sabato 4 gennaio 2014

Gesù


Gesù apocalittico?

Quando padre Alex Zanotelli fu nostro ospite a Benevento (per il fallito tentativo di creare una scuola di formazione politica di ispirazione cristiana), disse, durante l’incontro pubblico tenuto al Seminario, che «Gesù non era un apocalittico». Questa frase mia è rimasta impressa, e l’ho condivisa da subito. Nel profondo ripensamento sulla figura di Gesù, causato dalla lettura del libro intervista di Augias a Mauro Pesce, questa certezza si sta incrinando: l’etica “assoluta” di Gesù è comprensibile al di fuori di un orizzonte apocalittico? La fede che Paolo e i primi cristiani ebbero nella parusia non testimonia che il messaggio del Maestro riguardava il prossimo avvento del Regno di Dio? «Anche le radicali esigenze etiche di  Gesù sono interpretate da Schweitzer in chiave escatologica: etica interinale le chiama, propria di un breve tempo di transizione che deve preparare gli spiriti di quanti lo seguono al decisivo appuntamento con il giorno ultimo, quando questo mondo lascerà il posto a quello futuro in cui pace e giustizia si baceranno, secondo la felice espressione del Salterio ebraico» (Giuseppe Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, EDB, 2002, p. 23). 

Il Regno

Gesù annunciava l’avvento del Regno di Dio. Un passaggio eonico, direbbe Marco Guzzi. Ma questo Regno è dentro di noi, è fuori di noi o, misteriosamente, in entrambe le dimensioni? E non è questo forse il più profondo segreto del cristianesimo gesuano, che cielo e terra si incontrino, esterno ed interno, qui e lì, adesso e domani? «Venga il tuo Regno»: è l’unica preghiera che riesco ancora a pronunciare. Ma cosa significa precisamente per me? Che cosa significa che deve venire il Regno di Dio? Lo imploro in me o nel mondo? Ed è possibile che venga nel mondo senza prima venire in me? Ed ha un senso che venga in me senza poi venire nel mondo? Questo il mistero da meditare in questo tempo senza preghiera: come viene il Regno? E come ci si purifica nell’attesa del Regno? Quale vita dobbiamo condurre per diventare degni del Regno?

Gesù

Ho completato la lettura del Gesù di Barbaglio. Un libro bellissimo, destinato a segnare profondamente la mia riflessione e la mia pratica spirituale.
Mi sembra di aver capito, finalmente, cosa intendesse Zanotelli quando diceva che Gesù non è un apocalittico: la venuta del Regno non è la distruzione del mondo e la sua ricostruzione ab imis, con la morte degli empi. Gesù annuncia una buona novella, in cui anche i reprobi, i peccatori, per grazia, vengono invitati al banchetto nuziale. 
L’ultimo capitolo del libro, quello sulla fede di e in Gesù, è fondamentale. Gesù aveva fede nel Dio biblico, di cui si considerava un emissario speciale in quanto annunciatore del prossimo avvento del suo Regno, di cui i miracoli che lui compiva erano segno, anche se tale regno si sarebbe esteso al mondo intero, dopo il suo timido apparire alla periferia del mondo. Il Pater sintetizza la fede di Gesù. La resurrezione, l’idea che Gesù fosse il Messia, il Signore, l’Unigenito figlio di Dio, il Figlio dell’Uomo che verrà a giudicare i vivi e i morti, la nascita miracolosa, il marianesimo… Tutto questo è elaborazione avviata da Paolo, dagli evangelisti e dalle comunità cristiane per cui i Vangeli furono scritti. 
Che senso ha per me definirmi “cristiano”, se già l’idea del “Cristo” non apparteneva probabilmente alla predicazione di Gesù? “Cristo” è parola greca che indica “l’unto”, divenuto, grazie a Paolo, quasi il secondo nome di Gesù. Io credo nel Dio predicato da Gesù, credo nella prossimità, sempre dilazionata, del Regno, e prego per il suo avvento. Rifiuto qualunque deriva gnosticheggiate o platonizzante: il Regno deve venire qui sulla terra, sicut in caeliis. Credo che seguire Gesù significhi non abbandonare casa, beni e famiglia, come fecero in suoi apostoli (un gruppo ristretto), ma agire nella consapevolezza che il Regno sta arrivando, quindi non dando peso alle ricchezze e agendo rettamente nei confronti degli altri. Ma ora non avrebbe senso la partecipazione al sacramento eucaristico inteso alla maniera cattolica, se non come ripetizione dell’ultima cena (approfondire la concezione di Lutero, Calvino, Zwingli e degli altri riformatori). Non hanno senso preghiere come l’Ave Maria, il Gloria, il Credo (ovviamente). La stessa lettura delle epistole paoline o dell’Apocalissi mi crea problemi.
Non mi sto ritagliando una fede su misura. Sto solo cercando di andare al cuore del messaggio gesuano.

(Dal Quaderno del 2007)

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