Nel chiaro mondo (il titolo è tratto da un verso dantesco tra gli
ultimi del canto XXXIV dell’Inferno) raccoglie ed ordina quanto scritto
a partire dal 2010, anno in cui riordinai tutta la produzione precedente
in Per aspera.
Quali le novità fondamentali intercorse da allora? Ne
sottolineo due. La prima è sicuramente un’evoluzione del mio percorso
spirituale sempre irrequieto. Oggi amo definirmi, con una punta ironica, un
“diversamente credente”. Non so precisamente in chi o cosa “credo”, non so
neanche se la mia fede sia ascrivibile alla “credenza” o se la mia fiducia
nella sensatezza complessiva del cosmo e dell’esistenza non si traduca oramai
esclusivamente in un’ortoprassi (come per altro auspicavo in una saggio raccolto
nel libro In quieta ricerca). E se penso al mio modo di pregare
ecco che la poesia mi soccorre. La poesia è l’unica preghiera di questo tempo:
in essa trovo le uniche parole ricolme di Spirito che mi nutrono.
La seconda novità, probabilmente connessa all’altra, è
l’impegno politico diretto. Non che la politica non sia stata tra le passioni
dominanti della mia vita da molti anni a questa parte (sebbene abbia superato
presto la tentazione di scrivere, ad esempio, poesia “impegnata”). Ma nel 2016
sono entrato nel Consiglio comunale della mia città, investendo sempre più
tempo nella lettura di delibere, determine, documenti amministrativi. Questa
esperienza (come ha ben intuito Luca, che ne scrive) ha modificato il mio modo
d’essere, educandomi all’accettazione del conflitto (già preparata dalla
meditazione degli ultimi anni su Eraclito). D’altro canto proprio la necessità
di non inaridirmi nello scontro quotidiano, spesso meschino, mi ha spinto
pubblicare un nuovo libro, in modo che la poesia divenisse nutrimento
dell’anima in un momento rischioso.
Aggiungerei un elemento psicologico nuovo: i problemi sono sempre gli stessi, ma il mio modo
di affrontare la vita, a partire dalle piccole cose, mi pare totalmente
diverso. Potrebbe essere la consapevolezza di aver raggiunto gli obiettivi
esistenziali che mi ero prefisso? Non lo so, al netto dell’autoinganno per cui,
probabilmente, tendiamo a costruire una “storia” il cui compimento inevitabile
ci appare quello che abbiamo realizzato (ed è per questo che non credo scriverò
mai un Ad astra...). Escludo sia “saggezza”. La mia personalità
difficilmente troverà la propria incarnazione definitiva nella figura del
“vecchio saggio”. Fatto sta che alcune “strutture” che hanno dominato la mia
vita per più di quarant’anni sembrano indebolirsi. In fondo, mi sono sempre
sentito responsabile di tutto quanto accadeva, dalle guerre in paesi lontani
alle vicende familiari. “Lasciare che sia”. Ecco da cosa nasce la mia serenità,
sperimentata prima solo per brevissimi periodi in vece di un’ansia «che insegue
se stessa» (per citare uno dei versi scritti a me più cari) o di una rabbia
senza causa o di una paura del futuro. Ecco: lo sfondo di queste poesie sono
gli anni di questa metamorfosi che non so se abbia solo, banalmente, a che fare
con gli anni che passano.
La foto in copertina riproduce, in
una brumosa mattina che confondeva il paesaggio e la vista, l’ingresso di San
Cumano, il luogo in cui sono accadute quasi tutte le esperienze decisive della
mia esistenza, l’unico in cui, periodicamente, riscopro la mia essenza
cosmoteandrica, nonché, più prosaicamente, centro vivente di una famiglia che
unisce i trapassati e i viventi, non solo nel ricordo e nei simboli.
(Dalla “Introduzione” dell’autore)
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