domenica 27 dicembre 2015

Pornodiva (alla maniera di Lee Masters)




Sognavo di essere un’hostess,
ma uomini poi al male usi più che al bene,
mi spinsero altrove. In picchiata,
il corpo divenne un'arma potente.
Nessuno mi avrebbe chiamata "puttana"
senza strazio di carne implorante. 
E fu storia sempre uguale di seme sul volto,
membra stanche,  raramente piacere.
Più celebre della santa dei poveri,
un male mi prese alle viscere, 
vendetta di un corpo mai amato.
Le mani che m'avevano allevato,
dimentiche dell’oltraggio subito,
si presero cura della mia bellezza sfiorita.
Per mia madre tornai la bambina che voleva volare.
Ciò che resta di me sono ceneri
disperse nel vento infeconde. 

(1997-2015)


domenica 20 dicembre 2015

Montesquieu [Rovine]


Hinson [La penna d'oca]



The Quill

The quill holds the paper still, the ink draws nothing from this lonely heart
The quill holds the hand still, the paper draws nothing from this lonely heart
Keep the gun cocked, keep the barn checked
Alone thinking of ways you'll come back to kill me
Oh darling yes you'll kill me,
Keep the gun cocked, keep the barn checked
Alone thinking of ways you'll come back to kill me
Oh yes you will kill me
The windows hold the glass panes closed
From shattering against this worn and lonely heart
The glass panes hold the windows closed

From shattering against this worn and lonely heart
I'll keep the gun cocked, keep the barn checked
Still thinking of ways that you'll come back and kill me
Oh darling you must kill me
Keep the gun cocked, you keep the barn checked
Alone thinking of ways you'll come back to kill me
Oh darling you must kill me

La penna d'oca

La penna d’oca tiene ferma la carta, l’inchiostro non tira fuori nulla da questo cuore solitario.
La penna d’oca tiene ferma la mano, la carta non tira fuori nulla da questo cuore solitario.
Arma la pistola, controlla il fienile.                                                                                      
Solo, pensando a come tornerai per uccidermi.
Oh, tesoro, sì, mi ucciderai.
Arma la pistola, controlla il fienile.                                                                                      
Solo, pensando a come tornerai per uccidermi.
Oh, sì, mi ucciderai.

Le finestre hanno i vetri chiusi
perché non s’infrangano contro questo cuore logoro e solitario.
Le finestre hanno i vetri chiusi
perché non s’infrangano contro questo cuore logoro e solitario.
Armerò la pistola, controlla il fienile.
Pensando ancora a come tu tornerai e mi ucciderai.
Oh, tesoro, devi uccidermi
Arma la pistola,  controlla il fienile.
Solo, pensando a come tornerai per uccidermi.
Oh, tesoro, devi uccidermi.

(Traduzione di Anna Rita Margio. Grazie a Lino Ascione per i preziosi suggerimenti)


mercoledì 4 novembre 2015

Thomas [La forza che attraverso...]



THE FORCE THAT THROUGH THE GREEN FUSE DRIVES THE FLOWER

The force that through the green fuse drives the flower 
Drives my green age; that blasts the roots of trees 
Is my destroyer. 
And I am dumb to tell the crooked rose 
My youth is bent by the same wintry fever. 

The force that drives the water through the rocks 
Drives my red blood; that dries the mouthing streams 
Turns mine to wax. 
And I am dumb to mouth unto my veins 
How at the mountain spring the same mouth sucks. 

The hand that whirls the water in the pool 
Stirs the quicksand; that ropes the blowing wind 
Hauls my shroud sail. 
And I am dumb to tell the hanging man 
How of my clay is made the hangman's lime. 

The lips of time leech to the fountain head; 
Love drips and gathers, but the fallen blood 
Shall calm her sores. 
And I am dumb to tell a weather's wind 
How time has ticked a heaven round the stars. 

And I am dumb to tell the lover's tomb 
How at my sheet goes the same crooked worm. 

Dylan Thomas

LA FORZA CHE ATTRAVERSO LA MICCIA VERDE MUOVE IL FIORE
 
La forza che attraverso la miccia verde muove il fiore
muove la mia verde età; che secca
le radici degli alberi.
È quella che distrugge anche me.
Ed io non ho lingua per dire alla rosa ricurva
che la mia giovinezza è piegata dalla stessa febbre invernale.

La forza che attraverso le rocce muove l’acqua
muove il mio sangue rosso; che prosciuga i rivi che corrono alla foce
muta in cera i miei.
Ed io non ho lingua per sussurrare alle vene
che la stessa bocca si abbevera sui monti alla sorgente.

La mano che fa girare l’acqua nella pozza
muove le sabbie mobili; che imbriglia la furia del vento,
tira la sartia della mia vela.
Ed io non ho lingua per dire all’impiccato
come della mia argilla è fatta la creta del boia.

Le labbra del tempo come sanguisughe succhiano alla fonte;
l’amore stilla e si deposita, ma il sangue versato
lenirà le sue piaghe.
Ed io non ho lingua per dire alle intemperie
come il tempo, ticchettando, ha fatto delle stelle un paradiso.

Ed io non ho lingua per dire alla tomba dell’amante

come muova verso il mio lenzuolo lo stesso verme ricurvo.

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

sabato 17 ottobre 2015

nuova alleanza


Sotto l’acqua e nel vento,
mentre tutto sembra annegare,
ogni luce svanire in tregenda,
nelle strade fangose, nella case allagate,
nelle scuole distrutte, nelle fabbriche invase,
quando incombe il supremo pericolo,
inattesa speranza risorge,
un’antica radice ci chiama.

[Cura sia l’ordine
del giorno, ogni gesto
e parola ad essa ispirati.]

Con cuore accordato,
mia città di rovine,
insieme preghiamo
perché in questa catastrofe
sia la nostra salvezza,
di nuovo scoprendoci figli
dei fiumi, dei boschi, dei colli,
imparando fraterni la legge
di un nuovo abitare.

Benevento, 17 ottobre 2015

giovedì 4 giugno 2015

Iribarren [A volontà]



A volontà
La radio
è accesa.
Risuona
il rombare
di una moto
da qualche parte.
Lo scoppio                    
di un’auto
a ogni momento.
Accendo
un’altra sigaretta.
Penso
che non dovrei
fumare tanto.
Rido
ma no
rido.
Guardo la televisione:
altri massacri,
altre truffe,
altri licenziamenti.
Bah!
La merda
di tutti i giorni.     
Prendo
un’altra Camel.
Butto fuori                   
una grossa
boccata
di fumo
e schifo.  
Accendo
il PC.
E, come chi
fa fuoco
a volontà,
scrivo.

Karmelo C. Iribarren

(Traduzione di Anna Rita Margio)

A DISCRECIÓN

La radio
está encendida.
Suena 
la pedorreta 
de una moto
en algún sitio.
La ráfaga
de un coche
a cada rato.
Enciendo 
otro cigarro.
Pienso
que no debería
fumar tanto.
Me río
pero no
me río.
Miro el televisor:
más masacres,
más fraudes, 
más despidos.
¡Bah!
La mierda 
de diario.
Saco 
otro Camel.
Echo
una bocanada
gorda
de humo
y asco.
Pongo
en marcha
el PC.
Y, como quien
abre fuego
a discreción,
escribo.





lunedì 27 aprile 2015

Hughes [Sogni]



Dreams

Hold fast to dreams
For if dreams die
Life is a broken-winged bird
That cannot fly.

Hold fast to dreams
For when dreams go
Life is a barren field
Frozen with snow.

Langston Hughes

Sogni

Tienili stretti i sogni:
se muoiono
la vita è un uccello
dalle ali spezzate.

Tienili stretti i sogni:
se svaniscono
la vita è terra sterile,
gelata dalla neve. 

(traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

mercoledì 8 aprile 2015

Mistral - Decalogo dell'artista



Decálogo del artista

I. Amarás la belleza, que es la sombra de Dios sobre el Universo. 
II. No hay arte ateo. Aunque no ames al Creador, lo afirmarás creando a su semejanza.
III. No darás la belleza como cebo para los sentidos, sino como el natural alimento del alma.
IV. No te será pretexto para la lujuria ni para la vanidad, sino ejercicio divino.
V. No la buscarás en las ferias ni llevarás tu obra a ellas, porque la Belleza es virgen, y la que está en las ferias no es Ella.
VI. Subirá de tu corazón a tu canto y te habrá purificado a ti el primero.
VII. Tu belleza se llamará también misericordia, y consolará el corazón de los hombres.
VIII. Darás tu obra como se da un hijo: restando sangre de tu corazón.
IX. No te será la belleza opio adormecedor, sino vino generoso que te encienda para la acción, pues si dejas de ser hombre o mujer, dejarás de ser artista.
X. De toda creación saldrás con vergüenza, porque fue inferior a tu sueño, e inferior a ese sueño maravilloso de Dios, que es la Naturaleza.

Gabriela Mistral

Decalogo dell'artista

I. Amerai la bellezza, che è l’ombra di Dio sull’Universo.
II. Non esiste arte atea. Anche se non ami il Creatore, lo affermerai creando a sua somiglianza.
III. Non userai la bellezza per foraggiare i sensi, ma come cibo naturale dell’anima.
IV. Non sarà per te pretesto di lussuria o vanità, ma divino esercizio.
V. Non la cercherai nelle fiere né porterai lì la tua opera, perché la Bellezza è vergine, e quella delle fiere non è Lei.  
VI. Salirà dal tuo cuore al tuo canto e avrà purificato te per primo.
VII. La tua bellezza si chiamerà anche misericordia, e consolerà il cuore degli uomini.
VIII. Donerai la tua opera come si dona un figlio: restando sangue del tuo cuore.
IX. La bellezza non sarà per te soporifero oppio, ma vino generoso che ti infiammi per l’azione, poiché se cessi d’essere uomo o donna, cesserai d’essere anche artista.
X. Da ogni creazione verrai fuori con vergogna, perché fosti al di sotto del tuo sogno, e di quel sogno meraviglioso di Dio, la Natura. 

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)              

sabato 4 aprile 2015

Esenin [Sì! Ora è deciso...]



Sì! Ora è deciso. Senza ritorno
ho lasciato i campi nativi.
Ormai con l'alato fogliame non avranno bisogno
di cantar di me i pioppi.

La bassa casetta senza me s'ingobbirà,
il mio vecchio cane già da tempo è morto.
Sulle tortuose strade di Mosca
 a morire, si sa, mi ha condannato Dio.

Amo questa città intessuta anche se flaccida,
anche se decrepita.
L'Asia, dorata e sonnolenta,
si è assopita sulle cupole.

Ma quando di notte splende la luna,
quando splende... il diavolo lo sa come!
Vado, con la testa ciondoloni
per un vicolo verso la familiare bettola.

Rumore e fracasso nella tana infernale
ma per tutta la notte senza tregua, sino all'alba,
leggo versi alle prostitute
e coi fuorilegge tracanno alcol.

Il cuore batte veloce e più veloce ancora
ed io già parlo a sproposito:
«Io sono, proprio come voi, perduto,
ora non posso più tornare indietro».

La bassa casetta senza me s'ingobbirà,
il mio vecchio cane già da tempo è morto.
Sulle tortuose strade di Mosca
a morire, si sa, mi ha condannato Dio.

(Traduzione di Rosa Coppola)

Да! Теперь - решено. Без возврата
Я покинул родные края.
Уж не будут листвою крылатой
Надо мною звенеть тополя.

Низкий дом без меня ссутулится,
Старый пёс мой давно издох.
На московских изогнутых улицах
Умереть, знать, сулил мне Бог.

Я люблю этот город вязевый,
Пусть обрюзг он и пусть одрях.
Золотая дремотная Азия
Опочила на куполах.

А когда ночью светит месяц,
Когда светит... чёрт знает как!
Я иду, головою свесясь,
Переулком в знакомый кабак.

Шум и гам в этом логове жутком,
Но всю ночь напролёт, до зари,
Я читаю стихи проституткам
И с бандитами жарю спирт.

Сердце бьётся всё чаще и чаще,
И уж я говорю невпопад:
- Я такой же, как вы, пропащий,
Мне теперь не уйти назад.

Низкий дом без меня ссутулится,
Старый пёс мой давно издох.
На московских изогнутых улицах
Умереть, знать, сулил мне Бог.   

Стихи о любви и про любовь.

lunedì 23 marzo 2015

una presentazione di "pater"...




Il presidente del Rotary Club di Benevento, Nicola Venditti, ha organizzato un caminetto per i soli soci nel corso del quale Nicola Sguera ha trattato il tema della paternità, suscitando curiosità e grande interesse nei presenti che alla fine della conversazione lo hanno "assalito" con le loro domande.
Sguera, con il suo amico di vecchia data Luca Rando, ha deciso di dar vita ad una raccolta di scritti "a tema" segnavia, una sorta di messaggi nella bottiglia che qualcuno raccoglierà oggi, domani, in futuro, forse chi non è ancora nato.
La prima raccolta, stampata nel gennaio 2015, s'intitola “Pater” ed è divisa in due parti, la prima racchiude le riflessioni che a turno i due amici fanno sulla paternità, una serie di frammenti in cui vengono elaborati i rapporti con i loro padri e quelli con i loro figli quando hanno smesso di essere figli. Nella seconda, divisa in 11 paragrafi, Sguera e Rando dialogano simbolicamente con Antonio Scurati e con il suo "Il padre infedele", avendo raccolto la sua provocazione quando afferma che è in atto una rivoluzione antropologica: un tempo il padre era inarrivabile, era presente nelle vite dei figli, ma era rarissimo che dedicasse tempo a loro, che giocasse con loro, era un padre-padrone a cui non si poteva chiedere ma che si doveva solo ascoltare… a volte non serviva neppure la parola, bastava lo sguardo e al suo cospetto i figli provavano timore riverenziale e la sensazione che non sarebbero mai divenuti come lui.
Oggi c'è una nuova generazione di padri che vivono la "maternità" fin da quando il loro bimbo è nel grembo materno, disarmati, stanno imparando la tenerezza delle culle dando il latte ai propri figli nel cuore della notte, cambiando loro i pannolini, tenendoli in braccio nelle lunghe veglie notturne, costruendo con loro un fortissimo legame "prelogico"; scoperta la tenerezza, però, non devono diventare dei "mammi" ma continuare a svolgere i compiti dei vecchi padri, quindi essere detentori del "logos".
Durante la conversazione Sguera ha raccontato che ha cercato di elaborare, in modo crudo, la sua esperienza personale con suo padre, da quando bambino era schiacciato dalla sua forza, dalle sue capacità che mai avrebbe potuto eguagliare, alla distanza che c'era tra loro e poi al tracollo finanziario che travolse tutta la famiglia fino all'Alzheimer che colse suo padre e rapidamente lo portò alla dipendenza dagli altri "un vascello andato in frantumi", per cui lui, il figlio, divenne "padre di suo padre".
Ha, inoltre, ricordato che c'è stato un momento preciso in cui ha smesso la sua "filialità" ed è divenuto padre quando, dopo aver accompagnato all'ospedale suo padre per un controllo, gli disse che stava per diventare padre di Caterina e lui, come faceva sin da quando era bambino, gli disse che doveva dirgli una cosa nell'orecchio, accostò la bocca e gli diede un bacio.
Capì in quel momento di essere divenuto padre di suo padre e, infine, "padre vero, finalmente individuo responsabile, non più beneficiario di sicurezza e tenerezza, ma dispensatore e consapevole di quanto arduo sia il lavoro di ostentare certezze non avendone alcuna perché era necessario  costruire la forza e l’energia con cui sua figlia Caterina dovrà affrontare la vita".
Comunque la difficoltà più grande, ha affermato Sguera avviandosi alla conclusione della sua profonda e toccante conversazione, come padre è fingere che tutto vada bene, dissimulando la rabbia, la paura, l'ansia per evitare di trasmetterle ai figli e l'unico modo, a suo avviso, per dire una cosa che stringe il cuore  è la poesia, come è accaduto a lui quando sono stati ritrovati i corpi senza vita dei fratellini di Gravina, infatti, in quell'occasione compose: "Inaudite lacrime" in cui da padre prometteva alla figlia Caterina, abbracciandola, che mai nessun orco l'avrebbe avuta nelle fauci inumane e che lui sarebbe stato per lei argine ad ogni pericolo e arma contro ogni male
"e sigillo
la pietosa bugia
di lacrime
inaudite".

Maria Cristina Donnarumma

giovedì 19 febbraio 2015

Collins [Silenzio]




Silence

There is the sudden silence of the crowd
above a player not moving on the field,
and the silence of the orchid.

The silence of the falling vase
before it strikes the floor,
the silence of the belt when it is not striking the child.

The stillness of the cup and the water in it,
the silence of the moon
and the quiet of the day far from the roar of the sun.

The silence when I hold you to my chest,
the silence of the window above us,
and the silence when you rise and turn away.

And there is the silence of this morning
which I have broken with my pen,
a silence that had piled up all night

like snow falling in the darkness of the house—
the silence before I wrote a word
and the poorer silence now.

 Billy  Collins

(da The Trouble With Poetry and Other Poems)            

Il silenzio

C’è il silenzio improvviso della folla
sul giocatore immobile nel campo,
e il silenzio dell’orchidea.

Il silenzio del vaso che cade
prima che colpisca il pavimento,
il silenzio della cintura quando non picchia il bambino.

La quiete del bicchiere e, in esso, dell'acqua,
il silenzio della luna
e la quiete del giorno lontano dal ruggito del sole.

Il silenzio di quando ti stringo al petto,
il silenzio della finestra su noi due,
e il silenzio di quando, sollevandoti, ti volti.

E c’è il silenzio di questa mattina
che ho infranto con la mia penna,
un silenzio accumulatosi per la notte intera

come neve che cade nel buio della casa –
il silenzio di prima che scrivessi una parola
e il silenzio più misero adesso.

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

domenica 8 febbraio 2015

Appendice a Pater

Quand'è che si smette di essere figli e si rimane soltanto padri? No, non è la morte, ma condizione di indipendenza, quando sentiamo di non doverci (poterci?) più appoggiare all'autorità, la guida di un Padre mentre qualcun altro si affida a noi.
Quando hai smesso di essere figlio? Ma poi l'hai mai smesso davvero? Tutti quegli autori che leggi non sono forse tuoi padri anch'essi? Non apprendi ancora da loro? Non ti appoggi forse alla loro autorità? E non apprendi anche da tuo figlio, tu, padre, diventato figlio del figlio?


Portami con te lontano
…lontano…
nel tuo futuro.

Diventa mio padre, portami
per la mano
dov’è diretto sicuro
il tuo passo d’Irlanda
l’arpa del tuo profilo
biondo, alto
già più di me che inclino
già verso l’erba.

Serba
di me ricordo vano
che scrivo mentre la mano
mi trema.

Rema
con me negli occhi al largo
del tuo futuro, mentre odo
(non odio) abbrunato il sordo
battito del tamburo
che rulla - come il mio cuore: in nome
di nulla - la Dedizione.

(Giorgio Caproni)


Sono ancora un figlio, perdonami padre, perché ho peccato...

