giovedì 8 gennaio 2015

io sono Charlie (e credo in Dio)



Come mi capita in occasioni di lutti personali (quest’anno per la perdita di due cari colleghi), ieri ho “chiuso” la mia bacheca di Facebook, questo diario in pubblico che ha stravolto completamente non solo le pratiche di scrittura ma, probabilmente, il modo stesso di pensare e formarci convinzioni. L’eccidio parigino della redazione di «Charlie Hebdo» (da parte di due integralisti islamici, ma con dubbi che iniziano ad emergere) mi ha lasciato, letteralmente, senza parole. Quando il dolore o lo sconcerto sono grandi mi è impossibile sillabare parole. Ma non bisogna sottrarsi al dovere di “intelligere” i processi in atto, dopo il “lugere” dovuto per uomini che hanno pagato con la vita il loro ideale di una libertà “assoluta”, non necessariamente condivisibile ma tutta dentro la tradizione laica e illuministica del loro grande paese. Sia detto per inciso: alcuni di loro, come ad esempio Wolinski, avevano accompagnato la mia storia di lettore di fumetti. Non erano sconosciuti, erano volti associati a storie, a segni. 
Voglio provare a focalizzare un solo argomento, al centro di alcune discussioni sui social network: il nesso fra religione e violenza. È naturale che il “sacro macello” parigino, al grido di “Allah è grande”, scateni la canea degli islamofobici, dell’ateismo più critico nei confronti di ogni esperienza religiosa. Sicuramente questo avrà delle conseguenze sulla storia francese e, dunque, su quella europea. La critica più sottile è quella che rimarca come la violenza non sia una caratteristica delle frange estremiste dell’Islam, degenerate anche a causa delle scelte politiche imperialistiche dell’occidente, della collocazione ai margini (urbanistici e sociali) degli immigrati e altro ancora. La scuola di pensiero il cui nome più illustre è quello di Oriana Fallaci ritiene che l’Islam sia in sé una religione violenta, e che questa tara sia inemendabile. Nel mio peregrinare tra i testi sacri devo confessare che il Corano è stata tappa marginale. Molto più fascinoso l’immaginario dei mistici islamici, il sufismo in particolare, gli immaginifici versi di 
Jalāl al-Dīn Rūmī. Non sono un esperto. La mia considerazione sarà, dunque, più generale: poiché l’uomo è un essere intimamente storico ed evolutivo, le religioni evolvono con lui. Questa considerazione può essere condivisa da atei e agnostici. Solo i religiosi “tradizionalisti” (che credono cioè in un nucleo immutabile delle fedi a là Guenon) dissentiranno. La storia dell’umanità mostra una capacità evolutiva in ogni ambito, che pare non aver fine. Se osserviamo l’ebraismo o il cristianesimo (le religioni che conosco meglio) noteremo come una carica di violenza effettivamente presente (si pensi al vendicativo Yahweh biblico o alle guerre degli Ebrei) o del cristianesimo fattosi religione di Stato (si pensi all’orrenda morte di Ipazia di Alessandria o alla crociata contro i catari) nel corso dei secoli si sia addolcita, fino a scomparire. Non è stato un processo indolore: nel popolo ebraico è passato attraverso la sua radicale dissoluzione statuale, nel cristianesimo attraverso un confronto durissimo con istanze “laicizzanti”, a partire dal Rinascimento.
Ogni fenomeno umano è passibile di evoluzione perché l’uomo è un essere evolutivo. 
Il mio auspicio è che, proprio a partire da catastrofi come quella di Parigi, nel mondo islamico maturi una spiritualità più pura, che non può che essere portatrice di istanze pacifiche e pacificatrici. Dio è il Bene che noi possiamo essere. È inimmaginabile che tale Bene si declini in forme necrofile e terroristiche. Chi uccide in nome del suo Dio in realtà uccide prima di tutto il suo Dio.

Nessun commento: