicemente
la erra; un’altra è, invece, ricevere la benedizione della terra e stabilirsi
nella legge di questa accettazione come nella propria casa, per custodire il
segreto dell’essere e vegliare sull’inviolabilità del possibile» (Oltrepassamento
della metafisica).
(Apparso su «BMagazine» nel marzo 2012)
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