LR

domenica 18 gennaio 2015

Kunitz [Il ritratto]


The Portrait 

My mother never forgave my father
for killing himself,
especially at such an awkward time
and in a public park,
that spring
when I was waiting to be born.
She locked his name
in her deepest cabinet
and would not let him out,
though I could hear him thumping.
When I came down from the attic
with the pastel portrait in my hand
of a long-lipped stranger
with a brave moustache
and deep brown level eyes,
she ripped it into shreds
without a single word
and slapped me hard.
In my sixty-fourth year
I can feel my cheek
still burning.

Stanley Kunitz

* * *

Il ritratto

Mia madre non perdonò mai mio padre
per essersi ucciso,
soprattutto in un momento così poco opportuno
e in un parco pubblico,
quella primavera
in cui stavo per nascere.         
Chiuse a chiave il suo nome
nell’armadio più profondo
senza mai farlo uscire,
sebbene lo udissi dare dei colpi.
Quando scesi dalla soffitta
con in mano il ritratto a pastello      
d’uno sconosciuto dalle labbra allungate,
con baffi audaci
e occhi castani dritti e profondi,
lei lo strappò in mille pezzi        
senza dire una sola parola
e mi schiaffeggiò forte.
A sessantaquattro anni
sento ancora la guancia
che brucia.

(Traduzione di Anna Rita Margio e Nicola Sguera)

sabato 17 gennaio 2015

notizie

segnavia raccoglierà gli scritti “a tema” di Luca Rando e Nicola Sguera, amici da anni insieme “lungo la via”. Tali parole saranno, per l’appunto, “segnavia”.
In alcuni casi saranno ospitati interventi di compagni di strada.
I volumetti saranno tirati in un numero limitato di copie (mai più di 50) e distribuiti in occasione della presentazione, che avverrà di volta in volta in luoghi diversi. Successivamente saranno resi disponibili on line in formato pdf.

* * *

Luca Rando nasce nel centro dell’Italia l’11 febbraio 1967.
Non ha patria se non quella che di volta in volta gli offrono i libri che legge in solitudine, spesso in campagna, dove arriva dopo lunghe camminate.
Cresce con due amori, la poesia e il teatro, per malinconico isolamento il primo, il secondo per ansia di comunità.
Nell'amicizia e nelle associazioni di cui ha fatto (e fa) parte ha trovato il luogo del pensiero e dell'azione; nella famiglia e nella scuola il luogo dell'incontro e dell'amore.
Il 1 febbraio 2002 coniuga pensiero e incontro cullando suo figlio.
Oggi quando guarda i figli o i suoi alunni prova un moto di felicità, lo stesso della domenica mattina ad occuparsi dei beni comuni vicino casa.

* * *

Nicola Sguera nasce a casa sua il 20 giugno 1967.
Vive un'infanzia senza ombre, se non quelle che la sua fantasia bizzarra trasforma, di notte, in orchi e vampiri.
Nel 1984 nasce a nuova vita: smette di mangiare carni per empatica compassione, rompe il patto con il Dio della sua tradizione familiare e conosce la sua futura moglie. Meglio sarebbe non essere mai nati, ripete spesso.
Il 24 gennaio del 1990 sua madre decide di impartirgli l'ultimo memorabile insegnamento: «nella mia fine è il tuo inizio».
Nel mercoledì delle ceneri del 1998 si inginocchia nuovamente, e prega un Dio sconosciuto: per la prima volta comprende il senso della parola “amen”.
Quando la sera osserva sua figlia, raccolta in un sonno finalmente sereno, e pensa a sua madre, ai suoi alunni, al vino, alla poesia di Char, alle canzoni di Nick Cave e all'Inter, benedice e «sì, in fondo, altissimo, non onnipotente buon Signore, grazie».

Luca Rando e Nicola Sguera hanno animato, insieme, «la rosa necessaria», uscita dal 1993 al 1999. Nicola Sguera ha pubblicato una raccolta di brevi saggi (In quieta ricerca, Percorsi Editore, 2012) e una raccolta di poesie (Per aspera, Delta 3 Edizioni, 2013).

Insegnano entrambi: il primo Lettere nel Liceo Classico di Potenza, il secondo Filosofia e Storia nel Liceo Classico di Benevento.

giovedì 8 gennaio 2015

io sono Charlie (e credo in Dio)



Come mi capita in occasioni di lutti personali (quest’anno per la perdita di due cari colleghi), ieri ho “chiuso” la mia bacheca di Facebook, questo diario in pubblico che ha stravolto completamente non solo le pratiche di scrittura ma, probabilmente, il modo stesso di pensare e formarci convinzioni. L’eccidio parigino della redazione di «Charlie Hebdo» (da parte di due integralisti islamici, ma con dubbi che iniziano ad emergere) mi ha lasciato, letteralmente, senza parole. Quando il dolore o lo sconcerto sono grandi mi è impossibile sillabare parole. Ma non bisogna sottrarsi al dovere di “intelligere” i processi in atto, dopo il “lugere” dovuto per uomini che hanno pagato con la vita il loro ideale di una libertà “assoluta”, non necessariamente condivisibile ma tutta dentro la tradizione laica e illuministica del loro grande paese. Sia detto per inciso: alcuni di loro, come ad esempio Wolinski, avevano accompagnato la mia storia di lettore di fumetti. Non erano sconosciuti, erano volti associati a storie, a segni. 
Voglio provare a focalizzare un solo argomento, al centro di alcune discussioni sui social network: il nesso fra religione e violenza. È naturale che il “sacro macello” parigino, al grido di “Allah è grande”, scateni la canea degli islamofobici, dell’ateismo più critico nei confronti di ogni esperienza religiosa. Sicuramente questo avrà delle conseguenze sulla storia francese e, dunque, su quella europea. La critica più sottile è quella che rimarca come la violenza non sia una caratteristica delle frange estremiste dell’Islam, degenerate anche a causa delle scelte politiche imperialistiche dell’occidente, della collocazione ai margini (urbanistici e sociali) degli immigrati e altro ancora. La scuola di pensiero il cui nome più illustre è quello di Oriana Fallaci ritiene che l’Islam sia in sé una religione violenta, e che questa tara sia inemendabile. Nel mio peregrinare tra i testi sacri devo confessare che il Corano è stata tappa marginale. Molto più fascinoso l’immaginario dei mistici islamici, il sufismo in particolare, gli immaginifici versi di 
Jalāl al-Dīn Rūmī. Non sono un esperto. La mia considerazione sarà, dunque, più generale: poiché l’uomo è un essere intimamente storico ed evolutivo, le religioni evolvono con lui. Questa considerazione può essere condivisa da atei e agnostici. Solo i religiosi “tradizionalisti” (che credono cioè in un nucleo immutabile delle fedi a là Guenon) dissentiranno. La storia dell’umanità mostra una capacità evolutiva in ogni ambito, che pare non aver fine. Se osserviamo l’ebraismo o il cristianesimo (le religioni che conosco meglio) noteremo come una carica di violenza effettivamente presente (si pensi al vendicativo Yahweh biblico o alle guerre degli Ebrei) o del cristianesimo fattosi religione di Stato (si pensi all’orrenda morte di Ipazia di Alessandria o alla crociata contro i catari) nel corso dei secoli si sia addolcita, fino a scomparire. Non è stato un processo indolore: nel popolo ebraico è passato attraverso la sua radicale dissoluzione statuale, nel cristianesimo attraverso un confronto durissimo con istanze “laicizzanti”, a partire dal Rinascimento.
Ogni fenomeno umano è passibile di evoluzione perché l’uomo è un essere evolutivo. 
Il mio auspicio è che, proprio a partire da catastrofi come quella di Parigi, nel mondo islamico maturi una spiritualità più pura, che non può che essere portatrice di istanze pacifiche e pacificatrici. Dio è il Bene che noi possiamo essere. È inimmaginabile che tale Bene si declini in forme necrofile e terroristiche. Chi uccide in nome del suo Dio in realtà uccide prima di tutto il suo Dio.